Qualche settimana fa leggevo su un noto quotidiano, dati ISTAT relativi alle soglie di reddito considerate di povertà, per sommi capi i dati erano: l’incidenza della povertà tra le famiglie italiane è rimasta stabile tra il 2003 e il 2004, ma non al Sud, dove è invece aumentata in misura rilevante.
La percentuale nazionale dell’11,7 per cento viene infatti dalla media del 4,7 per cento registrato al Nord, del 7,3 registrato al Centro e del 25 per cento del Mezzogiorno, la soglia di povertà relativa è calcolata dall’ ISTAT, sulla base della spesa familiare per consumi rilevata tramite l’indagine annuale sui consumi. Il campione è di 28.000 famiglie.
La linea di povertà nel 2004 è di 551,99 euro mensili per le famiglie costituite da una sola persona; di 919,98 euro per quelle di due, di 1.223,57 euro per le famiglie di tre persone e di 1.499,57 euro per quelle di quattro.
Nel frattempo squillò il telefono ed era Fabrizio il mio collega, padre di due figli sposato con una casalinga il cui stipendio netto è di 1300 euro al mese, insomma i poveri io li avevo vicini e non avevo mai fino ad ora fatto una tale considerazione, si badi bene che lui, dovesse fare molti sacrifici per arrivare alla fine del mese era evidente, ma che potesse essere considerato povero questo proprio non me lo sarei aspettato.
Così colto dalla curiosità decisi di documentarmi e scoprì che ad esempio in ben 18 Paesi sui 30 dell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo), si percepiscono stipendi mediamente più alti di quelli italiani.
La differenza è di quasi 9.000 euro l’anno con il Paese in vetta alla classifica, cioè l’Australia; ma le buste paga Italiane sono più magre anche di quelle di danesi, belgi, americani, giapponesi, ad esempio rispetto ai tedeschi il salario è in media di 6500 euro nette in meno. Meglio di noi anche Corea e Irlanda
La situazione migliore è quella delle famiglie il cui reddito deriva principalmente da lavoro autonomo che presentano un tasso di povertà relativa del 7,5 per cento, contro il 9,3 di quelle con un lavoratore dipendente.
Australia, Danimarca, Belgio: salgono sul podio dei salari d’oro, rispettivamente con 28.677, 28.117, 26.651 euro di retribuzione lorda annuale media. Stipendi, più alti oltre il 30% in più di quelli di casa nostra.
Finito di navigare sul web spensi il PC e andai a tavola per cenare, ma ecco tornarmi alla mente ancora una volta il buon Fabrizio insieme alla sua famiglia, e poi la dedizione con cui fa il suo lavoro ma anche quella volta che, forse preso dallo sconforto, mi disse “a volte vorrei non aver fatto questo lavoro, non riesco a farci vivere la mia famiglia e questo non è giusto!”
E’ vero, non è giusto!Con uno stipendio da Infermiere in Italia si vive male, si so che c’è chi non ha nemmeno quello ma c’è anche chi lavora meno ed è pagato di più, e parlo anche di dipendenti dello stato, figure apicali che guadagnano sul risparmio stipendiale di altri dipendenti, insomma credo non sia necessario specificare oltre!
Intanto la nostra professione dopo anni trascorsi all’ombra della dirigenza medica ha visto gradualmente riconosciuta la sua importanza anche attraverso la determinazione dei profili professionali e tuttavia gli Infermieri ancora mancano un po’ dovunque, con mille ipotesi sulle cause e mille frammentarie risposte sul perché ancora pochi vogliono intraprendere questa professione.
Ai sindacati va forse rimproverato di non aver considerato quanto abbia inciso in questi anni la tipologia di contratti basati su scelte quanto meno opinabili senza aver concretamente incentivato un concreto percorso di carriera e remunerazione per dei lavoratori che oggi la legge riconosce come professionisti, ai quali si chiede professionalità e responsabilità ma che lo stato paga come poco più dei ragazzi che portano le pizze a domicilio.
I difetti sono rinvenibili in molteplici aspetti a cominciare dalla rigidità di un contratto che non consente alle strutture pubbliche di offrire maggiori disponibilità rispetto a quelle private che potendo offrire di più possono contare di più sulla disponibilità dei professionisti a lavorare per loro.
Intanto le dirigenze aziendali continuano a restarsene in silenzio senza esprimere chiaramente se e quali strategie intendano adottare per evitare la fuga degli Infermieri da certe aziende più rigide o ottuse di altre, e sembrano passati i tempi un cui un ospedale veniva valutato soprattutto per le persone che ci lavoravano, per la loro attenzione, la loro professionalità nei confronti di chi sta male.
Oggi assistiamo a sistemi di valutazione meccanicistici basati su spesa e fatturato, spesso senza nemmeno tenere in considerazione la necessità di spendere meno per ciò che in realtà non produce reddito a favore di chi ogni giorno lavora in corsia, o negli uffici che hanno uno scopo e fa la differenza tra un ospedale al quale nessuno si rivolge ed uno in cui la gente sceglie di andare.
Eppure le dirigenze, amministrative e sanitarie non sembrano rendersi conto che gli utenti sono in grado di giudicare, che sono informati, e che a loro importa davvero poco trovare la reception con tanto di bancone in legno, la scritta color oro e il personale in giacca e cravatta.
Gli utenti, quelli che lottano ogni giorno per vivere nel decoro quelli che stanno male e per i quali perdere un giorno di lavoro vuol dire rischiare il posto, vorrebbero solo servizi più efficienti, liste di attesa meno lunghe, più personale ad occuparsi di loro anche con ingressi meno sfarzosi, loro poi di quelle scrivanie immense e di quelle poltrone direzionali in pelle che sono nelle stanze dei dirigenti non sanno proprio che farsene, e magari vorrebbero solo qualche sedia in più nelle sale d’attesa dove spesso sono costretti ad aspettare anche per delle ore a meno che s’intende …… ma questo è un’ altro aspetto.
Insomma sono stanchi di vedersi scavalcare nelle liste di attesa da chi con più soldi può permettersi di pagare un intervento in intramoenia e non capiscono perché un servizio pubblico consenta tutto questo, perché le direzioni, i servizi di controllo della qualità, le Regioni, lo Stato, non vigilino su tutto questo, perché tutti abbiano permesso al servizio sanitario pubblico di diventare una macchina per fare soldi, anzi per far guadagnare soldi a qualcuno.
Credo che anche il buon Fabrizio proprio non riesca a digerire che a Dicembre dello scorso anno mentre era al telefono con la signora Maria sia stato costretto a dirle “mi dispiace signora per la prenotazione siamo arrivati a fine luglio, ma se vuole può eseguire l’intervento in intramoenia, se accetta venga lunedì prossimo a digiuno.
Fabrizio sa che la signora Maria, lavora come badante per mantenere i suoi tre figli, e che fa i salti mortali per arrivare alla fine del mese, lo sa perché anche lui fa lo stesso ogni mese da 30 anni e sa che di certo qualche poltrona e qualche posto di dirigente in meno potrebbero consentire all’ospedale per cui lavora, di assumere altro personale così la signora Maria non dovrebbe aspettare sino a luglio per essere operata, e magari con parte del denaro risparmiato sarebbe possibile anche un passaggio di fascia così che lui forse a Natale possa comprare un regalo ai suoi figli.
Questo Fabrizio lo sa ma non può dirlo, ma anche lo Stato lo sa e lo fa dire all’ISTAT, e così c’è chi non può e non deve dire, c’è chi sa e fa dire ad altri, e c’è anche chi dovrebbe intervenire ma non può costretto forse da troppi compromessi per sedere sulla quella poltrona dirigenziale e poter usufruire magari anche della sua auto blu, mentre intanto il divario tra poveri e dirigenti, diventa ogni giorno più ampio. E chi sa i dati ISTAT del prossimo anno!
Fonte: Grasso.