«Ho i segni sulla spalla e sul torace. Sono afflitto da problema cardiaco, peso 110 chili. Ho accusato un malore e temuto di avere un ictus, poi mi hanno accompagnato in ambulanza dal reparto di prima pneumologia al pronto soccorso». Vincenzo Minervino, 42 anni, dal 2003 infermiere al Cardarelli, racconta l’ultimo episodio di violenza in corsia, che si aggiunge ai 30 registrati nel 2005.
Che cosa è accaduto?
«Per spiegare, è importante chiarire questo: in reparto era ricoverata una donna in gravissime condizioni, uscita a inizio giugno dalla terapia intensiva. Poi le sue condizioni sono peggiorate ed è morta. Ma noi abbiamo fatto tutto quello che era umanamente possibile».
Quando è morta la paziente?
«Alle 19.20 di venerdì. Accanto a lei, c’era anche un’assistente qualificata messa dai familiari che li ha avvisati. D’improvviso uno scalmanato è entrato, urlando e chiamandoci assassini e si è diretto verso il medico di guardia».
Urla, e poi?
«Ero in medicheria, e sono intervenuto per difendere il medico».
Come?
«Mi sono interposto tra il medico e l’aggressore e sono stato strattonato con violenza: ho avvisato le guardie giurate che sono intervenute e hanno fermato l’aggressore che lo stesso medico di guardia a quel punto cercava di tranquillizzare. Ho preteso anche l’intervento delle forze dell’ordine».
Gli altri due suoi colleghi come sono stati feriti?
«Stavano preparando la salma per il trasporto all’obitorio. Una è stata aggredita da un altro parente della paziente: mani al collo e graffi. E il collega che ha diviso le due donne ha avuto un malore».
Che dice il referto?
«Oltre alle contusioni, ero in stato di agitazione. Sette giorni refertati a me, sei alla collega, quattro all’altro infermiere»
È la prima volta che viene aggredito?
«Assolutamente no. Queste aggressioni si ripetono spesso e volentieri, ma spesso sono soltanto verbali: è successo due volte solo nell’ultimo mese. Finora non avevo denunciato, ma questa volta lo ho fatto. Vado a lavorare, non a un incontro di boxe. Sono stanco di lavorare difendendomi, ho bisogno di serenità per assistere gli ammalati e purtroppo questa tranquillità non c’è. Siamo tutti sempre sul chi va là. E questo accade perché assistiamo pazienti in sovrannumero: ieri avevamo trenta pazienti per ventuno posti letto».
E il personale?
«Tre infermieri di turno più il medico di guardia, che però nel pomeriggio si occupa di seguire i pazienti dell’intero padiglione».
Quindi le aggressioni sono provocate anche dai disagi?
«Il classico litigio avviene quando arrivano pazienti in barella dal pronto soccorso. Si aspettano di trovare il posto letto che invece non possono avere. Naturalmente, se la prendono con noi. Non c’è privacy e in più non rispettano determinate regole.
Ma la maggior parte dei litigi avviene con i parenti».
Ad esempio?
«I familiari pretendono di assistere a tutte le fasi della medicazione e addirittura dirigere il processo di cura. Ma io devo fare quel che dice il medico. Per questo, avvengono feroci discussioni».
Altri casi?
«In tutto l’ospedale il numero di operatori socio-sanitari è insufficiente. Ciò significa che dobbiamo provvedere noi infermieri a distribuire la cena o a cambiare i pannoloni. Tempo rubato all’attività infermieristica, ma quando un familiare chiede un intervento, non capisce che non posso toccare le feci, mentre sto distribuendo le medicine».
fonte
Il Mattino .it