La perdita del posto di lavoro per alcuni mesi, ed il successivo reimpiego a condizioni peggiori, vulnerando un diritto costituzionalmente garantito, aprono al risarcimento del danno non patrimoniale oltre quello patrimoniale. Lo ha stabilito il Tribunale di L’Aquila, sentenza 10 febbraio 2015 n. 142, accogliendo la domanda di un’infermiera impegnatasi in un percorso di mobilità non andato a buon fine.
Il caso – La donna di origine abruzzese ma impiegata a Milano aveva fatto domanda di trasferimento presso la Ausl 4 di L’Aquila. Ottenuto il via libera da parte del direttore generale dell’azienda sanitaria (deliberazione 88/2008), aveva rassegnato le dimissioni dal precedente impiego. Successivamente però l’Ausl aveva fatto marcia indietro sostenendo che l’ospedale di provenienza non aveva «adeguato i propri ordinamenti del personale alle disposizioni del Dlgs 502/1992», deliberando la sospensione del trasferimento. A questo punto, revocate invano le proprie dimissioni, si era trovata senza lavoro e solo dopo alcuni mesi, a seguito di concorso pubblico, era stata assunta presso un altro ospedale lombardo «come infermiera semplice perdendo tutta la professionalità acquisita».
La motivazione – Così ricostruita la vicenda, il tribunale ha ritenuto provati tutti gli elementi strutturali dell’illecito aquiliano (ex articolo 2043 del codice civile), e cioè: «la condotta antigiuridica concretatasi nelle deliberazioni dell’ASL 4, contraria al principio della correttezza e al parametro della diligenza di buona fede, il danno ingiusto nella lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti e dunque meritevoli di tutela, il nesso causale tra la condotta dell’azienda sanitaria e l’evento dei danni patrimoniali e non patrimoniali giuridicamente rilevanti».
E rifacendosi alla giurisprudenza di legittimità (S.U. n. 26972/2008) ha stabilito che va riconosciuta «la risarcibilità del danno non patrimoniale ai sensi dell’artt. 2059 cod. civ. in tutte le ipotesi in cui l’illecito leda diritti alla persona costituzionalmente garantiti e tra questi rientrano il diritto al lavoro vulnerato dalle deliberazioni della ASL 4». Infatti, conclude il tribunale, «è da ritenersi comprovata la correlazione tra le deliberazione della azienda sanitaria ed il verificarsi del danno esistenziale consistente nella perdita del posto di lavoro, per un certo periodo di tempo, e poi nell’effettivo peggioramento delle condizioni di vita quotidiane per aver comunque perso la professionalità acquisita in anni si studio e di lavoro». Da qui la condanna a risarcire 100mila euro per danni patrimoniali e 10mila «per il peggioramento delle condizioni di vita quotidiane e per le sofferenze patite a causa della perdita, seppur temporanea, del posto di lavoro e per la perdita della professionalità lavorativa acquisita in anni di studio e di lavoro».
fonte Il sole 24 ore sanita.it