Il 25 ottobre 2012 la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una prima procedura di infrazione. A maggio 2015 arriva la secondo dove la Commissione contesta all’Italia, tra l’altro, “che soltanto di recente la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 26951 del 2.12.2013, ha stabilito un indennizzo per il tempo realisticamente necessario a trovare un nuovo posto di lavoro”
– Il precariato nel settore pubblico pur avendo raggiunto alti livelli di insostenibilità, vede il Governo italiano immobile e privo di ogni iniziativa, per questo la lotta al precariato si è intensificata a tal punto da aver indotto la Commissione europea ad aprire una nuova procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano.
La Commissione europea a seguito delle denunce presentate nel 2013 e 2014 ha aperto nei confronti dello Stato italiano una nuova procedura di infrazione NIF 2014/4231 per violazione della clausola 4 (principio di non discriminazione) della direttiva 70/1999/ce, in quanto risultano esserci diversi casi di trattamento sfavorevole di dipendenti pubblici con contratto a tempo determinato rispetto a quelli con contratto a tempo indeterminato.
Nella mia denuncia ho segnalato alla Commissione europea come in Italia, ai precari della Pa vengono negati diversi istituiti contrattuali, tra cui i premessi per lutto, permessi studio, per partecipare a concorsi ed esami ecc., ponendo in essere una chiara e netta violazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 della direttiva 70/1999/ce.
Ho inoltre denunciato alla Commissione come nel settore pubblico in generale, ma soprattutto in sanità, vi è una inefficacia e inadeguatezza delle misure adottate dall’Italia per far fronte all’abuso di contratti di lavoro a tempo determinato per i precari che abbiano superato i 36 mesi di servizio anche non continuativo presso la stessa pubblica amministrazione con mansioni equivalenti.
Il percorso non è stato affatto facile, in quanto è stato necessario richiedere l’intervento del Mediatore europeo per indurre la Commissione europea a riscontrare celermente le mie denunce.
Cerchiamo ora di mettere in ordine le questioni attraverso un breve escursus storico delle procedure di infrazione.
Il 25 ottobre 2012 la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia la procedura di infrazione n° 2010/2124 per la non corretta applicazione della direttiva 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato nella scuola pubblica. Uno dei rilievi avanzati dalla Commissione riguarda l’insufficiente efficacia delle misure destinate a contrastare l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato nelle scuole pubbliche italiane, identica condizione presente in tutto il settore pubblico. Il 20 novembre 2013 la Commissione europea ha inviato un parere motivato all’esito della procedura di infrazione n° 2010-2124, per il quale non ha ricevuto alcuna risposta da parte del Governo italiano in termini di modifiche normative che consentano di rimuovere la situazione interna di totale inadempimento alle clausole 4 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato per tutto il personale della scuola pubblica.
La stessa Commissione europea ha ammesso però, rispondendo all’interrogazione E-010721-14 presentata dall’europarlamentare Ignazio Corrao, “che la questione dell’efficacia e dell’adeguatezza delle misure adottate dall’Italia per far fronte all’abuso di contratti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore pubblico è oggetto di una procedura di infrazione” confermando che procedura di infrazione n° 2010/2124 è stata estesa a tutto il settore pubblico, con intuibili risolti per il settore della sanità.
A maggio 2015 la Commissione europea con l’apertura della procedura di infrazione NIF 2014/4231 censura nuovamente la condotta dello Stato italiano, contestandoci tra l’altro “che soltanto di recente la Corte di cassazione, nella sentenza n. 26951 del 2.12.2013, ha stabilito un indennizzo per il tempo realisticamente necessario a trovare un nuovo posto di lavoro”.
Viene sollevato, quindi, l’annoso problema dell’assenza di una sanzione che rispetti i canoni adeguatezza, effettività, proporzionalità e dissuasività come richiesto dalla Corte di giustizia.
Tale fattispecie è stata già oggetto di recente di specifica interrogazione al Parlamento europeo da parte dell’On. Eleonora Forenza.
Precari della sanità e obbligo di trasformazione del contratto da determinato a indeterminato una volta superati i 36 mesi
In Italia, i Giudici del lavoro, continuano a negare nel caso delle Aziende sanitarie locali, definite dalla Corte Costituzionale “Enti pubblici economici” (vedi ordinanza 49/2013), la riqualificazione del rapporto di lavoro da determinato ad indeterminato, in applicazione dell’art. 5 comma 4 bis Dlgs 368/2001, stante il divieto, a loro dire, posto dall’art. 36 d.l.vo 165/01.
La Corte di cassazione a Sezioni Unite con sentenza 4685/2015 del 09/03/2015 ha statuito invece al punto 14 che “Quanto ai limiti soggettivi di applicabilità di questa disciplina, è il tenore stesso della formulazione dell’art. 36 ad indicare un primo limite al suo campo di applicazione. Esso si applica, infatti, solo alle “amministrazioni pubbliche”, ovvero, secondo la definizione contenuta nell’art. 1, c. 2, dello stesso d.lgs. 30.03.01 n. 165 a “… tutte le amministrazioni dello Stato…, le Regioni, le Province, i Comuni, le comunità montane e loro consorzi e associazioni … tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali..”; sono dunque esclusi gli enti pubblici economici (Sez. Lavoro 18.02.11 n. 4062, nonché 18.10.13 n. 23702, con riferimento alle società di capitale controllate dagli enti pubblici cui è demandato lo svolgimento di servizi a favore della collettività)”.
A fonte di questa importante sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite si deve esprimere notevole disagio sul fatto che siano state sollevate tre cause pregiudiziali sul precariato sanitario nei giudizi definiti dalle sentenze Marrosu-Sardino e Vassallo e dall’ordinanza Affatato sull’applicazione dell’art.36, comma 2 (poi 5), del d.lgs. n.165/2001 per poi scoprire che il Testo Unico sul Pubblico Impiego non è applicabile alle aziende sanitarie, che sono dal 1999 Enti pubblici economici e quindi soggetti imprenditori.
In effetti, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definitivamente concluso al pt. 14 per la non applicazione del divieto di conversione in caso di abusivo ricorso a contratti a tempo determinato almeno nei confronti del personale precario degli Enti pubblici economici e delle società in house, con conseguente diritto alla riqualificazione a tempo indeterminato dei contratti flessibili almeno nella vigenza del d.lgs. n. 368/2001.
I Giudici italiani nel negare la conversione del contratto da determinato a indeterminato, una volta superati i 36 mesi, non prendono inoltre, in considerazione quanto statuito dalla Corte di Cassazione al punto 3.1 della sentenza 27363/14 del 23/12/2014, la quale con un obiter dictum chiarisce che in base all’ordinanza Papalia, l’unica sanzione adeguata nel pubblico impiego è l’art.5, comma 4 bis, d.lgs. n.368/2001, con la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro a termine successivi, anche non consecutivi, una volta superati i 36 mesi con lo stesso datore di lavoro, richiamando indirettamente il punto 55 della sentenza Mascolo della Corte di giustizia del 26/11/2014 «55. Lo stesso Tribunale di Napoli, infatti, constata, nella sua ordinanza di rinvio nella causa C 63/13, che la ricorrente nel procedimento principale beneficia, a differenza delle ricorrenti nei procedimenti principali nelle cause C 22/13, C 61/13 e C 62/13, dell’applicazione dell’articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001, disposizione che prevede la trasformazione dei contratti a tempo determinato successivi di durata superiore a 36 mesi in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Da tale constatazione detto giudice rileva, giustamente, che la citata disposizione costituisce una misura che, nei limiti in cui previene il ricorso abusivo a siffatti contratti e implica l’eliminazione definitiva delle conseguenze dell’abuso, è conforme ai requisiti derivanti dal diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenza Fiamingo e a., C 362/13, C 363/13 e C 407/13, EU:C:2014:2044, punti 69 e 70, nonché giurisprudenza ivi citata)».
Questa resistenza nell’uniformarsi alla giurisprudenza comunitaria da parte Magistratura del lavoro ha portato all’attivazioni di ricorsi seriali presso il Tribunale di civile di Roma per flagrante violazione del diritto comunitario, con richiesta di risarcimento danni in forma specifica (trasformazione del contratto da determinato a indeterminato), secondo quanto statuito dalla sentenza Francovich, procedimenti riuniti C-6/90 e C-9/90, della Corte di giustizia del 19 novembre 1991, dove al punto 37 della sentenza si afferma che “da tutto quanto precede risulta che il diritto comunitario impone il principio secondo cui gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili”.
Il DPCM 6 marzo 2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23-4-2015, all’attenzione della Commissione europea
Il Governo italiano con la pubblicazione del DPCM 6/3/2015, ha disciplinato le procedure concorsuali dei precari della sanità che alla data del 30/10/2013 abbiano maturato negli ultimi 5 anni almeno tre anni di servizio, riservando ad essi il 50% dei posti messi a concorso, computando nei 36 mesi tutti i periodi svolti non solo presso lo stesso datore di lavoro, ma anche presso altri Enti del Servizio Sanitario Regionale.
Il DPCM 6 marzo 2015 essendo rivolto solo ad un numero limitato di lavoratori, a seguito della previsione di un limite temporale al conseguimento dei 36 mesi, non risolve affatto il problema del precariato in sanità, in quanto esclude una grande fetta di lavoratori precari che hanno comunque superato il tetto massimo dei 36 mesi, ma che non hanno avuto la fortuna di conseguirli nel quinquennio antecedente al 30/10/2013, violando così alla data di pubblicazione il D.lgs 368/2001 (art. 5 comma 4 bis) ed oggi il Dlgs 15 giugno 2015 n. 81 (art. 19 comma 2).
Per tale motivo si è chiesto alla Commissione europea di verificare se tale situazione dei precari della sanità in Italia non sia palesemente in contrasto con la citata direttiva n. 1999/70/CE e con la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26/11/2014, e non determini una ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori precari comparabili, invitandola ad assumere ogni iniziativa urgente tesa a superare il fenomeno del precariato in sanità, favorendo la totale assunzione di tutto il personale che ha superato i 36 mesi di servizio, indipendentemente dal limite temporale.
Dott. Pierpaolo Volpe
Master in infermieristica forense
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