20 LUG – Gentile Direttore,
da qualche tempo gli infermieri iscritti a questa Federazione sono oggetto di errori mediatici che suscitano grande imbarazzo e risentimento nei professionisti: il termine “infermiere” è utilizzato a vario titolo per indicare operatori di altre professionalità che compiono atti e, spesso, illeciti o reati di varia natura. In sostanza negli ospedali (ma anche nei servizi sanitari sul territorio), sembrano esistere solo due categorie professionali da citare per i media: medici e infermieri.
Il principale fraintendimento dei mezzi di comunicazione avviene quando si utilizza la qualifica di infermiere, attribuendola erroneamente a personale ausiliario, a operatori sociosanitari o a operatori tecnici dell’assistenza e per questo scrivo a Lei (e tramite Lei a eventuali sedi distaccate della Sua testata) in quanto responsabile di ciò che da essa viene diffuso, per tentare di scongiurare – anche se la testata da Lei diretta non fosse mai incorsa in questo errore – ulteriori pestaggi mediatici nei confronti di professionisti che, per come operano ogni giorno al fianco dei più deboli, certamente non lo meritano. I professionisti infermieri chiedono quindi aiuto ai professionisti giornalisti con un fine “preventivo”, che può evitare però agli infermieri di essere indicati come responsabili di comportamenti infamanti anche quando sono estranei ai fatti, cercando così di tranquillizzare la categoria.
Ma anche di evitare richieste di rettifica a mezzo stampa che si stanno moltiplicando con effetti spiacevoli sia per i mezzi di comunicazione, dei quali rispettiamo il servizio erogato, la necessità dell’attività e la sua utilità sociale, sia per i nostri professionisti, che hanno come obiettivo della loro attività la tutela della salute dei pazienti, soprattutto di quelli sempre in aumento: anziani, non autosufficienti, cittadini affetti da patologie croniche e, in generale fragili, con esigenze di continuità assistenziale e di lunghe terapie che vanno al di là dell’intervento in fase acuta, di diagnosi e di prima terapia. Perciò cerchiamo in poche righe di spiegare la differenza esistente tra la professione di infermiere e le altre attività con cui questa è troppo spesso confusa.
Certi naturalmente che nessuno, con buon senso, utilizzi la qualifica per indicare genericamente altri professionisti (le professioni sanitarie riconosciute dalla legge oltre quella dell’infermiere sono altre 21) che operano in ospedali e strutture pubbliche e private. Gli infermieri da quindici anni ormai sono laureati (in base alla legge 251/2000 – Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) e dal 2004 conseguono la laurea specialistica in Infermieristica (5 anni) per poter operare come responsabili esclusivi dell’assistenza sanitaria. Possono frequentare master e corsi di specializzazione e avere incarichi di direzione di strutture anche complesse (in analogia, per essere chiari, a quelli attribuiti nella professione medica ai primari).
Hanno, in base alla legge 43 del 2006, obbligo di iscrizione all’Albo professionale per poter esercitare la professione e garantire la tutela e la qualità del loro operato dal punto di vista clinico-manageriale, ma anche etico e morale. Si occupano dell’assistenza al paziente e garantiscano la corretta esecuzione della terapia prescrittagli dal medico al fine di migliorare dal punto di vista clinico la sua qualità di vita, potenziando le possibilità di guarigione e di benessere, creando le condizioni che possano contenere la sofferenza anche grazie alle loro competenze in ambito educativo.
L’ausiliario è invece una figura “a esaurimento”, quindi destinata a uscire dagli organici sanitari, che si occupa delle esigenze di igiene ambientale, fattorinaggio e trasporto pazienti su indicazione del coordinatore infermieristico. L’operatore sociosanitario (Oss) è una figura di supporto che coadiuva gli operatori professionali in ambito sanitario e sociale; nello svolgimento delle sue attività si attiene alle indicazioni che da loro ricevono. Il suo compito è, in questo caso, su indicazione e valutazione dell’infermiere anche svolgere attività che aiutino le persone a soddisfare i bisogni di base (alimentazione, igiene personale, cura di sè, mobilizzazione ecc.). L’operatore tecnico dell’assistenza (Ota) svolge la propria attività in ambito alberghiero, di pulizia e manutenzione di utensili, apparecchi, presidi usati dal paziente e dal personale medico e infermieristico per l’assistenza al malato e, sotto le direttive dell’infermiere, compie atti di accudimento semplici al malato. L’Ota opera sotto la diretta responsabilità dell’infermiere coordinatore o, in assenza di questo, dell’infermiere responsabile del turno di lavoro. Come vede da queste brevi note, quindi, siamo di fronte a fraintendimenti che minano alla base l’immagine di una categoria professionale riconosciuta dalla legge come professione intellettuale, con obblighi di aggiornamento continuo, condizione non richiesta dalla norma per le figure di cui sopra.
Comunque, per rendere più semplice eventuali verifiche sulla professionalità degli operatori sanitari ai quali è necessario fare riferimento per il loro legame a fatti di cronaca, la nostra Federazione mette anche a disposizione la possibilità di verifica immediata di iscrizione all’albo, senza la quale l’operatore non si può definire infermiere.
E’ sufficiente per questo accedere al sito della nostra Federazione (www.ipasvi.it), poi alla voce “Chi siamo” e, quindi “Ricerca albo”: la maschera che compare consente di inserire nome e cognome (e anche l’eventuale Collegio di appartenenza che corrisponde alla Provincia) della persona e controllare così istantaneamente se è o non è davvero un infermiere. E’ evidente il danno di immagine che deriva da una generalizzazione di definizione per la professione infermieristica, apprezzata e ben conosciuta dai pazienti, non certo nella forma negativa che spesso emerge per colpa di terzi estranei.
Sono certa che comprenderà la necessità di questo chiarimento e Le chiedo collaborazione per evitare il ripetersi di tali situazioni e per poter valorizzare la categoria di cui faccio parte, favorendo così la necessaria serenità nell’attività quotidiana che questi responsabilmente esprimono. Nel ringraziarLa per il tempo che ci ha dedicato e certa della sua comprensione e collaborazione, anche solo a scopo “preventivo”, Le porgo i saluti a nome mio, della Federazione che rappresento e di tutta la categoria professionale degli infermieri.
Barbara Mangiacavalli
Presidente nazionale Federazione Collegi Ipasvi
fonte Quotidianosanita.it