Osteopatia. 23 LUG – Gentile direttore,tra le lettere a lei indirizzate ho riscontrato un recente intervento critico in merito alla volontà del Governo di regolamentare l’osteopatia. Nelle considerazioni pubblicate ho condiviso solo il riferimento alla partecipazione attiva degli osteopati, non certo i richiami alla confusione e le accuse apodittiche alla nuova categoria professionale.
In particolare, non ritengo che la volontà di un Ministero a tutela della salute e della sicurezza possa essere considerata confusa o “ammiccante” verso una categoria, così come il richiamo alla qualità della formazione in osteopatia possa intendersi come pubblicità di un corso, specie se questo viene formulato a testimonianza dell’ufficialità e della scientificità presente nella formazione osteopatica in essere (cfr.: intervento del Direttore IEMO del 12 luglio u.s.).
Pare altresì logico che la necessaria credibilità pedagogica e deontologica degli studi sanitari, evocata dalle associazioni di fisioterapisti e dai corsi di laurea sanitari, non possa rappresentare appannaggio esclusivo di queste stesse rappresentanze, a meno che non si pensi che l’Organizzazione Mondiale della Sanità sia in errore quando sollecita l’integrazione dell’osteopatia nei sistemi sanitari, così come già legiferato in numerosi Stati occidentali. Si potrebbe controbattere restituendo al mittente ogni illazione, citando ad esempio l’abusivismo di coloro che esercitano l’osteopatia (soggetta a IVA al 22%) in veste di fisioterapisti o senza una preparazione completa, ma non credo che il conflitto debba essere l’obiettivo dei nostri interventi pubblici, né che la palese tendenziosità meriti specifica considerazione.
Ciò che conta è che le maggiori associazioni italiane di osteopati sostengano il Governo nella regolamentazione di questa professione in termini sanitari e autonomi, valorizzando le competenze diagnostiche e le peculiari abilità manuali nella formazione dei neo-professionisti, ovvero rifiutando assimilazioni contradditorie ad altre figure professionali esistenti. In analogia con la Francia, l’Inghilterra, la Svizzera e altri Paesi con cui vige la libera circolazione dei professionisti, non potrebbe essere altrimenti. Nessun altra norma potrebbe tutelare meglio la salute dei cittadini e la dignità professionale di chi esercita legittimamente l’osteopatia in Italia, senza confondersi in diverse competenze professionali o ricorrere ad espedienti dalla dubbia legalità.
Lo stesso dibattito interno alla categoria non può essere strumentalizzato, ponendo in evidenza posizioni minoritarie a sostegno di un’improbabile e tardiva regolamentazione dell’osteopatia da considerarsi impropriamente nel novero delle “medicine alternative” o delle professioni autoregolamentate. Né trovo comprensibile al riguardo gli interventi di alcuni colleghi, il cui unico risultato pare il sostegno alle fila dei nostri detrattori.
L’approvazione dell’emendamento De Biasi nel DDL Sanità trova il favore della maggior parte degli osteopati, fiduciosi che gli Organi preposti potranno disciplinare e salvaguardare il patrimonio culturale e professionale dell’osteopatia italiana, consentendone lo sviluppo a beneficio degli utenti, dell’interazione professionale in sanità, del risparmio nella spesa sanitaria e della prospettiva professionale dei nostri giovani, altrimenti costretti ad espatriare per formarsi come attualmente è già possibile in alcuni Istituti italiani autorizzati e controllati.
Gli stessi Istituti presso cui si aggiornano i professionisti sanitari, accreditandosi in base alla norma nazionale ECM. Scuole riferite ad organizzazioni a favore dell’evoluzione qualitativa della formazione, che selezionano fin d’ora gli accessi ed erogano la formazione in ottemperanza delle normative europee vigenti, sviluppando autonomamente e senza finanziamenti pubblici ricerca e cooperazioni internazionali. Quali migliori riferimenti per i futuro della migliore osteopatia anche in Italia?
Federico C. Franscini
Osteopata D.O. Associazione Professionale degli Osteopati
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