02 AGO – Gentile direttore,
ancora una volta approfitto dello spazio offerto dal Suo giornale per affrontare un argomento trattato anche in precedenza: i malintesi radicati e la realtà non infrequentemente distorta tra infermieri e Oss. La babele di opinioni sulla differenza fra ruolo e professionalità degli infermieri e ruolo e mansioni degli OSS continua a manifestarsi non appena se ne presenta l’occasione.
L’ultima a questo proposito è stata la pubblicazione della richiesta del Nursind di adottare una chiara identificazione dei ruoli sui contrassegni distintivi, nella speranza che in futuro possa realizzarsi una differenziazione delle divise, comune su tutto il territorio nazionale.
La notizia, riportata su “Infermieristicamente” è stata variamente commentata, sia da infermieri che, immancabilmente, da operatori socio sanitari.
Quello che ne emerge, facendo sintesi dei vari commenti, disegna tre direttrici su cui riflettere:
1 – alcuni (molti, pochi, la maggior parte?) OSS ritengono che l’infermiere debba supplire alle loro incombenze, svolgere i loro compiti.
2 – alcuni infermieri ritengono che la responsabilità della confusione sui ruoli sia anche imputabile agli infermieri stessi
3 – alcuni infermieri ritengono che tale responsabilità sia da ricercare in via esclusiva nell’operato delle funzioni di coordinamento e dirigenziali.
E’ ormai acclarato che vi è una diffusa dispercezione del ruolo dell’infermiere e delle caratteristiche della professione. Se si legge ancora oggi, a oltre vent’anni dall’istituzione del profilo professionale, che l’infermiere “deve” “imboccare e cambiare pannoloni, mettere a letto e servire a tavola pranzo cena e colazione” è evidente che un problema di conoscenza c’è. E’ evidente perché questo tipo di assistenza è quella alberghiera, che compete all’OSS e di cui l’infermiere, insieme a molti altri aspetti dell’assistenza (che non si devono per forza concretizzare in un azione fisica – ecco perché parliamo di professione e non di compiti), è responsabile. Responsabile non vuol dire esecutore.
Non è una differenza da poco, perché sottintende aver metabolizzato un’organizzazione del lavoro strutturata per responsabilità piuttosto che per compiti.
E’ quindi necessario, seppur ormai tedioso, dover nuovamente ricordare che l’istituzione del profilo professionale dell’infermiere con legge dello Stato ha attribuito a questi professionisti una responsabilità, che li allontana dalla concezione mansionistica e li porta ad essere, appunto, professionisti e non operatori. Per semplificare e, mi perdoni chi troverà l’accostamento banale e spartano, è come dire che quando si costruisce una casa il geometra deve fare la malta per aiutare il manovale, mica perché il manovale non ce la fa, ma perché piuttosto che stare a pensare al progetto è più utile che usi la pala. Utile, certo, ma per chi? Senza dubbio per il manovale. Il lavoro è troppo e mancano manovali? Assumiamo geometri allora! Eh no, ma nemmeno questo funziona… nel nostro bel sistema accade invece più spesso che, mancando geometri, mettiamo i manovali a improvvisarsi piccoli geometri.
Da dove nasce quindi questa di percezione? Secondo me è difficile identificare un’origine unica, puntiforme. Piuttosto è un insieme di concause, diabolicamente intrecciate fra loro.
Una delle concause può annidarsi nei percorsi formativi degli OSS, dove probabilmente non viene spiegato correttamente il rapporto fra le professioni sanitarie. Qualcuno sobbalzerà, a questo punto. Ma come? Se sono laureati, medici, dirigenti a fare lezione agli OSS!!! Ecco, appunto. Perché i progetti formativi non richiedono che la formazione degli OSS sia delegata alla professione che poi, secondo legge, dovrà coordinarne l’attività e che sarà responsabile di quanto fanno? Perché non sono gli infermieri a insegnare ai corsi OSS? Beh, le risposte sono, anche in questo caso, più di una. La prima va forse ricercata nei criteri di valutazione dei progetti formativi (che, ricordiamo, sono delegati alle Regioni); progetti formativi in cui il personale docente è rappresentato da medici, direttori, dirigenti è probabile che ricevano punteggi di valutazione più alti rispetto a progetti in cui il personale docente è rappresentato da infermieri.
La seconda probabilmente risiede nella scarsa propensione del personale docente attualmente impiegato in questi corsi a lasciare il campo agli infermieri; motivi di danno economico? Di leso prestigio? Ognuno può pensarla come vuole al riguardo, come per tutto il resto, ovviamente. La cosa inconfutabile, secondo me, è che se la formazione è demandata a chi, per come sappiamo essere la situazione delle relazioni interprofessionali, ha schiacciato gli infermieri in un limbo intollerabile, ha alimentato il demansionamento e la confusione dei ruoli nei reparti, si oppone con ogni mezzo al riconoscimento delle competenze e della professionalità autonoma degli infermieri… beh, se questo è, non ci si può aspettare che agli OSS venga trasmesso un messaggio di altro tenore.
Un’altra concausa del problema di confusione (quella precedente riguardava più l’ignoranza, nel senso letterale del termine) si annida nei reparti. Qui il “tappabuchismo” la fa da padrone e, manco a dirlo, il gran protagonista indiscusso è il nostro infermiere. Complici un’organizzazione del lavoro che, se sulla carta dovrebbe essere per responsabilità, in realtà è rimasto fermo a vent’anni fa, la carenza di personale, le pressioni spesso indebite (si pensi ai rapporti di forza laddove i servizi sono appaltati ad aziende esterne di cui gli infermieri sono dipendenti…), la propensione a cercare comunque di fare il meglio per il paziente… e l’infermiere fa tutto quello che serve. Porta le padelle, serve in tavola, cambia i pannoloni, e in più fa quello che dovrebbe essere di suo competenza.
Ci si difende dietro il Codice Deontologico (art. 49) che ci chiede di farlo… trascurando che questa concessione dovrebbe essere subordinata all’eccezionalità del caso, non alla norma.
In questo campo si mischiano, secondo me, le responsabilità sia degli infermieri che dei coordinatori e dei dirigenti. I primi dovrebbero fare di più per affermare la dignità della propria professione e il proprio ruolo all’interno del sistema sanitario; i secondi dovrebbero assumere decisioni (è il loro mestiere, del resto) rispettose delle leggi e delle prerogative dei professionisti impiegati nel sistema. Come ha scritto qualcuno… “a ciascuno il suo”; secondo me è un ottimo principio, basato su una cosuccia che passa sotto il nome di “equità”.
Molte volte ho scritto che siamo noi infermieri che dobbiamo prendere in mano le nostre sorti; oggi lo scrivo ancora, non per sollevare tutti gli altri dalle loro responsabilità, che sono chiare e indiscutibili, ma perché non possiamo pensare che questo slancio venga “da fuori”. Da fuori dove? Dai medici? Dai dirigenti? Dagli OSS? Se crediamo che questo sia possibile, abbiamo davvero un grosso problema da risolvere. Preferisco pensare (e sperare) che le nostre rappresentanze siano di altro orientamento, perché senza una rappresentanza forte la lotta di ciascuno di noi sarà tanto dura quanto improduttiva.
Chiara D’Angelo
Infermiera