Si fa sempre un gran parlare della responsabilità dei medici negli ospedali. Ma quale posizione, in tutto questo, spetta agli infermieri?
L’infermiere, nell’esercizio della sua attività, può arrecare danni sia ai pazienti e talvolta, di riflesso, anche al proprio datore di lavoro.
Tale scontata affermazione è confermata anche dalla cronaca giudiziaria che ci propone periodicamente casi di operatori sanitari coinvolti in cause per danni arrecati a pazienti derivanti dall’errata somministrazione di farmaci, dall’errato posizionamento su lettino operatorio, dall’errato funzionamento delle apparecchiature per l’inoculazione dell’anestetico, dalla dimenticanza di corpi estranei nell’organismo nel corso di intervento chirurgico, da errori di trascrizione della terapia dalla cartella clinica alla cartella infermieristica o infine, dall’errata valutazione della gravità del caso nell’esercizio della funzione di triage di pronto soccorso.
Secondo diverse sentenza della Cassazione [1], anche gli gli infermieri, hanno , delle responsabilità per “colpa medica”. La Corte ha riconosciuto loro una propria autonomia di controllo sulle condizioni del paziente. In altre parole, essi devono verificare la compatibilità del quadro clinico del malato con le cure prescritte dai medici. Ciò significa, tenere sotto controllo l’andamento della convalescenza, il decorso postoperatorio e intervenire prontamente in caso di emergenza.
È quella che, in gergo giuridico, viene definita “posizione di garanzia” e che impone al soggetto “garante” un controllo costante nei confronti di chi, invece, non è in grado di badare a se stesso in una determinata circostanza.
Secondo la Suprema Corte, tra i compiti dell’infermiere vi è quello di controllare il decorso della convalescenza del paziente ricoverato in reparto in modo da poter porre le condizioni, in caso di dubbio, di un tempestivo intervento del medico.
Non si può quindi giustificare l’eventuale errore dell’infermiere sostenendo che questi sia sprovvisto di autonomia decisionale e di valutazione, a differenza del medico; al contrario, l’infermiere, anche solo in caso di dubbio ragionevole, ha il dovere di chiamare l’attenzione tempestiva del medico di turno, cui affidare la valutazione clinica,
Abrogato il c.d. Mansionario e venuta meno la distinzione tra professioni sanitarie principali e ausiliarie, la responsabilità di cui oggi l’infermiere deve farsi carico è sicuramente più completa e più complessa rispetto al passato.
Invero, il maggior grado di competenza richiesta e il riconoscimento di una notevole autonomia decisionale nella scelta della tipologia di intervento assistenziale da adottare nel singolo caso concreto rendono l’infermiere direttamente responsabile dell’assistenza generale infermieristica.
Alla luce dei recenti interventi normativi in materia di personale sanitario non medico, pertanto, l’infermiere non può addurre a sua discolpa, come accadeva in precedenza, la necessaria competenza medica nella scelta del trattamento terapeutico, sostenendo di essere il semplice esecutore di quanto disposto dal medico.
Somministrazione e dosaggio di medicinali
L’attività di somministrazione di farmaci deve essere eseguita dall’infermiere non in modo meccanico, ma in modo collaborativo con il medico. In caso di dubbio sul dosaggio prescritto l’infermiere si deve attivare non per sindacare l’efficacia terapeutica del farmaco, bensì per richiamare l’attenzione e richiedere la rinnovazione in forma scritta della prescrizione da parte del medico. Non compete invece alla caposala il controllo tra la corrispondenza del farmaco prescritto e quello in concreto somministrato, in quanto tale attività è demandata specificamente all’infermiera professionale [2].
Incombe sulla caposala l’obbligo di controllare la scadenza, non solo al momento in cui i medicinali vengono forniti al reparto, bensì periodicamente e di certo al momento in cui sono somministrati al paziente [3].