Quello che dal punto di vista del codice deontologico viene considerato una grave violazione della regola del rispetto fra i colleghi con il camice bianco, dal punto di vista della Corte di Cassazione penale viene punito invece come abuso d’ufficio e mobbing. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 40320 del 7 ottobre 2015 infatti punisce le condotta meschina di un direttore d’ospedale verso un suo medico e lo condanna perché responsabile dei delitti di abuso d’ufficio e maltrattamenti in famiglia.
Descrizione del caso: il direttore della struttura maltratta il medico
Il caso prende le mosse dalle continue condotte discriminatorie perpetrate sistematicamente da un direttore dell’unità di cardiochirurgia nei confronti di un medico chirurgo. Il direttore inizia la sua escalation di prevaricazione destinando il medico ad attività di consulenza in una struttura diversa e meno importante di quella dove abitualmente egli si reca. Non solo, fa anche in modo che il medico nella ripartizione degli interventi chirurgici tra lui e i colleghi, ne debba effettuare sempre meno degli altri. La vittima quindi non solo viene messa da parte all’interno dell’ambiente ospedaliero nel quale soleva svolgere le prestazioni mediche, ma assiste progressivamente allo screditamento delle sue competenze professionali.
Scattano i reati di maltrattamenti in famiglia (mobbing) e di abuso d’ufficio
La Corte di cassazione dopo aver tracciato la lista dei comportamenti scorretti perpetrati dal direttore nei confronti del medico chirurgo, si sofferma sulla presenza o meno del reato di mobbing, partendo quindi dall’accertamento della fattispecie criminosa di cui all’art 572 c.p.
Gli ermellini affermano che ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, occorre che il reo si trovi un una posizione di supremazia. La condotta illecita si realizza attraverso azioni prevaricatorie sistematiche tali da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni fra soggetto attivo e soggetto passivo. Ritengono quindi che nel caso concreto sussiste questa condizione di superiorità e sopruso proprio perché sono presenti tutti gli elementi della subordinazione del medico nei confronti del direttore, che è quindi asservito alla volontà arbitraria e arrogante del direttore, che abitualmente lo mortifica e lo disprezza.
E proprio l’intento vessatorio e persecutorio, presente in tutti i comportamenti del direttore costituisce la conferma della riconducibilità della sua condotta al reato di mobbing. Tra i delitti che i comportamenti mobbizzanti (molestia, ingiuria, estromissione del lavoratore dalla struttura organizzativa dell’impresa) si prestano ad integrare rientra sicuramente il reato dei maltrattamenti.
Il ragionamento dei giudici della Corte di Cassazione prosegue poi soffermandosi sul reato di abuso d’ufficio disciplinato dall’art. 323 cod. pen., recentemente interessato da modifiche normative.
La Corte di Cassazione, ignorando quell’orientamento giurisprudenziale di legittimità che nega la sussistenza del reato di abuso d’ufficio nel caso di violazione dell’art 97 Cost., ritiene invece che (la violazione di) tale articolo può integrare il reato di cui all’art 323 c.p. qualora la violazione del principio di imparzialità si estrinsechi in un a condotta da parte dell’incaricato di pubblico servizio imperniata ad assecondare i favoritismi.