In un precedente articolo ( studio legale Doglio) si è sottolineato come la L. 30 ottobre 2014, n. 161 non possa cancellare le pregresse violazioni subite dai lavoratori (dirigenti medici e personale del comparto) sulla cui pelle, in questi giorni, si discute di ipotesi di deroghe/proroghe, richieste insistentemente dalle Regioni ma respinte dal Governo.
Appare, peraltro, a dir poco singolare che le Regioni abbiano scoperto che l’applicazione della “nuova” normativa, divenuta operativa con decorrenza 25 novembre u.s. (ossia a distanza di un anno dall’entrata in vigore della legge!), avrebbe pregiudicato l’organizzazione dei servizi.
Di fronte alla dilagante disinformazione, che propone il tema dell’assoluta novità di un intervento legislativo invece a dir poco tardivo e imposto soltanto dalla necessità di evitare che la procedura d’infrazione aperta dalla Commissione Europea contro l’Italia sfociasse in un ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia, con le inevitabili sanzioni, è necessario, preliminarmente, fissare il quadro delle modifiche legislative intervenute nel tempo, riferendo delle principali disposizioni contrattuali che avrebbero dovuto garantire il diritto al riposo del personale del ruolo sanitario.
Con il Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n. 66 l’Italia ha dato attuazione alle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro.
In tema di riposo settimanale, l’art. 4 prevedeva testualmente: “La durata media dell’orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario (comma 2). Ai fini della disposizione di cui al comma 2, la durata media dell’orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi (comma 3); I contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi ovvero fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi (comma 4)”.
In tema di riposo giornaliero, l’art. 7 dell’anzidetto decreto prevedeva testualmente: “Ferma restando la durata normale dell’orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata”.
L’art. 17 prevedeva la possibilità di deroghe alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima settimanale “mediante contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative” (comma 1) a condizione però che “ai prestatori di lavoro siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo o, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per motivi oggettivi, a condizione che a lavoratori interessati sia accordata una protezione appropriata” (comma 4).
Con la L. 24 dicembre 2007 n. 244, il legislatore ha iniziato a demolire le tutele di medici e personale del comparto prevedendo (attraverso l’introduzione di un comma 6-bis all’art. 17 del Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n. 66) che le “disposizioni di cui all’articolo 7 – quelle che per intenderci garantivano il diritto al riposo giornaliero di 11 ore consecutive – non si applicano al personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, per il quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori”.
Quanto alle disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro, successive all’entrata in vigore della 24 dicembre 2007 n. 244, mentre il CCNL dell’Area Dirigenza Medica e Veterinaria del 17 Ottobre 2008 (art. 7) ha stabilito che “nel rispetto dei principi generali di sicurezza e salute dei dirigenti e al fine di preservare la continuità assistenziale, le aziende definiscono, in sede di contrattazione integrativa, ai sensi dell’art. 4, comma 4 del CCNL del 3 novembre 2005, modalità di riposo nelle ventiquattro ore, atte a garantire idonee condizioni di lavoro ed il pieno recupero delle energie psicofisiche dei dirigenti, nonché prevenire il rischio clinico, il CCNL del Comparto Sanità del 10 aprile 2008 arginava l’opera demolitiva del legislatore, prevedendo espressamente (art. 5) che il riposo consecutivo giornaliero, nella misura prevista dall’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003 – per l’appunto 11 ore consecutive- potesse essere oggetto di deroga in sede di contrattazione aziendale (art. 4, comma 5 del CCNL del 7 aprile 1999).
In sostanza, soltanto in sede aziendale le parti avrebbero potuto derogare al limite delle 11 ore consecutive di riposo giornaliero[1].
Con il Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, l’opera demolitiva già iniziata veniva portata a compimento attraverso lo stravolgimento delle disposizioni normative in tema di tutela del riposo (si rinvia per la trattazione precedente articolo (http://www.studiolegaledoglio.it/orario-di-lavoro-e-riposi-in-ambito-sanitario/).
La L. 30 ottobre 2014, n. 161, ha riportato indietro le lancette del tempo, ripristinando ( art. 14), con decorrenza 25 novembre 2015, le “vecchie” disposizioni normative (che non possono quindi definirsi nuove), salvando, tuttavia, la modifica apportata dal Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112 all’art. 7 del Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n. 66 che si riporta graficamente evidenziata: “il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità”
Dal 25 novembre, dunque, dirigenti medici e personale del comparto del ruolo sanitario hanno (nuovamente) diritto a 11 ore di riposo consecutive nell’arco delle 24 ore[2], fatte salve le ipotesi di assegnazione a turni di pronta disponibilità in cui il riposo (non inferiore a 11 ore complessive) potrà essere frazionato.
Tutti i lavoratori, quindi, potranno beneficiare del medesimo trattamento e alle aziende sanitarie sarà preclusa la possibilità di organizzare turni di servizio che non garantiscano, tra l’uno e l’altro, almeno 11 ore di riposo consecutive o frazionate in caso di reperibilità.
Si deve, tuttavia, ribadire che anche prima del recente intervento legislativo la necessità di un periodo di riposo idoneo a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori non è mai stata in discussione sotto il profilo giuridico.
Diritto al riposo che, per quanto esposto, non poteva certo considerarsi legittimamente sacrificabile per l’abrogazione della disposizione che ne stabiliva la durata minima.
Nella pratica, però, l’abuso dell’istituto della pronta disponibilità (a titolo meramente esemplificativo: eccessivo numero di turni di reperibilità rispetto alla soglia contrattuale, turni di reperibilità diurna non festiva, successione di turni di servizio ordinari e di pronta disponibilità senza soluzione di continuità nell’arco delle 24 ore, ecc.), utilizzato come strumento ordinario di programmazione del lavoro per rimediare all’insufficienza del personale, ha compromesso gravemente il diritto al riposo.
Per meglio intendersi, passando dall’astratto al concreto, anche in passato, quindi, qualsiasi organizzazione oraria che avesse previsto, dopo un turno di servizio antimeridiano o pomeridiano della durata di 7/8 ore, una pronta disponibilità di 12 ore si prestava evidentemente all’abuso in caso di chiamata in servizio per l’intero periodo di reperibilità o per buona parte di esso.
La gravità della violazione deve considerarsi direttamente proporzionale al tasso di superamento della soglia media delle reperibilità (10 per i dirigenti medici e 6 per il personale del comparto).
La rappresentata “criticità” imposta dal “nuovo” corso – nulla di più che un restyling obbligato della normativa comunitaria in vigore sino al 2008 – costituisce, quindi, soltanto un pretesto di fronte all’inerzia determinata dall’incapacità di porre fine alle gravissime violazioni compiute nei confronti del personale medico e del comparto del ruolo sanitario che da anni ha dovuto supplire, a dispetto degli standard di accreditamento delle strutture sanitarie, alla scarsità delle risorse umane disponibili.
La criticità è cronica e resterà tale senza i necessari interventi sulle dotazioni organiche.
..si parla delle 11 ore fra un turno e l’altro…per un giusto riposo biologico..ma se io faccio il turno di notte…(11 ore e 20)…2 operatori con 30 pazienti ….a corsa tutta la notte…finisco il turno alle 7..arrivo a casa alle 8..cerco di dormire un po’..3 ore..perché di giorno si dorme poco e male ..con i rumori..la famiglia…ecc…perché possono obbligarmi a fare la reperibilità la notte del giorno di smonto…???L’unica notte dove è possibile un vero e proprio recupero psico-fisico…..?..e magari mi chiamano alle 3 ..per fare la barelliera…trasporto alla TAC….magari non riesco neanche a essere gentile con il paziente……sveglio tutta la famiglia…e spendo più soldi di benzina di quei 18 euro che guadagno…e che dopo al ritorno a casa..con la tachicardia e il mal di testa…non prendo più sonno…A lungo andare ci si rimette di salute…quindi certificati…ci rimette la famiglia…ci rimettono i pazienti
Vorrei richiamare l’attenzione sul peso del diritto comunitario non accennato nella disamina fatta. L’obbligo di applicazione diretta (sentenza CGCE Flli Costanzo) delle direttive europee sufficientemente chiare e precise, non solo per i giudici nazionali ma per tutti gli enti apparati emanazioni anche locali dello stato. Ripeto obbligo di applicazione diretta. Andate a leggervela !!!!
31 omissis .. Ne segue che, qualora sussistano i presupposti necessari, secondo la giurisprudenza della Corte, affinché le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni.
Sia per la corte di giustizia che per sentenze corte cass ed interpretazioni corte costituzionale il diritto comunitario è prevalente sulle leggi italiane (sull’obbligo di disapplicazione sent Corte Cost. 170/1984 e 113/1985) La corte di giustizia della comunità europea ancor più precisamente afferma:
L’esigenza di immediata e uniforme applicazione del diritto comunitario impone a qualsiasi giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza, l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore che successiva alla norma comunitaria”. (C106/77 Causa Simmenthal). Le forzature disapplicative delle deroghe italiane sono nulle (e lo ha riconosciuto la commissione europea su spinta Anaao-FEMS) A questo punto bando alle ciance gli interessi di tutti i lavoratori della sanità sono identiche senza distinzioni di categoria: organizziamoci ed agiamo a tutela della nostra salute che dovrebbe essere garantita costituzionalmente da chi ci governa (poveretti noi….)