Un passo indietro. Oggi è possibile ricostruire l’intero scandalo attraverso la documentazione che in gran parte è stata utilizzata dai vertici dell’Usl di Vicenza per chiudere gli otto procedimenti disciplinari con un medico e un infermiere puniti con un richiamo scritto e sei «assoluzioni». Di tutte le accuse, l’unica rimasta in piedi è che i due camici dell’ospedale abbiano utilizzato il proprio cellulare in orario di servizio.
I sospetti iniziano il 3 dicembre 2015, quando compaiono alcuni nuovi messaggi sui profili Whatsapp utilizzati da una sessantina tra medici e infermieri del San Bortolo. La chat, attiva da mesi, si chiama «Gli amici di Maria » e già da questo si intuisce la presa in giro: Maria è il secondo nome di Riboni. A gettare il sasso è un’infermiera: «Come va la sfida grigi contro arancioni?». Si parla del diametro delle cannule per infusione venosa: grigio quella più sottile, arancio quella del diametro maggiore, e quindi potenzialmente più dolorosa per il paziente. Il resto è cosa nota. Un infermiere rivendica: «Due arancio, uno grigio». Un medico rilancia: «Infilato un arancio or ora». Un’altra esorta: «Vai, mettilo il Cvc (un tipo di catetere venoso, ndr)!». E così via… Si fa anche un tabellone con il punteggio. Fin qui le prove che sembrano inchiodare i partecipanti: un folle gioco a chi infila nel paziente la cannula più grossa. Il primario del pronto soccorso in quei giorni è in Africa ma, quando torna, viene a sapere della chat.
L’11 gennaio convoca gli otto che hanno partecipato alla chat e fa una sfuriata al termine della quale firma il verbale redatto da una segretaria. Tra un rimprovero («Quanto accaduto è di una gravità inaudita (…) fa del paziente una pedina di un gioco perverso e diabolico») e l’altro («È una intollerabile e riprovevole strumentalizzazione del paziente») nel documento si sintetizza quanto medici e infermieri avrebbero dichiarato al superiore: «Il dottor (…) puntualizza che il quanto era stato pianificato durante una cena e che si è concretizzato il giorno 3 dicembre»; «Gli infermieri (…) confermano l’origine del marchingegno e l’intenzionalità di procedere nel percorso». Una confessione, quindi. I problemi nascono qui. Perché alcuni dei coinvolti, segretamente, hanno registrato l’intero incontro. E dalla trascrizione del dialogo («la cui fedeltà è stata verificata», sancisce l’Ufficio disciplinare dell’Usl 6) emerge un’altra verità. Il dottore, ad esempio, dice che «non c’è stata mai nessuna gara perché non mi permetterei mai di prendermi gioco di un paziente (…) è stato uno scherzo (…) ma nella realtà non è successo nulla di tutto ciò». E uno dei due infermieri citati nel verbale, durante il confronto spiega che «non si è trasformato da quello… allora, letto così, come l’ha letto lei… no, no, no», mentre l’altro sostiene che «ho scritto che bisogna mettere un Cvc. È talmente paradossale che non può essere credibile».
Umorismo da camici bianchi, secondo lui. Ma, in effetti, è improbabile che un infermiere, tanto più in ambulatorio, inserisca un catetere venoso, che quindi va direttamente nel cuore. Infine c’è da dire che degli otto chiamati in causa, solo due erano in servizio quel giorno, e dai riscontri fatti dall’Usl anche i conti riportati nel «tabellone segnapunti » non corrisponderebbero al numero di flebo e prelievi effettuati in quelle ore. Insomma, per il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega, «è la prova che nessuna gara è realmente avvenuta e nessuno tra medici e infermieri ha mai sostenuto il contrario: Riboni ha dichiarato il falso». Con la denuncia dell’avvocato Roetta, toccherà alla procura stabilire cos’è realmente accaduto il 3 dicembre e se all’interno di documenti ufficiali siano state riportate cose non vere. Resta la sconvenienza di scherzare su un tema come quello delle cure ai pazienti, anche se questo avviene su una chat privata trasformata, evidentemente, in uno sfogatoio per alleggerire stress e tensioni lavorative.