Portoferraio (Livorno), 25 maggio 2016 – Quotidianonet.it.PER VEDERE le cose da un’altra prospettiva, per rimettersi in sesto dopo i giorni dell’incubo – iniziati a luglio 2015, quando la procura ha puntato lei come l’unica sospettata di essere un serial killer che uccide con l’eparina – ha preso il trjaghetto ed è venuta all’Elba. Ed è qui, a Portoferraio, che l’infermiera Fausta Bonino, ha accettato di incontrarci. Nell’elegante studio con vista sul porto del suo avvocato, Cesarina Barghini.
Compagna di scuola del marito Renato, oggi è grazie a lei, e alla sua tenacia, che Fausta è libera. Grazie a lei ha di nuovo il sole in faccia e la speranza concreta di uscire scagionata da tutto quanto. Speranza diventata via via più concreta da quando ha potuto leggere le motivazioni dell’ordinanza con cui il tribunale del Riesame l’ha scarcerata, smontando uno per uno tutti gli elementi indiziari raccolti dalla procura. «Tempo al tempo, arriveremo alla verità», ripete piano Renato, il marito.
Fausta, torniamo indietro: quando ha capito di essere lei la sospettata?
«A metà luglio 2015, dopo l’interrogatorio sulla morte della paziente Marcella Ferri (la donna il cui figlio ha dichiarato di aver visto Fausta Bonino iniettare un farmaco e che è morta un’ora e 15 minuti dopo, ndr), ho capito che ce l’avevano con me. Anche prima di iniziare il colonnello del Nas mi disse: “Se confessa possiamo aiutarla”. Ed è stato tutto un farmi l’elenco dei morti, anche di quelli degli anni prima, facendomi sentire in colpa perché non mi ricordavo precisamente chi fossero. Ma come si fa a ricordarsi le persone a distanza di un anno, in un reparto in cui è tutto un continuo avvicendarsi di malati, molti che arrivano dagli altri reparti… Lì è tutto un lavoro continuo. Come si fa? Quando è finita, ho chiesto alle colleghe se anche a loro avessero fatto le stesse domande. Mi hanno detto di no. E allora mi sono detta: sospettano davvero di me, vogliono incastrarmi”.
Chi ha voluto incastrarla? E perché?
«Io sono stata accusata dalla struttura sanitaria. Loro hanno chiamato i Nas quando non hanno più potuto coprire delle cose che non funzionavano nell’ospedale. Questa è la nostra spiegazione. Sta di fatto che chi avrebbe trovato la famosa fialetta nel cestino dei rifiuti, con data di apertura di un mese avanti, nella stanza del paziente Carletti è l’unica persona dell’ospedale che mi accusa da subito e che ha fornito l’orario dei turni per stabilire quando eventualmente sarebbe stata somministrata l’eparina».
Il tribunale del Riesame ci dice che non è possibile neppure dimostrare che sia stata somministrata l’eparina in almeno otto dei tredici pazienti. Come sono morti?
«Bisogna esserci stati, all’ospedale di Piombino. Lo sa che prima del mio trasferimento i pazienti arrivavano dalle sale operatorie in ipotermia perché erano sprovvisti dei lettini riscaldati. E quando arrivavano in rianimazione dovevamo farli riprendere noi. Ora dopo questa vicenda, sono arrivati i lettini riscaldati. E dopo l’ispezione ministeriale, ci sono anche dei tutor che seguono gli anestesisti e gli infermieri. Significa che qualcosa che non funzionava, prima, c’era. No? Lo sa che lo choc termico può provocare scoagulamento? Ce l’ha detto il nostro perito ematologo. Uno dei più importanti d’Italia, il professor Artoni»
Com’è stato sentir dire che il suo profilo psicologico rispondeva a quello del serial killer?
«Tremendo. Mi hanno fatto delle domande. Poi ho saputo che sono andati a dire che sono gelosa di mio marito. Il pm in aula sventolava i bugiardini dei miei medicinali per l’epilessia, dicendo che c’era scritto lì, che non c’era bisogno di una perizia e che io soffrivo di depersonalizzazione. Poi hanno tirato fuori anche il marito della responsabile infermieristica, ex medico del Villamarina, che avrebbe detto di ricordarsi di me perché nel 2008 gli avrei chiesto delle informazioni sull’eparina con cui era in cura mia madre. Dice lui. Perché mia madre era diabetica, non faceva uso di eparina e io avevo chiesto solo ad un collega di quel dottore come facevo a portare mia madre che viveva in Liguria a fare la dialisi a Piombino. Tutto questo accadeva nel 2008. E questo testimone spunta ora». «Come si fa a non pensare che questa non sia un’indagine cucita addosso a lei, per accusare lei?», chiosa l’avvocato Barghini. Ora l’ospedale dei misteri e dei veleni è di là dal mare. Fausta è di qua. All’Elba. Libera. Vede le cose da un’altra prospettiva. Ed è determinata ad arrivare alla verità. «Anche per rispetto a quei morti – chiude. E per rispetto delle loro famiglie. E della mia».
di PAOLA ZERBONI