La conferma in uno studio svedese su un gruppo di infermere in una casa di cura , lo scrive la repubblica.it:
malattie e permessi dimezzati, impennata delle attività svolte con gli anziani. Per non parlare della maggiore soddisfazione delle dipendenti. Resta il dubbio sulla sostenibilità economica.
MILANO – Accorciare la settimana lavorativa, soprattutto quando i dipendenti sono over 40 anni, oppure tagliare l’orario di permanenza in servizio: si moltiplicano ormai le ricerche che dicono chiaramente che lavorare di meno, ma con maggiore concentrazione, aiuta ad aumentare la produttività. L’ultima indicazione in questo senso arriva dalla Svezia, nell’ambito di un progetto che si può ritenere autorevole se non altro perché condotto con finanziamento statale. D’altra parte, il Paese del Nord Europa è pioniere in questo tipo di ragionamenti e già alcune municipalità hanno adottato simili provvedimenti; per non parlare della Toyota di Göteborg, che è passata alle sei ore giornaliere ben tredici anni fa con il risultato che la società ha avuto un più basso tasso di avvicendamenti tra i lavoratori e un incremento di utili.
L’ultimo caso fortunato di questa serie di esperimenti arriva dalla casa di riposo Svartedalens, che per un anno ha fatto lavorare alcuni dipendenti su un turno di 6 ore, pur mantenendo il livello salariale di 8 ore. Il gruppo di studio, monitorato attraverso il raffronto con un gruppo di controllo in un’altra struttura, ha risposto alla domanda basilare: lavorare di meno ed essere più produttivi possono stare insieme? La risposta, raccontata dall’Independent, è “sì”.
A un anno dall’avvio della sperimentazione, infatti, i ricercatori hanno concluso che le 68 infermiere coinvolte nel progetto si sono ammalate la metà di quanto accaduto alle loro colleghe della struttura “tradizionale”. Inoltre, sono risultate 2,8 volte meno inclini a prendersi giorni di permesso dal lavoro. In poche parole, lavorando meno ore sono comunque riuscite a dare più continuità al loro rapporto con i pazienti della clinica, con l’effetto diretto di accrescere del 64% la loro “produttività”, misurata come capacità di fare attività con gli anziani. Quanto alle loro sensazioni, si sono dichiarate del 20% più felici delle loro colleghe e con un maggiore serbatoio di energia da dedicare alle cure. Che, di conseguenza, ne hanno beneficiato in qualità.
Una delle critiche mosse all’operazione è che si tratta di un ambito lavorativo particolare: l’equazione tra produttività e qualità della cura offerta è difficilmente trasferibile su un lavoro di “desk”, da colletto bianco. Ma va certamente nel solco scientifico evidenziato alla Stanford University, nel 2014, quando i ricercatori dimostrarono che la relazione tra ore lavorate e produttività non è lineare: non è detto che lavorare di più si traduca in produrre di più.
Resta però sullo sfondo il quesito sulla sostenibilità economica dell’operazione, nell’ottica del direttore delle risorse umane e del manager. Per sopperire all’accorciamento di orario, la clinica ha dovuto assumere 15 infermiere in più da mettere in turnazione. Il loro costo è stato per metà assorbito dall’abbattimento delle richieste di permessi e malattie. Ma se la produttività in crescita sia effettivamente riuscita a coprire la parte restante, non è stato oggetto dello studio.