Di Annalisa Pennisi.Il presente articolo propone una riflessione sulla responsabilità articolata su cinque livelli, rappresentati da altrettante domande. Da questi livelli di riflessione-azione emerge un concetto di responsabilità situazionale, cioè mai uguale a se stessa, ma sempre da contestualizzare.
L’azione responsabile nasce dal pensiero responsabile. Questa affermazione origina da una riflessione sulla celebre frase di Margaret Thatcher: “cura i pensieri: diventeranno parole. Cure le tue parole: diventeranno le tue azioni. Cura le tue azioni: diventeranno abitudini. Cura le tue abitudini: diventeranno il tuo carattere e cura il tuo carattere perché diventerà il tuo destino. Diventiamo quello che pensiamo”. Se il pensiero è la base dell’agire, dietro a un’azione responsabile vi deve essere un pensiero responsabile.
Sappiamo che la responsabilità è la possibilità di prevedere le conseguenze del proprio comportamento e di modificarlo sulla base di tale previsione. Prevedere è pensare, ma pensare in modo riflessivo, non automatico. Altrimenti, è un pensiero fatto di cose che sappiamo, ma che non facciamo. Il pensiero riflessivo è un pensiero che permette di “riconquistare esplicitamente tutto ciò che noi siamo e facciamo implicitamente” (Mortari, 2011, pag. 23). Mortari distingue una “riflessionein-azione”, da una “riflessione-su-l’azione”, e infine da una “riflessione-sull’azionepossibile”. La “riflessione-in-azione” è un’attenzione vigile rispetto al contesto in cui avviene l’azione, nel “qui e ora”, e permette di migliorare l’azione in corso. La “riflessione-su-l’azione” è fatta al termine di un’azione, in modo retrospettivo. Permette di “ricostruire il processo, analizzare ogni evento accaduto, individuare quali erano i desideri che hanno innescato l’azione, come hanno agito nel contesto e come eventualmente si sono modificati nel corso dell’azione, e se tale cambiamento è avvenuto a cosa può essere dovuto e quali implicazioni pratiche ha comportato” (Mortari, 2011,
La “riflessione-sull’azione-possibile”, è riferita a un pensiero proiettato e ampliato sul futuro, per ipotizzare modalità per affrontare situazioni simili. Queste possibilità di riflessione possono influenzare la costruzione di azioni conseguenti. Quali contenuti riflessivi sulla responsabilità? Cos’è un pensiero responsabile? Riflessioni sulla responsabilità La riflessione sulla responsabilità arriva prima delle sue manifestazioni “pratiche”, cioè: civili, penali, disciplinari, deontologiche. La responsabilità come riflessione, precede questi aspetti e li racchiude tutti, perché è di fatto un pensiero di consapevolezza sui propri limiti e sulle proprie potenzialità. Precede le azioni, perché, ad esempio di fronte a un dubbio di competenza o di confini di azione, il professionista sanitario dovrà interrogarsi su cosa deve/ può/vuole fare per quella persona o in quella situazione. Si può trattare del significato che la competenza assume come conoscenza, abilità, esperienza e capacità oppure come ambito di azione (mi compete/non mi compete). Cioè se si è “autorizzati” ad agire e “qualificati” per farlo nel modo corretto. Tale riflessione si articola su almeno cinque livelli, che possono essere evidenziati nelle seguenti domande guida: 1. lo posso fare? 2. lo so fare? 3. in questa specifica situazione/contesto è appropriato farla? 4. in questa specifica situazione/contesto la sicurezza dell’assistito è garantita? 5. in questa specifica situazione/contesto la sicurezza del professionista è garantita? Il professionista può percorrere questo filo concettuale e porsi le domande in modo consequenziale. Alla prima domanda, lo posso fare?, la risposta va ricercata nel livello autorizzativo, cioè normativo. È un’”abilitazione a operare” ed è una risposta valida per tutti i professionisti, comunitaria, collegiale. È possibile che la domanda non trovi risposta diretta nella normativa vigente, ma nella sua “non esplicitazione di diniego”, cioè nei criteri limite piuttosto che nei criteri guida. Ovvero: nella normativa vigente, vi sono riferimenti che impediscono di svolgere questo atto o di occuparsi di questo problema o situazione? Se la risposta alla prima domanda è affermativa, cioè nulla vieta al professionista di svolgere quell’attività o di occuparsi del problema o situazione, si può procedere con la seconda domanda: lo so fare? Da questo livello in poi, la risposta non potrà più essere riferita a un gruppo professionale nel suo complesso, ma diventa personale. Infatti, questa risposta, va ricercata nella consapevolezza del proprio livello di competenza. Il “saper fare”, non implica solo il saper “agire tecnicamente”, ma sottende atti intellettuali complessi per poter applicare conoscenze teoriche, oltre che capacità di gestire emozioni e relazioni. Scrivono Mortari e Saiani (2013, pag. 42): “una responsabile azione di cura è un’azione pensosa che mette in atto una continua autovalutazione”. L’azione di cura è definita come “intrinsecamente problematica, poiché comporta continuamente scelte per le quali non esistono regole e codici di comportamento definibili a priori”. Non solo quindi, competenze tecnica e azioni, ma pensieri consapevoli sulle azioni. La terza domanda: in questa specifica situazione/contesto è appropriato farla?, declina il concetto di appropriatezza all’azione concreta. Continua il livello di riflessione personale, ma non più centrata solo sul professionista, ma sul contesto, sulla situazione e sulla persona assistita. Il riferimento è alle evidenze scientifiche contestualizzate alle esigenze del paziente e alle risorse disponibili. Un intervento appropriato risponde a criteri di efficacia ma anche di sicurezza, caratteristica che si analizzerà negli ultimi due quesiti. Questo livello di analisi, cioè quello dell’appropriatezza, non è solo centrato su azioni tecniche, ma deve comprendere anche una riflessione sui risvolti etici di tali azioni. Cioè deve essere un pensiero orientato a scoprire ogni volta cosa significa “tensione a operare per il bene”, ovvero cos’è “bene” per la persona assistita. Se il professionista ha fino a qui risposto affermativamente alle tre domande guida, troverà soddisfatto il punto di vista collettivo (normativo-professionale), personale (competenza), di contesto/situazione (appropriatezza dell’intervento sul quel paziente). Le ultime due domande sono rivolte alla sicurezza, della persona assistita e del professionista. Pur essendo la sicurezza un concetto ricompreso in quello dell’appropriatezza, merita una focalizzazione ulteriore. Chiedersi in maniera esplicita: in questa specifica situazione la sicurezza dell’assistito è garantita? significa soffermarsi ulteriormente a validare tutti i punti precedenti. La sicurezza è influenzata dalla competenza del professionista, dalla situazione/contesto e dalle risorse disponibili. In questo modo è possibile focalizzare l’attenzione su un criterio fondamentale, che potrebbe avere forte impatto futuro in tema di benificio o danno alla persona, controversie o altro Infine, la domanda sulla sicurezza dell’operatore: in questa specifica situazione/contesto la sicurezza del professionista è garantita?, chiude la riflessione, proponendo un’analisi sulla propria sicurezza in quella situazione/ contesto, ad esempio sull’uso consapevole di procedure, strumentario o presidi. Solo se tutte e cinque le domande hanno avuto risposta positiva è possibile procedere nell’azione professionale responsabile. Le domande e risposte, sono quindi da intendersi “a cascata”, nei vari livelli: dalla professione nel suo complesso, al professionista singolo, alla specifica situazione. L’orientamento è dal generale al particolare, percorrendo una traiettoria che parte dal professionista e chiude con il professionista, lasciando però ampio spazio a riflessioni di responsabilità positiva. Gli aspetti difensivi sono di cornice, in quanto si trovano nella prima domanda: “la legge/norma lo consente?” E alla fine, chiedendosi se la sicurezza del professionista è garantita. Nella tabella di seguito riportata sono riassunti i cinque livelli di decisione responsabile. Domanda guida per la riflessione 1. Lo posso fare? 2. Lo so fare? 3. In questa specifica situazione/contesto è appropriato farla? 4. In questa specifica situazione/contesto la sicurezza dell’assistito è garantita? 5. In questa specifica situazione/contesto la Riferimento Legislazione vigente Competenza individuale Situazione complessiva (condizioni cliniche e organizzative, risorse) Situazione complessiva (condizioni cliniche e Pennini, 2008; 2015), cioè di un modo di intendere l’azione professionale “non definito a priori e una volta per tutte, ma si rinnova ogni volta che cambia la situazione clinica, organizzativa e assistenziale”. Il modello “incerto” si rifà al concetto di “liquido” degli scritti di Bauman. La metafora “solido-liquido”, usata dal sociologo, è riferita alla società e alla vita moderna dove le “situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure” (Bauman, 2006, pag. VII). La contestualizzazione professionale, ci porta a pensare al liquido come incerto, dove l’incertezza si manifesta nelle numerose possibilità interpretative, nel fatto che l’organizzazione non è statica, che i contesti e i significati mutano velocemente. L’incertezza può far scaturire nuove possibilità, far esplorare nuove strade, ma al tempo stesso creare confusione e disorientamento, proprio perché in continuo mutamento e perché le alternative sono molteplici e non è semplice individuare quella appropriata. La responsabilità è situazionale quando si tiene conto di tutte le variabili presenti in ogni singola situazione, evidenLivello di applicabilità Cosa significa in termini pratici Abilitazione o autorizzazione a operare Qualificazione a operare Collegiale – valida per tutti i professionisti Individuale – valida solo per quel professionista Governo responsabile del processo e dell’azione professionale Governo responsabile del organizzative, risorse) Situazione complessiva (condizioni cliniche e sicurezza del professionista è garantita? organizzative, risorse) processo e dell’azione professionale Governo responsabile del processo e dell’azione professionale Situazionale – valida solo per quella situazione specifica Situazionale – valida solo per quella situazione specifica Situazionale – valida solo per quella situazione specifica Tabella 1 – Domande guida per la riflessione e l’azione professionale responsabile. Fonte: modificata da Barbieri e Pennini, 2008, 2015 Una responsabilità sempre situazionale Da questi livelli di riflessione-azione emerge un concetto di responsabilità che non può essere altro che situazionale, cioè mai uguale a se stessa, ma sempre da contestualizzare. È un’applicazione del modello “incerto” (Barbieri e ziate nelle cinque domande guida per la riflessione contestualizzata. La responsabilità situazionale pertanto, non è solo un riferimento astratto o teorico alle norme e non è nemmeno solo l’auto-analisi delle proprie competenze, è un modo di leggere e gestire la situazione, riconoscen.
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