Una operatrice sanitaria, in possesso del titolo di infermiera generica, ha partecipato ad una selezione per titoli ed esami per assunzioni in via straordinaria e temporanea della figura professionale di “ausiliario socio – assistenziale”. Durante il periodo di assunzione l’Istituto presso il quale lavorava ha emanato un ulteriore bando di concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di posti di “ausiliario socio assistenziale – IV qualifica funzionale, con riserva a personale interno dichiarato idoneo, se in possesso dell’attestato di qualifica professionale di “ausiliario socio-assistenziale””, senza contemplare al riguardo equipollenze o deroghe. L’infermiera generica non è stata ammessa a partecipare perché non in possesso dell’attestato,non essendo specificata l ‘equipollenza nel bando di concorso.
Profili giuridici..
I giudici amministrativi hanno chiarito che, dalla disamina delle disposizioni in materia si evince come non vi sia alcuna previsione di legge che sancisce equiparazioni tra la figura professionale dell’infermiere generico e quella dell’ “ausiliario – operatore socio assistenziale” (ASA o OSA) ovvero con quella dell’OTA, dell’OSS o dell’OSSC. Di conseguenza, in assenza di previsioni nel bando, non è possibile integrare le indicazioni in esso contenute nel senso di consentire anche ai titolari del diploma di infermiere generico di partecipare al relativo concorso.
Consiglio di Stato Sentenza N. 2709 del 27/05/2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6108 del 2003, proposto da:
C.A., rappresentato e difeso dall’avv. M.L. e dall’avv. C.D.V., con domicilio eletto in Roma presso G.G. & associati, corso Vittorio Emanuele II,18;
contro
Istituto Geriatrico Ca’ d’Industria e Uniti Luoghi Pii;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Milano, Sez. II, n. 596 dd. 1 aprile 2003, resa tra le parti e concernente non ammissione al concorso pubblico per l’assunzione di n. 20 ausiliari socio assistenziali – IV qualifica funzionale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 marzo 2014 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante A. C. l’avv. A.A. su delega dell’avv. C.D.V.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. L’attuale appellante, Sig.ra C.A., espone di aver prestato servizio presso il Presidio Ospedaliero S. Anna di Como, in qualità di “ausiliaria socio – sanitaria” e, successivamente, in qualità di “infermiera generica” dal 1971 al 1979 nonché, per alcuni mesi, nel 1987.
Nel frattempo la medesima C. ha conseguito in data 27.maggio 1977 l’attestato di abilitazione all’esercizio dell’arte ausiliaria sanitaria di “infermiera generica” presso la Scuola per infermiere e infermieri generici istituita presso lo stesso ospedale.
La C., dopo essersi dimessa dall’impiego per dedicarsi alla cura dei propri figli, ha prestato servizio dal 17 settembre 1991 al 22 ottobre 1991 presso il Presidio ospedaliero dell’U.S.S.L. n. 12 di Cantù quale “ausiliario specializzato” e, poi, dal 23 ottobre 1991 al 15 maggio 1992 quale “operatore professionale di II categoria”, ossia – secondo la disciplina di inquadramento dell’epoca – come “infermiera generica”.
Nel 1993 l’attuale appellante ha presentato domanda di partecipazione alla “Selezione pubblica per titoli ed esami, per eventuali assunzioni in via straordinaria e temporanea di ausiliari socio-sanitari” indetta dall’Istituto Geriatrico Ca’ d’Industria e Uniti Luoghi Pii, a quel tempo istituzione pubblica di assistenza e beneficenza (IPAB) avente sede in Como.
La C. è risultata idonea, classificandosi al primo posto nella graduatoria finale ed, essendo risultata parimenti idonea ad una successiva selezione pubblica per titoli ed esami, è stata assunta come “ausiliaria socio-sanitaria” per il periodo di un anno.
Terminato tale periodo di servizio, lo stesso Istituto ha indetto un’ulteriore selezione per titoli ed esami per assunzioni in via straordinaria e temporanea, mutando peraltro la figura professionale richiesta mediante la previsione nel bando concorsuale del possesso del titolo di “ausiliario socio – assistenziale”.
La C. è stata comunque ammessa anche a tale concorso con provvedimento dd. 22 novembre 1995; successivamente, con provvedimento dd. 22 dicembre 1995 il Capo del Servizio personale dell’Istituto le ha comunicato il giudizio di idoneità e la conseguente sua assunzione in via temporanea.
In esecuzione della deliberazione del Consiglio di Amministrazione n.258 dd. 27 giugno 1996 l’Istituto ha quindi emanato un ulteriore bando di concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di 20 posti di “ausiliario socio assistenziale- IV qualifica funzionale D.P.R. 3 agosto 1990 n. 333 – area socio-assistenziale, con riserva a personale interno purchè dichiarato idoneo, il quale potrà concorrere se in possesso dei requisiti e secondo le modalità previste dall’art. 5 del D.P.R. 13 maggio 1987 n. 268” (cfr. punto 1 del bando).
Il punto 3, lett. g), del bando stesso contemplava espressamente, quale requisito per l’ammissione al concorso, il possesso dell’ “attestato di qualifica professionale di “ausiliario socio-assistenziale””, senza contemplare al riguardo equipollenze o deroghe.
Anche in questo caso la C. ha presentato domanda di partecipazione, ma con provvedimento dd. 12 novembre 1996, comunicato con nota Prot. n. 6173/R/96 di pari data, la commissione esaminatrice non l’ha ammessa a partecipare al concorso, “in quanto la S.V. risulta non in possesso dell’attestato di qualificazione professionale di “Ausiliario socio-assistenziale””.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 357 del 1997 innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, la C. ha testualmente chiesto l’annullamento “del provvedimento di non ammissione al concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di n. 20 posti di “ausiliario socio-assistenziale” indetto con bando di concorso in esecuzione della delibera del Consiglio di amministrazione n. 258 del 27 giugno 1996, nonché, per quanto di ragione, di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale e per il riconoscimento del diritto soggettivo alla partecipazione al concorso” (cfr. l’epigrafe dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado).
La C. ha formulato al riguardo le seguenti censure:
1) violazione dell’art.4 della Costituzione “in quanto riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”;
2) violazione dell’art.33, comma 3, del D.P.R. 3 agosto 1990 n. 333; lesione del diritto soggettivo all’ammissione al concorso;
3) eccesso di potere per manifesta contraddittorietà dei provvedimenti emessi dall’intimato Istituto;
4) violazione dell’art.3 della L. 7 agosto 1990 n. 241 per omessa, insufficiente motivazione.
1.3. In tale primo grado di giudizio si è costituito l’Istituto Geriatrico Ca’ d’Industria e Uniti Luoghi Pii, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso sotto più profili e, comunque, concludendo per la reiezione nel merito dell’impugnativa avversaria.
1.4. Con ordinanza n. 442 dd. 30 gennaio 1997 la Sez. II dell’adito T.A.R. ha respinto la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, avanzata dalla C..
1.5. Con sentenza n. 596 dd. 1 aprile 2003 la medesima Sez. II ha respinto il ricorso.
Va opportunamente precisato che il giudice di primo grado ha respinto le eccezioni preliminari di inammissibilità dedotte dall’Istituto e riassumibili nell’allegazione della mancata notifica del ricorso ad almeno uno dei controinteressati, nonché nell’allegazione della circostanza che le censure dedotte si riferivano ad atti presupposti non espressamente impugnati nè in via autonoma, nè congiuntamente al provvedimento di esclusione dal concorso.
A tale riguardo, il T.A.R. ha rilevato quanto segue:
“a) a disattendere la prima delle dette eccezioni, va osservato che, essendo il ricorso in epigrafe diretto contro un provvedimento di non ammissione ad un concorso, la controversia in ordine alla legittimità o meno di un tale provvedimento non riguarda i successivi atti concorsuali e, pertanto, non tocca la sfera giuridica di altri soggetti, sicchè è da escludere che relativamente alla controversia che ne occupa ci fossero dei soggetti controinteressati;
b) a disattendere la seconda delle dette eccezioni, va osservato che, contrariamente a quanto ritenuto dal resistente Istituto, almeno uno dei motivi di gravame prospettati dalla ricorrente, e precisamente il quarto, sicuramente ha riferimento all’atto impugnato in questa sede” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
Venendo al merito del ricorso, il giudice di primo grado ha evidenziato che con i primi tre ordini di censure la C. aveva dedotto sostanzialmente:
a) che l’ordinamento non prevede più la figura dell’infermiere generico;
b) che l’Istituto aveva ignorato che la figura di “ausiliario socio- assistenziale” sarebbe similare rispetto a quella di “infermiere generico”;
c) che con precedenti provvedimenti, relativi a pubbliche selezioni per la copertura interinale di posti di “ausiliario socio-assistenziale”, il medesimo Istituto aveva ritenuto effettivamente tra loro similari le due figure professionali di “ausiliario socio-assistenziale” e di “infermiere generico”, ammettendola a partecipare alle selezioni medesime in dipendenza del proprio titolo professionale di “infermiere generico”.
Tali motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili dal T.A.R. in quanto “prospettabili non già avverso l’impugnato provvedimento di esclusione dal concorso de quo,ma unicamente nei riguardi della predetta disciplina in tema di figure professionali della Sanità e nei riguardi del bando di concorso in questione, vale a dire nei riguardi di quid non costituenti oggetto di impugnazione in questa sede” (cfr. ibidem, pag. 5), nel mentre il quarto ed ultimo motivo di ricorso, con il quale si assumeva che il provvedimento di esclusione dal concorso era inficiato dal vizio di eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione è stato respinto, “per la ragione che la qui censurata esclusione della ricorrente dal concorso in questione è stata sufficientemente motivata con la considerazione” su riportata, ossia che la C. “risulta (va) non in possesso dell’attestato di qualificazione professionale di ausiliario socio – assistenziale” (cfr. ibidem).
Il T.A.R. ha integralmente compensato tra le parti le spese di tale primo grado di giudizio.
2.1. Con l’appello in epigrafe la C. chiede la riforma di tale sentenza, deducendo al riguardo i seguenti motivi:
1) violazione del principio di legalità, illogicità della motivazione;
2) difetto di motivazione, illogicità e contraddittorietà della motivazione; violazione dell’art. 1362 e ss. cod. civ.;
3) violazione degli artt. 2, 3, 4 e 24 Cost.;
4) violazione dell’art. 4 Cost. che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro;
5) violazione dell’art. 33, comma 3, del D.P.R. 333 del 1990; lesione del diritto soggettivo all’ammissione al concorso;
6) eccesso di potere per manifesta contraddittorietà del provvedimenti impugnati in primo grado; difetto di motivazione.
7) violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990 per omessa, insufficiente motivazione.
L’appellante introduce – altresì – nel presente grado di giudizio una domanda di risarcimento del danno discendente dall’impugnata sua esclusione dal concorso.
2.2. Non si è costituito nel presente grado di giudizio l’Istituto Geriatrico Ca’ d’Industria e Uniti Luoghi Pii.
3. Alla pubblica udienza del 18 marzo 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4.1. Tutto ciò doverosamente premesso, l’appello in epigrafe va respinto.
4.2.1. Secondo la prospettazione dell’appellante, la sentenza impugnata risulterebbe erronea laddove afferma che i primi tre motivi di ricorso proposti in primo grado risulterebbero inammissibili in quanto recanti censure che avrebbero dovuto essere proposte avverso il bando di concorso, il quale è provvedimento presupposto rispetto all’esclusione dal concorso medesimo e che peraltro non sarebbe stato da lei espressamente impugnato.
A tale riguardo l’appellante sostiene che il bando sarebbe risultato tout court illegittimo ove avesse fatto esplicito riferimento all’infermiere generico, ossia ad una figura professionale non più prevista dall’ordinamento giuridico al momento della sua emanazione, dovendo semmai la Commissione giudicatrice del concorso farsi carico di interpretare il bando medesimo nel senso dell’equiparazione tra la figura professionale dell’ausiliario socio-sanitario ivi testualmente contemplata con quella dell’infermiere generico, e cioè con il titolo da lei posseduto.
Secondo la C., pertanto, l’equipollenza tra tali due figure costituirebbe “un dato di fatto, oggetto di giudizio valutativo, non prerequisito oggetto di disciplina e contemplazione da parte del bando” concorsuale (così a pag. 9 dell’atto introduttivo del presente giudizio), e la sentenza impugnata sarebbe inficiata da contraddizione proprio poiché essa “riconosce, implicitamente, l’equipollenza” anzidetta, “ma la nega sotto il profilo formale … nel pretendere l’esplicita menzione, quale prerequisito di fatto, di una categoria non più contemplata da alcuna norma perché esistente fino ad esaurimento” (cfr. ibidem, pagg. 9 e 10).
Sempre secondo l’appellante, l’ermeneutica seguita dal giudice di primo grado – e, prima ancora, dalla Commissione giudicatrice del concorso – violerebbe di fatto gli artt. 2, 3, 4 e 24 Cost. laddove infrangerebbe i diritti primari e inviolabili di eguaglianza, di lavoro e di tutela delle posizioni giuridiche soggettive configurando la categoria – sia pure “ad esaurimento”– degli infermieri generici quale titolare di “diritti subordinati alle condizioni alternative dell’esplicita menzione nei bandi o della preventiva attivazione della tutela giudiziale” (cfr. ibidem, pagg. 14 e 15), non potendo i diritti medesimi essere “obliterabili tramite le preclusioni, peraltro infondate, di natura processuale”.
Per il resto, la C. ha riproposto le censure già da lei dedotte nel giudizio di primo grado.
Il Collegio, per parte propria, ribadisce che il bando costituisce la lex specialis del pubblico concorso, da interpretare in termini strettamente letterali, con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità: e ciò in forza sia dei principi dell’affidamento e di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti, la quale sarebbe per certo pregiudicata ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis medesima, sia del più generale principio che vieta la disapplicazione del bando quale atto con cui l’amministrazione si è originariamente auto vincolata nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura selettiva (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 10 aprile 2013 n. 1969).
Da ciò discende pertanto discende che le clausole del bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in funzione integrativa, diretto ad evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2012 n. 5825), ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale della parole e dalla loro connessione (cfr. art. 12, primo comma, disp. prel. cod. civ.).
Soltanto qualora il dato testuale presenti evidenti ambiguità deve essere prescelto dall’interprete il significato più favorevole all’ammissione del candidato alle prove, essendo conforme al pubblico interesse – e sempreché non si oppongano a ciò interessi pubblici diversi e di maggior rilievo – che alla procedura selettiva partecipi il più elevato numero di candidati (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2003 n.7134).
Nel caso di specie, tuttavia, il su riportato punto 3, lett. g) del bando concorsuale, laddove inderogabilmente imponeva ai partecipanti di possedere il titolo di “ausiliario socio-assistenziale” senza contemplare equipollenze o deroghe al riguardo, introduceva nella lex specialis una disposizione normativa del tutto inequivoca nel suo significato letterale e, perciò, di stretta interpretazione, sia per la commissione giudicatrice, sia per questo stesso giudice, con conseguente impossibilità per l’interprete di utilizzare al riguardo le tecniche ermeneutiche dell’estensione e dell’analogia (cfr. artt. 14 e 12 disp. prel. cod. civ.).
4.2.2. Per il vero, la giurisprudenza afferma pure che, nell’evenienza di mancata specificazione di equipollenza tra titoli professionali richiesti per l’ammissione al pubblico concorso – e, quindi, di univoca ed espressa volontà della P.A. di limitare l’accesso ai soli titoli indicati nella lex specialis – le previsioni del bando medesimo debbano essere integrate dall’interprete nel senso di consentire la partecipazione per i possessori di titoli equipollenti ex lege: ma ciò, per l’appunto, avviene nelle sole ipotesi in cui si rinvengano nell’ordinamento norme di legge cc.dd. “autoesecutive” , le quali puntualmente e direttamente sanciscano l’equipollenza tra i titoli anzidetti, e non necessitino pertanto per la loro concreta applicazione dell’intermediazione di altre disposizioni normative dello stesso grado o di grado subordinato, ovvero di provvedimenti amministrativi (così Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2010 n.3484).
Sul punto necessita pertanto un’indagine sulla figura dell’ “infermiere generico” e sulle figure professionali ad esso contigue sviluppatesi nel tempo, al fine di acclarare se nell’ordinamento sussiste tra di esse un’equiparazione ex lege nel senso ora indicato.
Come correttamente ha puntualizzato la stessa appellante, la disciplina della figura professionale dell’ “infermiere generico” si rinviene ab initio nella L. 23 giugno 1924 n. 1267 sulle arti ausiliarie delle professioni sanitarie e nel suo regolamento di esecuzione approvato con R.D. 31 maggio 1928 n. 334; essa peraltro è stata resa ben distinta e resa subordinata rispetto a quella dell’infermiere professionale dapprima per effetto dell’art. 4 del R.D. 2 maggio 1940 n. 100 (cfr. ivi: “L’attività degli infermieri generici dev’essere limitata alle seguenti mansioni, per prescrizione del medico, nell’ambito ospedaliero, sotto la responsabilità dell’infermiera professionale …”) e, poi, per effetto dell’art. 6 del D.P.R. 14 marzo 1974 n. 225 (cfr. ivi: “L’infermiere generico coadiuva l’infermiere professionale in tutte le sue attività e su prescrizione del medico provvede direttamente alle seguenti operazioni …”).
La figura dell’infermiere generico è, ormai da tempo, divenuta di fatto “ad esaurimento”, come a ragione ha denotato dalla stessa appellante.
Infatti, per effetto della progressiva attuazione all’interno del nostro ordinamento dell’Accordo europeo sull’istruzione e formazione delle infermiere, adottato a Strasburgo il 25 ottobre 1967 e reso operante nel nostro ordinamento con L.15 novembre 1973 n. 795, l’accesso alla qualifica di “infermiere professionale” è stato riservato ai soli titolari di diploma di laurea triennale in scienze infermieristiche, ferma peraltro restando l’equipollenza con la laurea medesima dei diplomi di “infermiere professionale” conseguiti nel precedente ordinamento presso le scuole infermieristiche già istituite presso gli enti ospedalieri (cfr. al riguardo la L. 19 novembre 1990 n. 341, l’art. 6, comma 3, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504 e succ. mod., l’art. 4 della L. 26 febbraio 1999 n. 42 nonché il D.M. 14 settembre 1994 n. 73).
Tali scuole hanno quindi proseguito la loro attività secondo i programmi approvati ai sensi della L. 29 ottobre 1954 n. 1046 con D.M. 15 febbraio 1972 soltanto per la formazione degli infermieri generici, la cui utilizzazione nel contesto delle strutture del Servizio sanitario nazionale è progressivamente risultata recessiva, anche e soprattutto in dipendenza dell’incentivazione data dal legislatore alla riqualificazione del titolo di infermiere generico in quello di infermiere professionale mediante la frequenza di appositi corsi organizzati dalle Regioni ovvero presso le Università (cfr., rispettivamente, la L. 3 giugno 1980 n. 243, nonché l’art. 80, ultimo comma, della L. 11 luglio 1980 n. 312) e, da ultimo, dalla soppressione delle scuole anzidette disposta in via generale dall’art. 3 della predetta L. 243 del 1980.
Nell’ambito personale non medico, è stata quindi istituita e collocata in posizione inferiore rispetto a quella dell’infermiere professionale una nuove figura di operatori professionali: l’ “operatore tecnico assistenziale” (OTA), istituito per effetto dell’art. 40, comma 3, del D.P.R. 28 novembre 1990 n. 384, con percorso formativo approvato con D.M. 26 luglio 1991 n.295 e affidato alle Regioni mediante corsi professionali organizzati ai sensi dell’art. 14 della L. 21 dicembre 1978 n. 845 per il tramite delle aziende sanitarie locali (cfr. art. 2 D.M. 295 cit.).
Ai sensi del mansionario allegato al D.P.R. 384 del 1990, l’OTA svolge la propria attività sia all’interno delle strutture sanitarie, pubbliche che private coadiuvando l’infermiere professionale in tutte le attività assistenziali, dirette ed indirette, ed assicurando anche prestazioni di natura domestico alberghiera relative alla degenza, il trasporto dei materiali e attività igienico-sanitarie
Inoltre, su prescrizione assicura interventi di natura assistenziale agli utenti direttamente per le attività che gli competono.
Nel contempo, il riordino del sistema assistenziale pubblico e privato introdotto dalla L. 8 novembre 2000 n. 328 e dal D.L.vo 4 maggio 2001 n. 207 nonché dalla relativa legislazione regionale di attuazione e dalla sua separazione per effetto del D.M. 8 agosto 1985 con le strutture proprie del Servizio sanitario nazionale (ma comunque con esse correlato in sede di distretto socio sanitario: cfr. artt. 3-quater e 3-quinquies del D.L.vo 20 dicembre 1992 n. 502, aggiunti per effetto dell’art. 3, comma 1, del D.L.vo 19 giugno 1999 n. 229) ha parimenti favorito l’istituzione di nuove figure professionali operanti nelle strutture assistenziali pubbliche e private accreditate: e ciò in evoluzione a quella, risalente nel tempo, dell’ “ausiliario socio-assistenziale” (ASA), poi correntemente denominato “operatore socio-assistenziale” (OSA), istituito ab origine nell’ambito sanitario con D.M. 10 febbraio 1984 quale figura “nuova atipica” o di “dubbia iscrizione” nei ruoli del personale del S.S.N. ai sensi dell’art. 1, quarto comma, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 ma ben presto diffusosi rapidamente nelle strutture pubbliche e private accreditate con mansioni di assistenza non infermieristica per le persone anziane ivi ospitate.
Si tratta, in particolare, dell’ “Operatore socio-sanitario” (OSS), istituito per effetto dell’art. 3-octies del D.L.vo 502 del 1992 come introdotto dall’art. 3, comma 1, del D.L.vo 19 giugno 1999 n. 229 e modificato dall’art. 8, comma 3, lettera e), del D.L.vo 28 luglio 2000 n. 254.
Il percorso formativo di tale figura professionale è stato disciplinato con provvedimento dd. 22 febbraio 2001 adottato in sede di Conferenza permanente Stato – Regioni.
La figura medesima riunisce la professionalità dell’operatore assistenziale con nozioni sanitarie di base proprie dell’OTA; essa – anzi – solitamente proviene dall’evoluzione formativa dell’OTA estesa anche all’ambito socio-assistenziale.
Tale personale, dopo aver completato una specifica formazione professionale organizzata dalle Regioni, svolge attività indirizzata all’assistenza diretta e di supporto all’utente sia ricoverato che presso il suo domicilio o presso strutture residenziali pubbliche o private, su indicazione del personale medico e infermieristico professionale.
Ulteriore evoluzione dell’OSS è l’ “Operatore socio-sanitario complementare” (OSSC), figura sorta per effetto dell’art.1 del D.L. 12 novembre 2001 n. 402, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 gennaio 2002 n.1, che conferma le disposizioni di cui all’anzidetto provvedimento della Conferenza Stato – Regioni e che prevede la stessa procedura per disciplinare la formazione complementare in assistenza sanitaria al fine di consentire all’OSS ulteriormente formato di collaborare con l’infermiere o con l’ostetrica e di svolgere alcune attività assistenziali in base all’organizzazione dell’unità funzionale di appartenenza e conformemente alle direttive dell’assistenza infermieristica o ostetrica, o comunque sotto la supervisione di tali figure sanitarie non mediche.
Orbene, avuto riguardo a tutto ciò, la disamina dell’ordinamento consente di acclarare che nessuna disposizione di legge sancisce equiparazioni di sorta tra la figura professionale dell’ “infermiere generico” con quella dell’ “ausiliario – operatore socio assistenziale” (ASA o OSA) ovvero con quella dell’OTA, dell’OSS o dell’OSSC: e, in conseguenza di ciò, per l’interprete non risultava possibile all’epoca dei fatti di causa – né risulta possibile a tutt’oggi – integrare le previsioni del bando concorsuale che richieda quale requisito di partecipazione il diploma ASA (OSA), ovvero OTA, o OSS o OSSC nel senso di consentire anche ai titolari del diploma di “infermiere generico” di partecipare al relativo concorso.
Essendo quindi il giudizio di equiparabilità dei relativi percorsi formativi devoluto al discrezionale apprezzamento dell’amministrazione che bandisce il concorso, avuto riguardo – anche, e soprattutto – alle proprie concrete esigenze assistenziali, ne consegue che la mancata considerazione nella lex specialis delle aree di sovrapposizione tra le competenze proprie dell’ “infermiere generico” con quelle proprie delle predette nuove figure di operatori socio-assistenziali può, ove del caso, legittimare l’ “infermiere generico” medesimo ad impugnare sul punto la “lex specialis” anzidetta, richiamandosi anche alla difformità della determinazione attuale della P.A. rispetto a quelle pregresse assunte in senso eventualmente diverso, ma non a chiedere al giudice amministrativo – in difetto di tale onere del deducente medesimo – di espletare al riguardo il proprio sindacato sulla clausola del bando non impugnata.
Deve dunque per tutto ciò concludersi nel senso che il giudice di primo grado ha rettamente dichiarato inammissibili i tre primi motivi di ricorso ivi proposti dalla C..
4.2.3. Va soggiunto che, come è ben noto, il giudice amministrativo ben può interpretare nel suo insieme il contenuto del ricorso innanzi a lui proposto, in modo da poter addivenire – sia pure attraverso un’operazione più o meno complessa d’interpretazione del suo testo, alla precisa individuazione del bene giuridico cui l’interessato tende e le ragioni a fondamento della pretesa (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 2013 n. 4188), sempreché con tale operazione ermeneutica il giudice non si sostituisca al richiedente (cfr. ibidem): e, in tal senso, l’interpretazione costantemente data da questo giudice è nel senso dell’insufficienza dell’utilizzo delle mere formule di stile (come, per l’appunto, quella genericamente riferita ad “ogni atto presupposto, connesso e consequenziale”, nella specie usata nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado) per affermare che si era voluto espressamente chiedere l’annullamento di un determinato atto (cfr. sul punto, ad es., la già citata sentenza di Cons. Stato, Sez. VI, n. 4998 del 2011), soprattutto allorquando non sono state formulate puntuali censure su di esso.
4.2.4. Altrettanto correttamente lo stesso giudice ha anche respinto il quarto e ultimo motivo di ricorso, posto che dalla mancata contestazione dell’esclusività – prevista dal bando – del titolo di “assistente socio-assistenziale” quale requisito di partecipazione al concorso non poteva che discendere l’esaustività della motivazione addotta dall’Istituto al fine di escludere la C. dalla partecipazione al concorso medesimo, ossia il mancato suo possesso di tale titolo professionale.
4.2.5. Da ultimo, va evidenziato che la C. ha proposto nel presente grado di giudizio una domanda nuova e ulteriore rispetto ai motivi di ricorso dedotti innanzi al T.A.R., ossia quella di risarcimento dei danni asseritamente derivati dal predetto provvedimento di esclusione dal concorso.
Tale domanda risulta di per sé ammissibile avuto riguardo al combinato disposto degli artt. 104, primo comma, e 34, comma 3, cod. proc. amm.: essa, peraltro, va respinta in quanto l’ esclusione dal concorso di cui trattasi risulta, per tutto quanto detto innanzi, legittimamente adottata e, pertanto, insuscettibile di determinare un danno ingiusto nella sfera giuridica della deducente.
5. La mancata costituzione dell’Istituto nel presente grado di giudizio esonera il Collegio dalla statuizione sulle spese e sugli onorari di causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2014