Gli ultimi sondaggi danno il No in vantaggio di 8/9 punti (indecisi a parte). Tuttavia, a meno di una vittoria del No schiacciante (superiore al 60%) non è detto che l’eventuale sconfitta metta realmente fuori gioco Renzi. Perché se il Sì arrivasse alle percentuali vicine al 45/46% dei sondaggi odierni, avrebbe in dote un significativo consenso personale da giocarsi alle elezioni. Molto più solido di quello frammentato del fronte del No
18 NOV – Uno degli ultimi sondaggi sul referendum del 4 dicembre, pubblicato oggi da Repubblica prima del blackout preelettorale, dà il No in vantaggio di 7 punti. Secondo l’istituto Demos, il fronte del No vincerebbe con il 41% dei consensi contro il 34% del Sì mentre un 25% di elettori è ancora indeciso. Questi valori, ricalcolati senza tener conto degli indecisi, darebbero un risultato finale del No al 54,6% e del Sì del 45,4%, con una distacco del 9,2%.
Un altro sondaggio dell’Istituto Piepoli, pubblicato sempre oggi da La Stampa, dà risultati simili, con il Sì al 54%, il No al 46% e con una platea di indecisi attorno al 24%. In questo caso il distacco scenderebbe a 8 punti.
Fermo restando che un 25% di indecisi potrebbe ribaltare il risultato – come avverte lo stesso Ilvo Diamanti di Demos, autore del sondaggio di Repubblica, che ricorda quanto avvenuto con le elezioni americane che vedevano Clinton in vantaggio fino all’ultimo per essere poi superata da Trump proprio grazie a quella fetta di americani che era sfuggita ai sondaggisti – l’attenzione di tutti è su cosa farà Matteo Renzi in caso di sconfitta.
Lui ha detto da subito, e lo ha ripetuto anche in questi giorni, che prenderà atto del risultato e che non sarà disposto a gestire “governicchi” di vario genere.
Il che sembrerebbe dire dimissioni da Palazzo Chigi. Ma non un immediato ricorso alle urne. Perché, a parte scenari poco probabili di governi tecnici o istutuzionali per arrivare alla fine naturale della legislatura, è chiaro che, con la legge elettorale in vigore (la cosiddetta Italicum), nessuno, per timore del ballottaggio, tranne probabilmente il M5S, avrebbe vantaggio di andare subito al voto.
Senza contare che l’Italicum, tra l’altro sotto la lente della Corte Costituzionale che dovrà valutarne la legittimità, andrebbe comunque modificato perché concepito in vista della fine del bicameralismo paritario senza Senato elettivo, e quindi operativo solo per l’elezione della Camera.
Al Senato, se non si cambia o integra l’Italicum, si andrebbe infatti a votare con un sistema elettorale proporzionale, risultante dal verdetto della Corte Costituzionale del dicembre 2013 che ha decretato l’illegittimità del “Porcellum”. E questo vorrebbe dire la quasi certezza di maggioranze diverse tra Camera e Senato.
Quindi un Governo, anche se con l’unico scopo di modificare la legge elettorale, sarà certamente rimandato al Parlamento dal presidente Mattarella per raccogliere la fiducia. Sul fatto poi che la nuova legge elettorale difficilmente prevederà il ballottaggio, ne possiamo essere quasi certi, sia per considerazioni di opportunità politica (solo il M5S al momento sembrerebbe in grado di vincerlo), sia perché lo stesso Renzi, controfirmando il documento del Pd sulle modifiche dell’Italicum, ha aperto all’eliminazione del secondo turno con ballottaggio.
A quel punto in Parlamento ci sarebbe un’ampia maggioranza per una legge elettorale, maggioritaria o proporzionale o mista, senza ballottaggio che riaprirebbe i giochi rispetto a tutti i sondaggi di questi ultimi tempi, che davano sempre i Cinque Stelle favoriti al secondo turno elettorale.
In questo scenario Renzi, pur se sconfitto dalle urne referendarie e superato lo shock dei primi giorni, risulterebbe infatti comunque forte di un 45/46% di elettori a lui, se non favorevoli, “non pregiudizialmente contrari” (visto l’aspetto plebiscitario pro o contro Renzi assunto ormai dal referendum del 4 dicembre, al di là della spersonalizzazione tardiva ad opera del Premier). Questo gli consentirebbe di ripartire con una base potenziale di consensi molto più solida di quella del fronte “vittorioso” del No, costituito da forze politiche unite nel No a Renzi ma divise su tutto il resto.
Un ragionamento che in qualche modo sembra anche echeggiare nelle parole del premier oggi pomeriggio nella conferenza stampa per i “1000 giorni del Governo” (vedi video) dove, dicendosi in ogni caso ottimista sul risultato finale, “i sondaggi ultimamente sbagliano sempre”, ha comunque sottolineato che alla fine “vedremo quanti saranno i voti per il Sì e quanti quelli per il No”, come a dire, contiamoci, al di là del risultato.
I giochi, quindi, anche in caso di vittoria del No, e a meno che questa non assuma i contorni di una vera e propria disfatta con percentuali superiori al 60% contro Renzi, non è detto che si traducano inequivocabilmente in una debacle del premier.
Che anzi potrebbe a quel punto sciogliere tutti i nodi con la minoranza PD e presentarsi alle urne con una piattaforma elettorale basata su quel 40/45% abbondante di Sì al referendum sulla quale far convergere forze e movimenti politici alla ricerca di un’identità fuori dal centro destra (ancora senza un leader unificante) e non affascinati dall’onda montante dei Cinque Stelle. E, senza ballottaggio, le chance di vittoria ritornerebbero a farsi vedere.
Cesare Fassari