La lettera della madre di una giovane donna, costretta a letto da un male gravissimo, contiene il racconto di una vicenda che svela gli ancora gravi problemi del sistema sanitario e della pubblica amministrazione rispetto un servizio al cittadino complesso e delicato
ROMA – Questa che segue è la lettera di una signora, madre di una govane donna costretta a letto, da una diagnosi sbagliata, che ha provocato una condizione patologica gravissima, per la quale è stata richiesta l’assistenza domiciliare ad una Asl. Ma, per ragioni che la signora spiega nel messaggio, che ancora si sta aspettando da circa 30 anni. Dal racconto della signora emerge dunque uno dei tanti casi di inefficienza – o di “colpevole distrazione”, come qualcuno la definisce – del sistema sanitario e della pubblica amministrazione, in uno dei servizi al cittadino più complessi e delicati. Ecco, dunque, la lettera che ci è pervenuta dalla signora Rita Basso, che volentieri pubblichiamo.
Salve, mi chiamo Rita Basso e sono la mamma di Amina. Stiamo vivendo una storia che ha del paradossale, per un’assistenza domiciliare, stiamo rischiando la vita di mia figlia, per una sentenza errata e il diniego della Asl nel trovare un accordo che permetta un’assistenza adeguata per mia figlia. Qui di seguito la nostra storia, raccontata anche in una pagina su Facebook, dedicata a lei “Io Sto Con Amina”
“Amina nasce nel 1983. Dopo 2 anni di ricoveri dal 1985 le viene diagnosticato un terribile tumore cerebrale, inoperabile nel 1987. Mi dicono: non c’era speranza, l’unica via da tentare è la radioterapia. Mi dicono anche che sarà una terapia lieve e mirata al tumore….
Mi dicono. Ad un anno esatto dal ciclo radioterapico, arriva il primo coma, il primo di una serie. Cinque giorni terribili, ma poi il risveglio. Amina resta gravemente lesionata dal coma. Un lunga ripresa durata anni, ma con una metà del corpo “offesa” e un ritardo cognitivo. Subisce altri interventi chirurgici, non sulla massa tumorale, ma per un problema annesso, il liquor a causa del tumore, restava bloccato.
Arriviamo all’età di 13 anni (miracolo?) e lei peggiora. Non più soddisfatta delle risposte dei medici, mi rivolgo ad un luminare. Nel tempo sono cambiate le tecniche e le viene asportato il tumore. Sentenza micidiale: l’esame istologico dà una risposta completamente diversa: il tumore è benigno. Quindi, la radio terapia non andava fatta e la stessa le ha creato un encefalite, il cervello sta morendo. Scopro, oltretutto, che durante le sedute di radio terapia le fu fatta una dose massiccia a tutto l’encefalo. Tradotto in parole povere, mi mentirono. Da allora, assistiamo ad un peggioramento continuo con la complicanza di tante patologie scaturite da quella cura. Amina perde gradualmente la parola, la deglutizione, la muscolatura, la funzione sfinterica, la peristalsi, soffre di epilessia, vanno in sofferenza reni, surrenali, intossicazione d’acqua e Iposodiemia. Tutto questo perché il danno parte dall’ipofisi e dall’ipotalamo, zone del cervello distrutte dalla radioterapia.
Oggi Amina vive in un letto. E’ attaccata ad una macchina per la nutrizione intestinale. La patologia più grave è l’iposodiemia, cioè perdita di sale, minerale importantissimo per le attività cerebrali, la conseguenza di una crisi iposodica è il coma. Teniamo sotto controllo questo deficit con l’aggiunta del sale nel latte speciale che la nutre: 12 grammi al giorno. Purtroppo però le crisi iposodiche possono insorgere lo stesso, proprio per il danno causato e in qualsiasi momento. Dal 2008 sto chiedendo l’assistenza infermieristica h24 perché l’unica figura professionale che potrebbe gestire le crisi iposodiche nell’immediato è l’infermiere, coadiuvato anche solo telefonicamente da un medico, essendo l’unico a poter inserire l’ago in vena, per poter correggere immediatamente la concentrazione del sodio nel sangue.
Lo scorso anno mi sono rivolta ad un legale. A gennaio di quest’anno ho citato la Asl in tribunale, purtroppo siamo incappati in un CTU (la consulenza tecnica d’ufficio nel processo civile n.d.r.) poco ferrato in materia e, pur riconoscendo un’assistenza h24, non l’ha distribuita nel modo più consono per gestire la patologia di Amina: invece di 24 ore di assistenza infermieristica domiciliare, è stato riconosciuto un medico disponibile telefonicamente h24 e un accesso mensile del medico stesso; ci ha assegnato 12 ore di OSS (operatore socio sanitario, che non può inserire aghi e che non sa nulla di qualsiasi patologia) 8h di assistenza infermieristica e 3 accessi medici (1 ogni 8h) che però non servono a nulla. Questo PAI (progetto assistenziale individualizzato n.d.r.) oltre a non garantire la vita ad Amina, la mette a rischio della vita, perché Amina soffre anche di ipotermia e il fatto di dover aprire la porta di casa continuamente per il cambio delle figure più o meno professionali, non mi permetterà di mantenere la giusta temperatura.
Si finisce per spendere di più. Oltretutto, con il piano terapeutico chiesto dal CTU e convalidato dal giudice, la Asl si troverà a spendere una cifra di gran lunga maggiore, rispetto a quella che in realtà basterebbe. Ho chiesto un concordato tra le parti con la Asl, ma la stessa lo ha declinato, prima con una scusa, poi una volta intervenuta la regione Lazio mi è stato detto che non potevano concederci quanto negato in passato. Cosa vuol dire? Amina non può essere curata nel giusto modo perché loro hanno sbagliato a non concederlo in passato? Aggiungo che l’assistenza infermieristica domiciliare, così come richiesta da me, costa meno, oltre che da quella sentenziata, anche di un ricovero in una clinica a lunga degenza. La mia richiesta nasce dal fatto che Amina ha bisogno della sua casa, degli odori e dei rumori che lei conosce e noi abbiamo bisogno di lei”.
Sono stata riconvocata per il 5 gennaio prossimo. Ribadirò che il PAI previsto dalla sentenza Amina non potrà mai sopportarlo. Lo so, la conosco bene dopo 30 anni e dopo aver combattuto contro i mulini a vento, dopo essere riuscita a tenerla in vita. Distinti Saluti
Rita Basso.
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