Cassazione. Il ‘primario’ non risponde dei piani di lavoro e della formazione degli infermieri
Una sentenza della Corte riconosce la responsabilità della formazione del personale infermieristico in capo al personale infermieristico stesso e esula dalle “prerogative dirigenziali del direttore o primario del reparto”. E poi sottolineano come l’infermiere in una unità coronarica “in qualche modo agisce da medico”. LA SENTENZA
15 FEB – Una sentenza della Cassazione penale (IV sezione, 21 gennaio 2016 n. 2541) stabilisce importanti principi di diritto nei rapporti tra medici e infermieri sia sul piano della subordinazione gerarchica ex primariale sia sul piano dello stretto esercizio professionale.
Il fatto
A un paziente ricoverato presso l’unità coronarica dell’ospedale di Livorno veniva applicato un apparecchio telemetrico i cui allarmi erano erano stati sospesi a “tempo indeterminato”.
Insorge al paziente una fibrillazione ventricolare (ad allarme sonoro disattivato dunque) “ma regolarmente segnalata dal monitor centrale, peraltro privo di vigilanza, in quanto i due infermieri e il medico in servizio erano impegnati in altre due necessarie attività e perciò impediti al controllo dei monitor. Il mancato allertamento ha determinato il mancato l’intervento terapeutico risolutivo della crisi con conseguente exitus del paziente.
Viene tratto a giudizio il direttore della divisione di cardiologia e unità di terapia intensiva dell’ospedale di Livorno in ordine all’accusa di omicidio colposo:
a) per avere omesso di verificare “al momento del trasloco dell’U.T.I.C. presso la nuova struttura nel febbraio 2006, che il mantenimento della precedente turnazione di tre infermieri professionali complessivi, non adeguato alla nuova logistica del reparto, dove uno dei tre infermieri si sarebbe trovato in locali diversi dell’U.T.I.C. e materialmente impossibilitato al controllo dell’apparecchiatura di monitoraggio) comportava la formale scomparsa della funzione di controllo dal piano di lavoro, nonché il sostanziale impedimento della stessa nelle occasioni in cui gli infermieri professionali presenti in U.T.I.C. fossero stati completamente assorbiti dalle incombenze ordinarie e straordinarie del reparto”;
b) per “aver omesso di vigilare, in occasione della contemporanea installazione del nuovo impianto di monitoraggio Philips, sulla esaustività della formazione del personale addetto al reparto in merito alle modalità di utilizzo delle apparecchiature telemetriche in dotazione all’unità di terapia sub-intensiva, nonché sul corretto e sufficiente livello di apprendimento raggiunto da ciascuno con particolare riferimento ai comandi di sospensione/riattivazione degli allarmi sonori e alla loro visualizzazione in video”.
In primo grado il Tribunale di Livorno assolve il direttore per il punto sub a) per “non avere commesso il fatto” e per il punto sub b) perché il “fatto non sussiste”.
I giudici livornesi, dopo avere stigmatizzato il fatto che un intervento tempestivo avrebbe potuto salvare il paziente, hanno fatto notare che le due infermiere in servizio, uniche presenti nell’Utic in quei momenti, “erano impegnate nell’assistenza urgente di altri pazienti e non erano pertanto “in grado di permanere nella guardiola davanti al monitor della postazione centrale, ove sono consumabili le tracce delle telemetrie” e solo l’allarme sonoro – però disattivato – avrebbe potuto portare il loro intervento.
I giudici livornesi inoltre hanno esaminato distintamente i due profili di colpa attribuiti al primario. Quanto alla “omessa valutazione dell’inadeguatezza del nuovo piano infermieristico, in occasione del trasferimento dalla vecchia Utic al nuovo reparto Utic era emerso dal dibattimento che il primario si fosse adoperato presso la “dirigenza amministrativa” nella segnalazione della carenza di personale infermieristico. Sempre il Tribunale aveva trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica affinché valutasse eventuale profili di reato proprio sulla “dirigenza amministrativa” (supponiamo il direttore generale).
Quanto invece alla condotta di carattere omissivo relativa alla “omessa vigilanza sulla formazione del personale infermieristico” dopo avere precisato i fatti sull’opera di formazione del tecnico esterno, il Tribunale di Livorno ha avuto modo di precisare che “la responsabilità della formazione e della informazione del personale infermieristico è un compito che esula dalle prerogative dirigenziali del Direttore o Primario di reparto per essere affidato alla autonomia organizzativa del personale infermieristico”.
Inoltre facendo riferimento alla normativa in vigore, i giudici labronici proseguono affermando che “si può concludere che, così come non rientrava tra i compiti del primario organizzare i corsi per la formazione del personale infermieristico sul nuovo sistema di monitoraggio del reparto, così neppure poteva pretendersi dal predetto una puntuale verifica preliminare della piena conoscenza del sistema da parte dei singoli operatori”; invero la responsabilità del primario G. andava circoscritta “ai compiti di vigilanza e controllo generali, dovendo fare affidamento all’autonomia professionale e organizzativa del personale infermieristico per quanto attiene all’aggiornamento professionale”.
In secondo grado la Corte di appello di Firenze riformava la sentenza condannando il primario sul secondo profilo di colpa contestato e assolvendolo sul primo. I giudici fiorentini hanno contestato il mancato intervento del direttore che, pur conoscendo le difficoltà che il nuovo e non collaudato sistema telemetrico aveva comportato, non si era assicurato della “esaustiva capacità degli infermieri di utilizzare correttamente le apparecchiature telematiche” condannandolo a sei mesi di reclusione.
Il primario ricorre per Cassazione con sei distinti motivi di ricorso, alcuni dei quali strettamente procedurali, che omettiamo per necessità di sintesi.
Proprio sui motivi procedurali si incentrano le prime riflessioni della Cassazione. Quanto al merito è interessante la contestazione operata dai supremi giudici alle motivazioni di condanna del primario da parte della Corte di appello che “ha ricostruito gli obblighi di garanzia riferibili alla figura del direttore di reparto ospedaliere (cd. primario) nei confronti del personale infermieristico secondo una prospettiva che si è sviluppata sulla falsa riga di quanto stabilito per gli obblighi di formazione gravanti sul datore di lavoro” le cui finalità, rispetto alla classica responsabilità professionale, sono però evidentemente diverse.
Inoltre, continua la Cassazione, la Corte di appello di Firenze “non ha tenuto conto delle specifiche normative in materia, che invece erano state analiticamente esaminate dal giudice di primo grado al fine di addivenire alla conclusione che non rientrava tra i compiti del primario organizzare i corsi per la formazione del personale infermieristico sul nuovo sistema di monitoraggio del reparto e neppure verificare la piena conoscenza del sistema da parte dei singoli operatori”.
La Cassazione ricorda che nella sua precedente giurisprudenza ha già avuto modo di individuare in capo all’infermiere una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente “del tutto autonoma” rispetto a quella del medico e che le normative non riconducono più l’infermiere come “ausiliario del medico” ma come “professionista sanitario”.
Inoltre la Cassazione fa proprie le motivazioni della sentenza di assoluzione del direttore operate dal Tribunale di Livorno:
“… le UTIC sono state introdotte negli anni ’60 e sono caratterizzate da un’area di degenza dove si esercita una sorveglianza diretta e continua del paziente da parte del personale infermieristico in grado di intervenire autonomamente ed immediatamente alla comparsa di un’aritmia minacciosa; l’UTIC è caratterizzata, cioè, da personale che fa un training specifico e che non è mero esecutore, ma in qualche modo agisce da medico, essendo in grado di agire terapeuticamente in autonomia nell’immediatezza anche senza la presenza del medico”.
La sentenza della Corte si conclude con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per la diretta audizione del tecnico della telemetria, per l’individuazione della posizione di garanzia in ordine al personale infermieristico sulla formazione (alla luce dei principi delineati) e alla sussistenza del nesso di causa tra la condotta omissiva e l’evento letale.
Commento
La vicenda sopra ricostruita dalla sentenza della Corte di Cassazione è importante nel rapporto tra la professione medica e infermieristica in quanto ha individuato una serie di principi che agiscono su piani diversi.
Il primo è relativo ai rapporti gerarchici tra le due professioni. Storicamente e tradizionalmente la professione medica è stata posta dall’ordinamento giuridico a capo di tutto il novero – invero povero e limitato – delle professioni sanitarie ausiliarie del novecento. La distinzione, come è noto, è venuta meno con l’entrata in vigore della legge 26 febbraio 1999, n. 43 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”.
Anche la normativa “gerarchica” interprofessionale è cambiata e dalla tradizionale tripartizione delle figure mediche tra primari, aiuti e assistenti si è passati alle figure dirigenziali ingenerando una serie di equivoci sul lessico aziendalistico utilizzato (tanto è vero che, ad oggi, la stessa Cassazione quando parla del direttore di struttura complessa sente il bisogno di ricordare che si sta riferendo all’antica figura primariale).
E’ universalmente noto che la trasformazione di tutti i medici in dirigenti sia stata operata per motivazioni politico-sindacali come strada per riconoscere un’adeguata retribuzione a una professione complessa, rischiosa e necessitante di un’alta formazione come quella medica.
Non si è voluto invece operare una reale trasformazione dirigenziale con l’attribuzione di reali poteri che caratterizzano la funzione dirigenziale stessa – soprattutto ai dirigenti medici senza incarico – in quanto la natura più genuinamente professionale dell’attività medica rende incompatibile la reale trasformazione dirigenziale.
Alcuni poteri dirigenziali sono senza dubbio attribuiti al dirigente di struttura complessa così come vengono delineati dall’articolo 15 del D.Lgs 502/1992, ma questi sono temperati dalle normative successive delle altre professioni, come ci ha ricordato la Cassazione.
Nell’individuazione di eventuali colpe in vigilando dovute alla supremazia gerarchica i supremi giudici in merito alla “omessa valutazione della inadeguatezza” del piano di lavoro infermieristico nel nuovo reparto e nella nuova logistica dell’unità coronarica non riconosce le responsabilità in capo al titolare della struttura complessa ma adombra la possibilità di responsabilità più apicale e verosimilmente riferite alla direzione generale (sull’inadeguatezza della dotazione organica di personale).
Sul secondo punto in merito alla “omessa vigilanza sulla formazione del personale infermieristico” il principio di diritto che emerge è chiarissimo: la responsabilità della formazione del personale infermieristico viene riconosciuta dall’ordinamento in capo al personale infermieristico stesso e esula dalle “prerogative dirigenziali del direttore o primario del reparto”; lo stesso deve dirsi sul controllo della “mancata verifica preliminare della piena conoscenza del nuovo sistema da parte dei singoli operatori”. Il primario, quindi, o come si chiama adesso direttore, deve fare “pieno affidamento all’autonomia professionale e organizzativa del personale infermieristico”.
La posizione di garanzia dell’infermiere distinta e autonoma rispetto a quella del medico è ormai un orientamento ben consolidato della Cassazione da circa un ventennio.
Da un punto di vista delle competenze professionali, la Corte sposa in pieno quanto statuito dai giudici livornesi in merito al lavoro all’interno di una unità coronarica, arrivando a specificare che sono caratterizzate da “un’area di degenza dove si esercita una sorveglianza diretta e continua del paziente da parte del personale infermieristico” e che tale personale in qualche modo “agisce da medico, essendo in grado di agire terapeuticamente in autonomia nell’immediatezza anche senza la presenza del medico”. Parole forti che sembrano essere un pieno riconoscimento alle situazioni di fatto che si sono create nei decenni nelle corsie e nelle organizzazioni italiane.
La tendenza di oggi è chiamarle “competenze avanzate o specialistiche”. L’importanza della sentenza in questione è rappresentata dal riconoscimento a “legislazione invariata” (avevo già espresso su queste colonne questo pieno convincimento in tempi non sospetti e prima dell’approvazione del comma 566 della legge di Stabilità 2015) proprio dell’avanzamento delle competenze in quanto l’attuale sistema di abilitazione di esercizio professionale, al netto dell’applicazione del comma 566, già permette a tutte le professioni sanitarie di poter crescere professionalmente e adeguare le proprie attività alle mutate esigenze organizzative e professionali.
I supremi giudici non utilizzano, a onor del vero, un linguaggio rigorosissimo da un punto di vista giuridico in quanto l’agire da medico comporterebbe essere abilitato da medico requisito senza il quale si versa nell’abusivismo professionale. Ricordiamo, in premessa, che di abusivismo professionale si occupa un’altra sezione della Corte (la VI mentre la IV si occupa di responsabilità professionale). E’ del tutto verosimile però che la Cassazione abbia voluto riferirsi non alle competenze “specifiche ed esclusive” della professione medica, le attività che vengono svolte monopolisticamente dalla categoria, bensì a quella vasta area grigia comune tra le professioni che nell’organizzazione tradizionale spesso sono “del medico” ma non necessariamente sono giuridicamente “mediche”.
Interessante è anche il punto fissato dai giudici per stabilire il nesso di causa tra l’insufficienza di personale e l’impossibilità di rimanere posizionati alla consolle di monitoraggio con una relativa, sembra di capire, eventuale esenzione di responsabilità.
Una decisione importante puntuale che mette un punto fermo nel maturo rapporto tra le due professioni.
Quotidiano sanita.it
Luca Benci
Giurista