06 FEB – Gentile Direttore,
sono un infermiere, appassionato della materia giuslavoristica, dipendente e componente RSU degli Ospedali Riuniti di Ancona e cittadino marchigiano. Sto seguendo con molto interesse la questione che vede come protagonista un lavoratore cui è stata recapitata una nota per contestazione di addebiti disciplinarmente rilevanti. La discussione condotta con toni pacati – dal Segretario Territoriale Nursind di Ancona, dott. Conti, dai Dirigenti degli Ospedali Riuniti di Ancona, dott. Caporossi e dott. Maraldo (in seguito solo Azienda) e dal Segretario Regionale Marche Anaao Assomed, dott. Mercante – fornisce spunti di riflessione su diversi istituti: regolamento di disciplina, pronta disponibilità, riposo giornaliero, libera professione per citarne alcuni.
Contestazione di addebito disciplinare. Il regolamento aziendale prevede, a norma del D. L.vo 165 del 2001, la fattispecie di addebito disciplinare contestato (“inosservanza alla disposizione di servizio”) e per l’Azienda è un atto dovuto procedere, una volta ricevuta la sanzione, pena possibile sanzioni anche per il dirigente che non vi abbia dato luogo a procedere.
Anche la contestazione è corretta: l’assenza è stata giustificata formalmente dal dipendente e confermata anche nel corso della telefonata. Anche Mercante è di questa idea. Certo il dipendente avrebbe potuto inoltrare idonea certificazione medica all’azienda a riprova di un suo malessere dovuto ad un irrecuperabile reintegro psico-fisico per il successivo turno chiamato a svolgere.
Sarebbe da consigliare allo sfortunato lavoratore sessantenne di chiedere una visita al medico competente (art. 41, comma 2, lettera “c” del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81) al fine di ottenere, limitatamente alla turnazione in regime di pronta disponibilità, una prescrizione, lo stesso dovrebbero fare i dipendenti che si trovano nelle medesime condizioni.
Quindi giusto il comportamento dell’Azienda sotto il profilo giuridico: diversamente ogni dipendente si sarebbe sentito, considerato il precedente, in diritto di prendere o meno il servizio; meno sotto quello umano, “sparando” un “soldato” ferito ed indifeso. Nel caso in cui al dipendente venisse comminata la sanzione e lo stesso decidesse di impugnarla innanzi al Giudice del Lavoro si aprirebbe un caso interessante solo nel momento in cui il Giudice decidesse di esprimersi anche sulla questione del riposo e non esclusivamente nel merito del provvedimento in quanto tale.
La normativa vigente. Non ci sono scampi la normativa è chiara. L’art. 7, comma 1, del D. L.vo 8 aprile 2003, n. 66 (in attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE) rubricato “Riposo giornaliero” testualmente recita: “Ferma restando la durata normale dell’orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità”.
Nella versione originaria dell’articolo non figurava l’inciso “o da regime di reperibilità”: inserito dall’ art. 41, comma 4 della Legge 6 agosto 2008, n. 133 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”) e uscitone indenne dall’ondata abrogativa dell’art. 14 della Legge 30 ottobre 2014 n. 161.
Questione “simpatica” propria dell’Italia quella di applicare una norma in contraddizione alle direttive europee che si intendono applicare, alla Costituzione e per giunta anche ai principi emergenti dagli atti dalla procedura di infrazione (2011/4185) della Unione Europea. Si vuole far passare attraverso fantasiose, “partigiane” e temerarie interpretazioni letterarie che il “continuativo” può essere anche “frazionato”: una immensa assurdità se ci si riferisce al riposo.
E si faccia ben attenzione, il caso preso in considerazione non è un caso estremo perché si parla di un blocco operatorio dove gli interventi hanno una durata piuttosto considerevole e le chiamate, nell’arco della reperibilità, non possono essere tante. Si provi a considerare, ad esempio chi lavora in un servizio e la sua prestazione può durare anche mezz’ora, quante chiamate può ricevere nell’arco delle 12 ore e quante volte deve percorrere il tragitto casa/ospedale/casa.
Nel caso di interesse se il computo delle 24 ore (dinamico) lavoro/riposo inizia alle 7.30, si avranno 6 ore e mezza fino alle 14.00 e altre 7 ore e mezza dalla mezzanotte fino alle 7.30 del giorno seguente: 13 ore e mezza di lavoro e 10 ore e mezza di riposo (nelle ore lavorative non sono stati compresi i 30 o 39 minuti eccedenti le 24 ore considerate mentre nelle ore di riposo non sono stati considerati i tempi cosiddetti di “refrazione” ovvero tempi ancorché non rientranti nel computo di lavoro non possono ritenersi a tutti gli effetti riposo come il viaggio per e da la struttura nosocomiale).
L’Azienda in questo caso è stata superficiale nella gestione della turnistica non tenendo in debita considerazione il potenziale numero massimo che il lavoratore può essere chiamato a lavorare: ben 18 ore e mezza su 24! Qui proprio non c’entra il simpatico frazionamento che interrompe il riposo consecutivo! Si ha la necessità di cambiare sia la normativa che l’organizzazione della turnistica. Per la turnistica può provvedere l’Azienda per la normativa si hanno diverse ipotesi: il legislatore, la contrattazione, la Corte Costituzionale, L’Unione Europea. Il legislatore, stante le circolari interpretative, non pare sia intenzionato a fare qualcosa a meno che non viene cambiata la composizione parlamentare.
La contrattazione di primo livello si presenta debole in quanto la volontà dell’Aran è riconducibile alla volontà del legislatore anzi considerato il sempre più flebile potere sindacale potrebbe essere addirittura pericolosa. La Corte Costituzionale pronunciandosi su una questione di legittimità costituzionale eccepita dal Giudice del Lavoro rispetto all’assenza di armonizzazione tra la Costituzione e le norme europee rispetto al D. L.vo 66/03. L’Unione Europea avviando una nuova procedura di infrazione.
Pronta disponibilità. L’istituto del “Servizio di pronta disponibilità” è regolamentato, nel Comparto Sanità, dall’art. 7 del CCNL Integrativo del CCNL del 7 aprile 1999 (siglato il 20 settembre 2001). Il servizio di pronta disponibilità (in seguito solo “pronta disponibilità”), storicamente nasce dall’esigenza di razionalizzare le risorse dei cosiddetti “servizi di attesa” ovvero di strutture il cui carico di lavoro non può essere determinato apriori in quanto trattano principalmente le emergenze (emergenza = imminente pericolo di morte). Vero è che al comma 11, come criterio base viene specificato che “Possono svolgere la pronta disponibilità solo i dipendenti addetti alle attività operatorie e nelle strutture di emergenza. …”.
La razionalizzazione, naturalmente, al di là della struttura di emergenza, consiste nel garantire un determinato numero di unità sempre in servizio e, all’intensificarsi del carico di lavoro, viene attivata la pronta disponibilità. In effetti il comma 4 chiarisce che “… sono tenuti a svolgere il servizio di pronta disponibilità solo i dipendenti in servizio presso le unità operative con attività continua ed in numero strettamente necessario a soddisfare le esigenze funzionali dell’unità …”.
Nella realtà operatoria quindi deve esserci attività continuativa per avere pure la pronta disponibilità (turni anche di notte in considerazione dei dati storici, diversamente si trasmette il “rischio d’impresa” sul lavoratore). Ciò che colpisce della organizzazione è che si hanno più reperibilità in funzione della branca operatoria: più equipè infermieristiche senza considerare che per gli infermieri non esiste una specializzazione come per i dirigenti medici. Il titolo, abilitante, garantisce la capacità dell’infermiere di lavorare presso qualsiasi struttura operativa, figuriamoci una sottoclassificazione all’interno di essa (ancorché la Legge 1 febbraio 2006, n. 43, ne prevede l’istituzione, il legislatore ancora non ha dato corso ai relativi decreti attuativi).
Ma la irregolarità dell’eccessivo ricorso alla pronta disponibilità (ricordiamo per emegenze) in ambito operatorio assume diverse forme: vengono eseguiti trapianti o, per quanto si sente dire, interventi programmati ma che magicamente si trasformano in emergenze. E qui, dott. Mercante, dirigenti che vedono la responsabilità solo nei subalterni, non sono solo quelli infermieristici ma spesso, quasi sempre, medici (di dirigente infermieristico, pare, ce ne sia solo uno).
Manca alla base una identità di cosa si debba intendere per emergenza. Ma la cosa più sconvolgente è che l’Azienda, negli ultimi anni, circa 20, ha sempre evitato di applicare il comma 2 dell’art. 7 sopra richiamato che statuisce: “ All’inizio di ogni anno le aziende predispongono un piano annuale per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica, ai profili professionali necessari per l’erogazione delle prestazioni nei servizi e presidi individuati dal piano stesso ed agli aspetti organizzativi delle strutture”.
Perché? Di conseguenza è stato sempre “splafonato” il fondo dello straordinario e per pagare le attività si è attinto ad altri fondi che la contrattazione di primo livello destina ad altre voci: in altre parole i lavoratori del comparto pagano ai colleghi del blocco operatorio lo straordinario con soldi del loro stipendio accessorio.
Ma è normale tutto questo? E la colpa non è tutta dell’Azienda ma anche dei sindacati che permettono di fare queste “operazioni”: a volte basterebbe un ricorso ex art. 28 dello statuto dei lavoratori. Un buon utilizzo dell’istituto della pronta disponibilità certamente potrebbe ristringere il fenomeno di cui si parla. Per amore di verità va anche detto che l’Azienda, sta provvedendo ad adeguarsi almeno in parte all’art. 7, specialmente per quanto riguarda la reperibilità diurna feriale.
Libera professione. La libera professione è costituita della stessa materia dell’attività istituzionale: ha semplicemente un altro nome! Non comprendo l’accanimento del dott. Mercante nel volerlo considerare riposo. Non sono medico ma non comprendo l’assunto di come si possano recuperare le energie psico-fisiche con la stessa attività con cui sono state consumate. La libera professione deve essere considerata attività di lavoro a tutti gli effetti. Sempre in tema di libera professione consiglierei il dott. Conti di tenere d’occhio il regolamento regionale e quello che è in circolazione, in attesa di avere anche la firma dal comparto, relativo alla libera professione. Troppe le incongruenze e troppe le penalizzazioni a discapito del personale del comparto.
Aggiungo che come cittadino marchigiano ed italiano, sarei davvero preoccupato se dovessi andare in una sala operatoria sapendo che chi lavora può avere alle spalle solo 4 o 5 ore di riposo effettivo.
Dott. Enzo Palladino
Infermiere, Ospedali Riuniti di Ancona
Da Quotidiano sanita.it