Il fenomeno del demansionamento è, secondo la giurisprudenza (permultis: S.C., SS.UU., 11 novembre 2008 n. 26972) la violazione peggiore, la cattiveria più grande che il datore possa fare al proprio dipendente e, per questo, va sanzionata con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento.
In ambito infermieristico, però, il demansionamento è atipico perché non è cagionato dal datore, ma solo perpetrato e sfruttato.
L’infermiere nasce già demansionato, è l’università che lo prepara perché il datore lo possa sfruttare , per “mandare avanti il reparto”.
I corsi universitari sono ridicoli..
Questo indottrinamento che rende appetibili gli infermieri a chi li voglia sfruttare, si rafforza sul posto di lavoro perché i coordinatori e i dirigenti infermieristici, spesso sostenuti dai collegi e dalla federazione, spingono in tal senso, proteggendo gli ausiliari specializzati, gli O.T.A. e gli O.S.S. dall’assistere i malati, anzi, dal toccarli proprio.
le amministrazioni sanitaria hanno sfruttato, nella stessa persona, due diversi profili funzionali: l’infermiere e l’ausiliario, locupletando ingiustamente sul secondo profilo.
L’infermiere non è quello che il D.M. n. 739 stabilisce, non lo è mai stato, perché corre per tutto il tempo pur di soddisfare ogni bisogno del malato, è un mero esecutore come lo era l’infermiere del 1940.
E tutto questo distrugge l’anima dell’essere infermiere oggi, in considerazione del livello evolutivo tecnico-scientifico raggiunto, che i nostri colleghi non si possono permettere di apprezzare e praticare.
“Sussiste il diritto del lavoratore all’effettivo svolgimento della propria prestazione professionale la cui lesione da parte del datore di lavoro costituisce inadempimento contrattuale e determina, oltre all’obbligo di corrispondere le retribuzioni dovute, anche l’obbligo di sanare i danni subiti, che possono assumere aspetti diversi in quanto possono consistere non solo nel danno patrimoniale derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità o nel pregiudizio subito per perdita di chance ossia di ulteriori possibilità di guadagno, ma anche in una lesione del diritto del lavoratore alla integrità fisica o, più in generale, alla salute ovvero alla immagine o alla vita di relazione (per tutte, Cass., 14 novembre 2001 n. 14199). Più in particolare ancora, occorre ribadire che la negazione o l’impedimento allo svolgimento delle mansioni, al pari del demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell’interessato, con una indubbia dimensione patrimoniale che rende il pregiudizio medesimo suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via equitativa”.
Presidente AADI
Prof.Mauro di fresco.