Dal Piemonte alla Toscana aumentano i servizi gestiti dagli infermieri al posto dei camici bianchi. C’è chi ha un master e chi si occupa di anziani. I medici fanno resistenza.
«Quando qui al pronto soccorso trattiamo i casi meno gravi all’inizio ci scambiano per medici, poi, quando vedono la fascetta azzurra sul camice che ci distingue dai medici dicono: tanto fa lo stesso». Marco Ruggeri è uno dei tanti super-infermieri, che soprattutto al Centro-Nord lavorano in servizi di assistenza una volta monopolio dei medici.
In Toscana, Lazio e Lombardia va forte il «vedo e tratto», riferito ai casi meno gravi.
In Piemonte, Lombardia e un po’ anche in Campania e Molise c’è l’infermiere di famiglia, che bussa alle porte di anziani, malati cronici, disabili e donne fresche di parto per verificare che controlli e terapie vengano fatti nei tempi e nei modi giusti. Ma anche per attivare quella rete di volontariato che poi serve a cose pratiche,
A macchia di leopardo un po’ in tutta Italia sfrecciano le ambulanze con a bordo soli infermieri.
Le barricate.
Ma l’Ordine dei medici dell’Emilia Romagna ha alzato le barricate e sospeso un direttore sanitario e nove medici, «colpevoli» di «aver attribuito atti medici agli infermieri». Atto di lesa maestà, per i medici che ci tengono a restare nel gradino più alto del podio sanitario. Proficua collaborazione per i loro colleghi che di questi servizi sperimentali hanno tastato con mano i vantaggi lavorando in tandem con gli infermieri. Che sono oramai ultra-specializzati, visto che ai tre anni per la laurea se ne aggiungono due di specializzazione e altrettanti di master universitari.
Un corso ad hoc lo seguono gli infermieri dei «vedo e tratto» nei pronto soccorso. Come Ruggeri, che da 4 anni a quello del Careggi di Firenze segue le 49 tipologie di pazienti per i quali il medico interviene solo se sorge qualche complicazione. Cose come ferite otite media,consulenza, ustioni..
«All’inizio c’era un po’ di diffidenza da parte dei medici, poi hanno capito che così possono dedicarsi ai casi più complessi decongestionando il pronto soccorso. Tra i pazienti poi in tutti questi anni ne ricordo solo due che hanno detto no, voglio il medico».
L’Università di Torino e quella del Piemonte orientale con i loro master sfornano invece gli infermieri di famiglia, che studiano anche psicologia. Il servizio per ora funziona alla Asl 3 di Torino, in quella di montagna di Verbano-Cusio-Ossola e in quella di Cuneo. Forti della loro formazione avanzata gli infermieri fanno quello che una volta facevano i medici condotti: vanno di casa in casa a seguire chi non può o non vuole muoversi. Così fanno con le donne nei primi mille giorni dopo il parto, aiutandole a seguire al meglio i loro piccoli, verificando che i vaccini siano fatti per tempo. Quando c’è un problema serio si chiama il pediatra. Ma il servizio serve soprattutto a ultrasettantenni, cronici e disabili. «Grazie ai nostri sistemi informatici sappiamo chi sono e dove abitano, quando sono stati ricoverati e che medicine prendono, così li andiamo a trovare e verifichiamo come stanno, se hanno fatto i controlli che dovevano, se seguono come si deve la terapia e quando verifichiamo qualche problema, li invitiamo a fare un accertamento diagnostico», spiega Pasquale Giuliano, che insegna all’Università di Torino e lavora come infermiere di famiglia nello stresso capoluogo.
La diffidenza.
«I miei colleghi che vanno a trovare gli anziani nella vallate di montagna hanno imparato anche il loro dialetto per superare le diffidenze iniziali e adesso riescono a monitorare i vecchi abitanti della Val Maira, di solito riluttanti a spostarsi per andare dal medico». E poi c’è quel lavoro prezioso di raccordo con parrocchie e associazioni di volontariato, Sembra il Paese dei sogni in questa sanità spesso congestionata e invece è realtà. Quando medici e infermieri smettono di farsi la guerra.
Fonte
La stampa