Sappiamo tutti che il codice deontologico dell’infermiere ha quale compito principale quello di stabilire le norme di comportamento che il professionista è tenuto ad osservare in via generale, ma deve delineare e dettagliare, altresì, le competenze a lui attribuite nonché le regole che devono essere seguite nei rapporti con la persona assistita, la famiglia, la collettività, i colleghi e le restanti professioni sanitarie ed ausiliarie, e quando questo non accade ci troviamo, indubbiamente, di fronte ad un codice deontologico quantomeno carente e “non integrato nel suo tempo”.
Che la deontologia infermieristica debba concorrere alla determinazione del campo proprio di attività e di responsabilità dell’infermiere è un concetto che, nel nostro ordinamento giuridico, è stato statuito sin dall’abolizione del mansionario (Legge 26 febbraio 1999, n. 42), ma che, purtroppo, ancora oggi è rimasto lettera morta.
Di fronte agli sviluppi della professione infermieristica italiana ed alla progressiva offerta di competenze che gli infermieri stanno iniziando a diversificare per rispondere ai mutati bisogni della popolazione, credo che qualche riflessione si possa e si debba fare pubblicamente, nell’assoluta convinzione che qualsiasi contributo, volto alla delineazione della deontologia di una professione sanitaria ed intellettuale, come quella infermieristica, possa rappresentare un’importante occasione per alimentare una riflessione comune sull’identità della professione stessa, al fine di unificarla, potenziarla e promuoverla.
La preoccupazione per la “regressione professionale” mi porta a voler commentare pubblicamente la bozza del Codice deontologico dell’infermiere proposta dalla Federazione nazionale Ipasvi, finanche a stravolgerla nella forma e nei contenuti, nell’assoluta convinzione che l’assistenza che ogni giorno ognuno di noi garantisce ad un malato è importante quanto il dovere del dissenso per il mancato riconoscimento della nostra professione.
Emiliano BOI
Nursenews.eu
Alfio Stiro
Apri link sotto