Sono professionisti indispensabili e svolgono compiti delicati. Ma in molte strutture sono costretti a turni massacranti e rischiano il posto di lavoro se denunciano condizioni sanitarie inadeguate. Prosegue la nostra inchiesta sul lavoro degli italiani:
Infermieri sviliti, ricattati, ridotti a compiti da factotum. Sottopagati e alle prese con contratti ‘creativi’ e senza tutele. Spostati da un reparto all’altro, di giorno e di notte, e costretti a fronteggiare da soli corsie affollate da decine di pazienti. Maria (il nome è di fantasia) di origine senegalese, vive in Italia da 34 anni ed è infermiera professionista da un quarto di secolo. Laureata in Infermieristica, per sei anni ha lavorato, di notte, in una casa di riposo del Piemonte. Faceva di tutto: il giro letti, le pulizie, le medicazioni, i prelievi; somministrava le terapie, imboccava gli ospiti, apparecchiava e sparecchiava. Poi qualche settimana fa è stata licenziata.
Soli e con meno diritti, la dura vita dei cassieri notturni
Indirettamente, da uno studio di infermieri associati a cui era iscritta. Così è cominciata la sua battaglia: ha deciso di depositare una denuncia penale per razzismo nei suoi confronti e per le violenze contro gli anziani residenti nel suo ex luogo di lavoro. Ci sono persino delle morti nella storia che ci rivela e che sta riferendo in questi giorni ai magistrati; il suo racconto è suffragato dalle parole di Massimo, anche lui infermiere professionista, un suo collega in organico da dieci anni in quella casa di riposo che sembra uscita da un racconto dell’orore. “Ho chiesto agli inquirenti di muoversi in tempi stretti, prima che la situazione degeneri completamente. Perché gli episodi che denuncio sono poca cosa rispetto all’assurdità del quadro generale” sostiene Maria. “Ci vorrebbe una legge nazionale che istituisca l’obbligatorietà delle telecamere in tutti gli ospedali e case di riposo. Faccio un appello alla ministra Lorenzin e al Parlamento. Quello che noi segnaliamo è solo una punta dell’iceberg. Se piazzassimo le telecamere in tutti i reparti verrebbero a galla fatti ancora più drammatici” aggiunge Massimo. Nella struttura dove lavora lui e lavorava lei, non c’è nemmeno una telecamera interna.
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Contratti fittizi e straordinari non pagati
Maria: “In questo studio di infermieri associati siamo in 170, assunti a tempo indeterminato, in modo fittizio. La paga è di poco più di 10 euro l’ora: con questi soldi dobbiamo pagarci l’Empapi, l’Ente nazionale di previdenza e assistenza della professione infermieristica. Io sono una mamma, ho due figli a carico e le assicuro che, versate le quote Empapi, non mi rimane granché. Per ogni nostra prestazione lo Studio incassa il doppio. Ci tiene sotto scacco”. E Walter aggiunge: “Non abbiamo nessun tipo di garanzia né per le malattie, né per le ferie: ci vengono concesse, ma a spese nostre. E non percepiamo mai straordinari”.
Licenziata per aver rotto l’omertà
Maria: “Sono stata cacciata non per miei errori o negligenze ma perché ero diventata scomoda. Nella nostra casa di riposo gli Oss (operatori socio-sanitari) insultavano, picchiavano e maltrattavano gli ospiti. Io ho denunciato questi fatti e il risultato è che mi hanno dato il benservito. Senza nessuna lettera di licenziamento. Se parli, se rompi il patto d’omertà, sei fuori. Anni fa una mia collega, allontanata come me da un giorno all’altro dallo studio, si è suicidata”. “Davo fastidio perché controllavo tutto, come m’hanno insegnato alla scuola di Infermiera. E poi il colore della mia pelle non piaceva. Il direttore generale me lo aveva promesso: prima o poi ti faccio licenziare, non voglio neri nella mia clinica”.
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Turno di notte: un’infermiera per 70 pazienti
“In tutto siamo sei infermieri, e altrettanti Oss. Di notte sono sempre stata l’unica infermiera di turno per settanta ospiti. Sono una professionista, laureata, ma ho dovuto a lungo supplire alle inefficienze degli operatori socio-sanitari che sonnecchiano e fanno squadra tra di loro” racconta Maria rievocando i turni nella casa di riposo. E aggiunge Massimo, il suo collega: “Dobbiamo idratare gli anziani, altrimenti lasciati a liquefarsi; mobilizzarli; medicarli a causa delle lesioni provocate dalla disattenzione delle operatrici. E anche il personale medico non brilla certo per l’impegno profuso. Asserire che se ne fregano è un generoso eufemismo. Occorre stimolarli a fare le cose, ricordargliele sul quaderno”. Ma non basta: “dobbiamo accendere e spegnere le luci, aprire e chiudere i cancelli, sbloccare gli ascensori quando si bloccano…”.
Anziani maltrattati nella struttura ‘a 4 stelle’
Spiega ancora Maria: “Nella mia denuncia alle autorità giudiziarie ho vuotato il sacco sugli schiaffi, le offese, le urla disumane lanciate dagli Oss agli ospiti col silenzio-assenso del direttore. Due di loro sono deceduti: non stavano bene in salute, ma sono stati lo stesso presi a ceffoni. E pensare che dovrebbe essere una struttura a 4 stelle”. Le fa eco Massimo: “Altri hanno perso la vita perché trascurati dal punto di vista dell’assistenza: soffrivano già di patologie come il diabete o l’ipertensione ma ci si è dimenticati di loro, e quando li si è mandati al pronto soccorso non c’era più nulla da fare. Inoltre sono all’ordine del giorno le cadute rovinose e le fratture del femore”
Manca l’igiene
“Vengono disattesi anche i precetti elementari. Gli Oss sono capaci di usare lo stesso guanto monouso per quattro o cinque pazienti alla volta, scatenando infezioni serie. Ma se provi a rimproverarli, loro sibilano stizziti che il direttore della casa di riposo è d’accordo. Il nostro Studio, dal canto suo, minaccia rappresaglie ogni volta che facciamo notare questi comportamenti. E in sindacati sono totalmente assenti.
“Si perde il legame tra paziente e infermiere”
Per gli anziani il personale paramedico costituisce un po’ una seconda famiglia. Vorrebbero socializzare, condividere l’album dei ricordi, farsi confortare. In questi casi il rapporto psicologico è fondamentale. Ma gli infermieri in servizio sono sempre pochi. E non c’è tempo da perdere. “Per il troppo lavoro da svolgere, a volte non riesco neanche a guardarli in faccia. Figurarsi se riusciamo a instaurare un qualche rapporto empatico” conclude Walter “Siamo delle macchinette che rimbalzano da un piano all’altro, da una stanza alla successiva per fare quello che c’è da fare subito e che gli altri non fanno o fanno male”.
Alfio Stiro
NurseNews.eu
Fonte espresso.repubblica.it