Torino, Laura l’infermiera e quel mare di feriti: «Come in una guerra. E ora non riesco nemmeno a dormire»«Una notte così, noi che l’abbiamo fatta, ce la ricorderemo tutta la vita». Sicuramente Laura Zia, infermiera del pronto soccorso dell’ospedale Molinette, non dimenticherà mai quelle sette ore di fuoco in cui si è ritrovata a gestire l’assalto di oltre duecento feriti, con il ruolo di responsabile del turno infermieristico, perché quella sera è toccato a lei. È Laura, 36 anni e che ha dovuto gestire la cosiddetta «maxi-emergenza» post psicosi terrorismo. È sveglia da 24 ore, ma l’adrenalina non la fa dormire neppure ora che ha finito.
Laura ricorda con lucidità ogni dettaglio. E parla con l’entusiasmo di chi ce l’ha fatta. Di chi ha vinto. «Ero di pomeriggio ieri, ma mi sono fermata anche di sera perché, in vista della partita, c’era bisogno. Essere responsabile in alcuni momenti non è facile, ma quando è arrivata la telefonata che annunciava la maxi emergenza territoriale ho proprio tremato». Quella chiamata alle Molinette è arrivata alle 22.30. «Ci avvisavano — spiega — che c’era una verosimile bomba in piazza San Carlo, poi sembrava una bomba carta, poi una cancellata caduta. Insomma, è arrivato di colpo un grosso flusso di pazienti, e a cascata sono arrivati tutti i reperibili e quelli che si devono attivare in questo caso». Ed è in quel momento che in pochi minuti Laura si è ritrovata a organizzare le persone, chi doveva fare cosa e ad allestire le sale . Fino a fronteggiare una serie di situazioni critiche, alle scene di panico dei pazienti. «Il telefono del Triage squillava continuamente, cercavano tutti qualcuno, da Bergamo, dalla Toscana, a Torino sono arrivati moltissimi ragazzi da fuori».
«Come un triage di guerra»
La notte alle Molinette è stata da delirio. «Arrivavano bambini in macchina con la guardia di Finanza, tassisti che ci lasciavano gente all’ingresso, persone a piedi, in pullman. In dieci minuti è piombata una folla immensa, in un’ora e mezza erano 200 i registrati e poi non si riusciva nemmeno più conteggiare, non c’era personale per prendere dati perché tutti medicavano. Era come se fosse in atto un triage di guerra, si valutavano le priorità sulla porta di ingresso». Laura tira le fila della nottata più indimenticabile della sua vita lavorativa: «Cosa ricorderò di più? Gli specializzandi, I medici, un infermieri che passava di lì in moto, ha visto, si è messo la divisa e ha iniziato a lavorare. In quel momento lì, vedi l’unione».
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«Li abbiamo curati tutti»
Sono tante le scene che restano impresse nella memoria. «Un collega ha visto uno dei primi feriti arrivare, senza dita della mano. E poi le suture, io sono un’internista, ne ho fatte più oggi che in 16 anni di pronto soccorso. A un certo punto avevo il chirugo maxillo facciale a fianco che mi diceva, passami questo, passami quello. «Ho provato a gestire scene di panico — ricorda l’infermiera — c’era uno stato di tensione forte dei pazienti e dei parenti, genitori che non trovavano figli, un padre che non trovava mamma e bambino. Non pensi lì per lì, non sentì la stanchezza, anche dopo un turno di lavoro intenso. Abbiamo avuto bisogno di cinque minuti, per parlarci. Poi siamo partiti tutto insieme. E abbiamo lavorato bene – dice Laura, raggiante – nel caos generale li abbiamo curati tutti».
«Dormire? Non riesco»
I momenti più difficili, sono stati quelli della gestione dello schock delle persone. «Una cosa mia vista – spiega Laura – la sicurezza bloccava la porta di ingresso,bisognava tenere dentro i pazienti e fuori i parenti, molti di loro però avevano attacchi panico. Tutti i pazienti che potevano camminare, li mandavano nella sala sotterranea aperta con quattro chirurghi, tre infermieri e altrettanti operatori sanitari. C’erano molte altre sale, anche con tre medici e tre pazienti insieme». Alla fine, il bilancio è positivo: «Abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra. Alle cinque di mattina avevamo finito il grosso. Ho provato a dormire, ma non ci riesco. Continuo a pensare, una cosa così, non l’avevo mai vista e non me la dimenticherò mai».
Alfio Stiro
Ringraziamo il Corriere.it