TORRIGLIA (GENOVA). Li hanno chiamati “infermieri di comunità”: Non stanno negli ospedali, ma vanno loro a casa degli anziani che vivono fuori dai grandi centri. Il progetto pilota finanziato dai fondi comunitari per ora interessa solo cinque aree in Europa: Piemonte, Provenza, Carinzia, Slovenia. E la Liguria. «Ma noi crediamo sarà questo il futuro della professione e di un pezzo importante della cura della salute: la prevenzione, che diventa possibile solo se riesci a intrattenere una relazione con le persone», spiega Antonella Fretto, 53 anni, una dei tre infermieri arruolati a tempo pieno nel piano.
Ed eccoci qui a Torriglia, che insieme a Rovegno, Rondanina, Propata, Montebruno, Gorreto, Fontanigorda, Fascia, fa parte dei comuni della Val Trebbia coinvolti da “Consenso”, ideato per «prepararsi ad una vecchiaia sana ed indipendente a casa propria», dice la brochure della Regione.
Il principio alla base della sperimentazione è semplice: se si prevengono le possibili patologie degli over 65 attraverso dei controllo regolari fatti direttamente a casa delle persone, si diminuisce la pressione sugli ospedali. Meno ricoveri, minori spese sanitarie, ma soprattutto una salute migliore. «Del resto nelle aree montane e rurali le condizioni di vita degli anziani sono spesso più complicate a causa dell’isolamento e della maggiore difficoltà nelle vie di comunicazione», ragiona Francesco Polli, 26 anni, originario di Firenze e dal dicembre scorso in giro con la sua auto per questi tornanti a ridosso del Piemonte. «In tutto seguiamo circa un migliaio di persone — racconta — il primo incontro consiste nella compilazione di un questionario su stato di salute e abitudini. Una visita di un’ora e mezza e controlli semplici: pressione, indice di massa corporea, glicemia…».
All’inizio c’è stata qualche diffidenza. Gli infermieri a casa propria? Ma quando mai? E perché? «Invece adesso che hanno cominciato a capire chi siamo e cosa facciamo ci chiamano loro, interpellandoci anche per cose semplici che al medico di base magari non si sentono di chiedere», dice Fretto. Due volte alla settimana a Montebruno gli infermieri guidano la camminata di sei chilometri a cui partecipano regolarmente una quindici di persone. «Si tratta di ginnastica dolce, facciamo fare anche qualche esercizio per migliorare l’equilibrio. Vediamo miglioramenti già nel giro di un mese», continua Francesca Nigro, sanremese, 27 anni. E così l’infermiere diventa qualcosa di diverso, o forse molto di più. «In corsia non puoi permetterti di soffermarti sulle persone in sé, sulla loro vita, sulle loro famiglie. Invece con questo sistema segui un percorso diverso, di relazioni non solo mediche ma specialmente sociali», è il ragionamento di Fretto, che guida il mini-team.
Il punto è che il risparmio, per ora, non è quantificabile direttamente in termini economici e si sa: anche la salute ormai si piega molto spesso (troppo) a ragioni di calcolo. In questo caso ci vorrebbero degli anni per avere un computo oggettivo. «Infatti vorremmo che Consenso diventasse un piano strutturale — sottolinea però Elice Bacci, funzionaria della Regione — è nelle nostre intenzioni rinnovare per altri due anni la sperimentazione. Sul piano quantitativo è vero, non è facile capire qual è il risparmio, però se le persone invecchiano bene questo rappresenta giocoforza un risparmio per la spesa pubblica». Per fare un esempio pratico: in caso di emergenza per raggiungere Torriglia e trasportare qualcuno all’ospedale più vicino (il San Martino) serve l’elisoccorso. Un volo può costare anche 5mila euro. Più del doppio dello stipendo di un infermiere.
Giovanni Carrosio è uno dei referenti della Strategia nazionale Aree interne, per cui ha coordinato la redazione di quella per l’area delle valli Antola e Tigullio. Sarà la Strategia a finanziare l’estensione biennale della sperimentazione in corso in Val Trebbia con gli infermieri di comunità. Secondo lui la prossima frontiera «è quella di istituire anche la figura dell’ostetrica di comunità. In alcune aree del Paese ci sono donne, spesso sono immigrate, che non fanno alcune visite durante i mesi di gravidanza. Ma l’obiettivo di fondo è rendere attraenti le aree interne, farle rivivere anche e soprattutto con e dai giovani».
Alfio Stiro
Genova.repubblica.it