Firenze, 21 novembre 2017 – Questi alcuni brani della lunga lettera che un infermiere ha scritto al Collegio professionale Pasvi di Firenze e Pistoia:
«Mi sento un numero di badge… Non mi sento il cambiamento, mi sento un poveraccio, perché ho fatto una scelta, che è quella di provare a costruire una vita qui, di non fare come i miei colleghi che sono andati all’estero. Ma oggi, dopo due anni, vedo loro che fanno carriera e vedo me che se prendo una multa so che per pagarla devo stringere la cinghia. (…) vi scrivo perché credo nella nostra professione e credo che non meriti di essere maltrattata, come non lo merita chi sceglie di farla, meritiamo rispetto e riconoscimento.
Sono infermiere di Rsa da ormai 2 anni, il primo anno sono stato assunto con un contratto diretto con la struttura in cui ho lavorato per poi essere scaricato perché la normativa prevedeva che una assunzione costasse meno a livello di tasse e quindi dopo 12 mesi in cui ho fatto 160 ore mensili sono stato “rimesso sul mercato”, ho avuto la fortuna di trovare lavoro dopo circa un mese. Ho un contratto part time. (…) Oggi sono stanco. Oggi sono infermiere da 3 anni, riesco a fare il mio lavoro da 2. Pago l’affitto, le bollette, l’assicurazione. la spesa, i vestiti (tra cui la divisa di lavoro). Sono pagato 1070 € al mese quando faccio tutte le notti. La mia indipendenza la sto pagando cara, la sto pagando con la voglia che mi va via. Mi sento un numero di badge.
Una missiva toccante, sincera, appassionata: manifesta il suo amore per il proprio lavoro che lo muove ogni mattina, ma anche la delusione del sentirsi «solo un numero di badge». «La lettera del giovane infermiere – commenta Danilo Massai, presidente del collegio Ipasvi di Firenze e Pistoia – deve far riflettere.
Ci sono strutture private che non lavorano bene, con le conseguenze sui dipendenti, ma esistono anche eccellenze nell’assistenza dei loro utenti. Abbiamo chiesto all’assessore Saccardi e al responsabile del settore sociosanitario di rivedere i rapporti con le strutture: i modelli organizzativi sono stati fatti nel secolo scorso, quando c’erano altre tipologie di pazienti. Ora ci sono molti cronici, molti gravi e il numero di infermieri e medici non è più adeguato».
I CONTRATTI interinali «stridono con la professione: ci vuole attaccamento e contratti lunghi». Molti infermieri decidono di andare all’estero, ammette il presidente Ipasvi, in particolare Inghilterra, Germania, Scozia, Svezia, Danimarca, ma anche Canada e Australia, «dove i contratti sono vantaggiosi e le carriere più chiare». Massai si dice dispiaciuto per l’amarezza contenuta nella lettera. «Stiamo lavorando perché la qualità dell’assistenza sia garantita a tutti: pazienti, lavoratori e tutto l’ambiente sociosanitario». «SCRIVO perché non ho intenzione di mollare – sottolinea l’infermiere al suo Collegio -. Sono infermiere di Rsa da ormai 2 anni, il primo dei quali assunto con contratto diretto con la struttura, per poi essere scaricato: la normativa prevede che una nuova assunzione costi meno di tasse. Dopo 12 mesi con 160 ore mensili sono stato rimesso sul mercato». Dopo un mese ha trovato una nuova occupazione con un contratto part time.
«LAVORAVO da giornaliero, pur facendo 2-3 notti mensili, ma ho dovuto accettare: l’affitto non si paga da solo. Mi hanno promesso che le ore sarebbero aumentate e con quella promessa ho lavorato i primi mesi». Nonostante gli straordinari, si è accorto che in busta paga risultavano ore in negativo «perché l’affiancamento non è pagato. Ho regalato 10 giorni di lavoro, incluso un turno di notte». Ha dovuto, dice, «accettare ogni cambio possibile per aumentare le ore», spesso senza pause tra turni. Ma nonostante questo continuava a risultare in passivo. «Ora sono turnista, mi vengono offerti turni consecutivi o con rientri sui liberi. E ogni volta che mi viene «offerto» un aggiuntivo è con un tono più minaccioso che amichevole».
POI CI SONO le notti: «Ogni 5 giorni, ne ho una; siamo io e un operatore con 75 pazienti di cui 3 con Peg da alimentare per 2 ore e 11 con sindrome da immobilizzazione che devono essere riposizionate ogni 2 ore». In più «l’infermiere notturno è l’addetto in caso di incendio, senza aver mai fatto il corso apposito, deve fare le pulizie, la sanificazione dell’infermeria, controllare le cartelle dei pazienti, i farmaci mancanti, somministrare la terapia della sera, aiutare l’operatore nel cambio dei pazienti». E se provi a lamentarti «ti minacciano di toglierti il lavoro. Tutto senza un reale riconoscimento economico». A pochi giorni dalla scadenza del contratto – dice – sono stanco. Pago le mie spese e faccio fatica a concedermi qualche extra. Oggi capisco i miei colleghi ed ex compagni di studio che sono andati all’estero: la mia indipendenza la sto pagando cara, con la voglia che va via, la stanchezza pur nel fare una professione che amo».