La doppia questione posta – tempo c.d. “divisa” e tempo necessario per le consegne – non è certo nuova e si affida, da ormai troppo tempo, alla risoluzione giurisprudenziale in un colpevole silenzio contrattuale. La Corte di cassazione mette degli importanti punti fermi bene evidenziando ciò che deve essere considerato orario di lavoro
Da Quotidiano sanità.it
27 NOV – La Corte di cassazione ha stabilito – al termine di una interessante vicenda giudiziaria – alcuni principi di diritto in merito all’orario di lavoro, alla vestizione del personale e alle consegne intercorrenti tra un turno e l’altro di assoluto interesse e chiarezza (vedi articolo su QS).
Le ripercussioni verso l’organizzazione aziendale da un lato e dal riconoscimento di diritti dall’altro saranno forieri di importanti conseguenze in tutte le organizzazioni sanitarie pubbliche e private.
La vicenda
Un infermiere di Pescara conviene in giudizio l’azienda sanitaria di cui è dipendente chiedendo il riconoscimento di una “fascia di flessibilità di 15 minuti” all’inizio e alla fine del turno di lavoro (quindi 30 minuti per turno) regolarmente retribuita per un duplice motivo:
a) permettere la trasmissione delle informazioni al turno subentrante (in entrata) e ricevere le informazioni al turno uscente (in uscita);
b) permettere la vestizione o la svestizione della divisa.
L’azienda sanitaria convenuta resiste eccependo – debolmente e discutibilmente – che i “tempi necessari per indossare la divisa o a ricevere le consegne dal turnista precedente non possono essere considerati utili ai fini del diritto alla retribuzione”.
Il Tribunale di Pescara-Giudice del lavoro – sentenza 1 febbraio 2011, n. 8562177, non condividendo la resistenza aziendale precisa che:
1) il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa di lavoro è “strettamente funzionale all’attività lavorativa e deve avvenire presso la sede di lavoro” ed è quindi da considerarsi un obbligo nascente dal rapporto di lavoro stesso. Per costante giurisprudenza la vestizione si distingue tra la vestizione che deve avvenire presso il luogo di lavoro – come nel caso di specie degli infermieri turnisti e, più in generale, di tutto il personale sanitario – e la vestizione che può avvenire fuori dall’ambiente di lavoro (in questo caso non possibile per ragioni di “igiene”). Il tempo della vestizione in sanità è quindi orario di lavoro e deve essere retribuito.
2) Per quanto riguarda il tempo delle consegne il giudice abruzzese è chiarissimo: “si tratta di adempimenti necessariamente connessi allo svolgimento delle prestazioni lavorative e perciò riferibili ai tempi di effettiva prestazione del lavoro e come tali retribuibili”. Le consegne però non comportano il diritto a un “predeterminato tempo retribuito di flessibilità tra un turno e l’altro”, quindi da calcolarsi forfettariamente, come da richiesta dell’infermiere ricorrente, ma “soltanto il diritto alla retribuzione di volta in volta maturata per il tempo che sia stato di fatto effettivamente utilizzato, prima e dopo l’orario del proprio turno, per dare o ricevere le consegne per per la vestizione e la svestizione della divisa aziendale”.
L’azienda sanitaria ricorre in appello affermandoche la decisione del Tribunale di Pescara appare “generalizzata” cioè “disancorata dal dato concreto” in cui si trova il lavoratore. La Corte di appello – Corte di appello de L’Aquila – sezione per le controversie di lavoro e previdenza, sentenza n. 22 dicembre 2011, n. 1239 – ha facile gioco nel ricordare che il giudice di primo grado non ha riconosciuto un diritto generalizzato e forfettario di tempo predeterminato (i 15 minuti richiesti in entrata e in uscita), bensì “soltanto (ma non è soltanto!) il diritto di volta in volta effettivamente maturato per la vestizione, la svestizione e le consegne.
Per queste ultime la Corte di appello di Pescara precisa che “non si esauriscono nel mero scambio cartaceo di annotazioni riguardanti la terapia somministrata”, ma si tratta di adempimenti necessari a una “diligente effettiva prestazione di lavoro, meritevoli di essere ricompensati economicamente”. La Corte di appello ha quindi rigettato il ricorso presentato dall’azienda sanitaria confermando pienamente la sentenza di primo grado.
Ricorre per Cassazione l’azienda sanitaria che contesta le determinazioni dei giudici di merito che in relazione alla retribuibilità dei tempi di vestizione/svestizione afferma che è “un’attività che rientrerebbe nella diligenza preparatoria, intesa nei limiti della normalità socio culturale che a essa la giurisprudenza riconnette”. Comunque l’azienda non avrebbe mai richiesto al lavoratore di indossare la divisa prima della timbratura del cartellino e tantomeno effettuato controlli in merito alla timbratura stessa. L’attività di vestizione/svestizione rientrerebbe in un mero “obbligo di diligenza preparatoria”.
Per quanto riguarda le consegne l’azienda ritiene che “quest’esigenza possa dirsi soddisfatta dalle annotazioni in cartella (c.d. scheda infermieristica), ove sono puntualmente riportate le pratiche eseguite e da eseguire”. Laddove necessario – sono sempre le tesi aziendali – per la complessità e la lunghezza delle consegne si procede alla prassi “dell’autorizzazione postuma dell’orario reso oltre il turno prestabilito da parte del coordinatore del reparto, onde permettere al turnista successivo di assumere informazioni e prescrizioni da chi l’ha preceduto, nel caso in cui ciò sia richiesto dalla gravità del caso”.
La Corte di cassazione, sezione lavoro – Ordinanza 22 novembre 2017, n. 277099 – affermando l’infondatezza delle tesi aziendali e specificando ulteriormente che “nel silenzio della contrattazione collettiva integrativa, il tempo di vestizione/svestizione dà diritto alla retribuzione, essendo detto obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza e igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto”.
Per quanto concerne il tempo dello “scambio di consegne va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica”, in quanto conferisce a tale attività una nuova rilevanza, accrescendo la dignità giuridica della regola deontologica della continuità assistenziale.
Commento
La doppia questione posta – tempo c.d. “divisa” e tempo necessario per le consegne – non è certo nuova e si affida, da ormai troppo tempo, alla risoluzione giurisprudenziale in un colpevole silenzio contrattuale.
La Corte di cassazione mette degli importanti punti fermi bene evidenziando ciò che deve essere considerato orario di lavoro.
Indossare una divisa necessaria per effettuare le propria prestazione lavorativa, non può che essere considerata prestazione lavorativa. L’insieme delle sentenze di questa vicenda chiude la vicenda del tempo divisa negli ospedali in quanto indossare una divisa nella fase immediatamente precedente la prestazione lavorativa e dismettere la divisa nella fase immediatamente successiva alla prestazione stessa è imposto dall’obiettivo di consentire esigenze di sicurezza e igiene sia nei confronti dell’utenza assistita che dello stesso professionista.
E’ quindi un’attività che è “strettamente funzionale all’attività lavorativa e deve avvenire presso la sede di lavoro” e quindi deve essere regolarmente considerata orario di lavoro e retribuita.
Importanti principi di diritto si ricavano anche dalla problematica posta delle consegne. E’ evidente che la difesa aziendale sia stata decisamente carente – forse mal consigliata – nella parte in cui ha affermato che queste possono esaurirsi nel leggere la “scheda infermieristica” (qualcosa di più sintetico di una cartella sembra di capire) e solo laddove si renda necessario attraverso un’attività di autorizzazione al lavoro straordinario per completare le informazioni.
La trasmissione delle informazioni, quindi, più come mera attività amministrativa di lettura di quanto, spesso, succintamente riportato, senza il confronto con i professionisti che hanno, per diverse ore, prestato la propria assistenza a numerosi pazienti.
Lo scambio verbale di informazioni sarebbe quindi più un’attività eccezionale e necessitante di autorizzazione allo straordinario del coordinatore e non usuale modalità di integrazione necessaria delle consegne scritte. Queste affermazioni – ripetiamo di parte aziendale – vengono poste proprio nell’anno in cui l’importante legge 24/2017, c.d. legge Gelli, è entrata in vigore e pone i suoi primi tra articoli proprio sulla “sicurezza delle cure” che rischia di essere inficiata da prassi burocratiche che tagliano proprio la comunicazione tra professionisti.
Il riconoscimento del tempo di lavoro delle consegne, afferma la Cassazione, è necessario ai fini del corretto espletamento dei doveri deontologici della presa in carico del paziente e della continuità assistenziale”.
La presa in carico del paziente/pazienti si realizza, quindi, non con il mero “cambio a vista” ma con un’operazione che si concretizza nella lettura delle cartelle e dello scambio verbale delle informazioni. Solo in questo modo si può assolvere, in modo “diligente”, la prestazione lavorativa afferma la Cassazione.
Parole chiarissime che chiudono a ogni altra interpretazione.
Questa vicenda rischia di essere assolutamente dirompente per l’organizzazione aziendale in quanto conferisce, in modo certo, il riconoscimento dell’attività lavorativa a prestazioni che non sempre avevano, nella varie organizzazioni, questo status.
Non solo vi è il silenzio contrattuale – quanto meno della contrattazione nazionale – ma vi è anche la difficoltà di predeterminare a priori il tempo necessario per la vestizione/svestizione e le consegne in quanto i giudici hanno respinto la richiesta del riconoscimento del tempo forfettario dei 15 minuti.
Deve essere conteggiato il tempo necessario, di volta in volta, a effettuare le duplice attività che ben può superare i quindici minuti richiesti soprattutto in relazione a reparti complessi o a spogliatoi posti non nelle vicinanze dei reparti. Quest’attività di lavoro – vestizione e svestizione – deve considerarsi “implicitamente autorizzata dall’azienda sanitaria” e quindi retribuita anche se svolta, come accade sovente, fuori dall’orario riconosciuto di lavoro.
Sarebbe opportuno che degli effetti di tale sentenza si faccia carico il prossimo contratto collettivo nazionale di lavoro, onde evitare il caos organizzativo e giudiziario che ne può derivare.
Qualche realtà, a livello regionale, si è mossa da tempo con soluzioni ragionevoli che però non concordano con quanto stabilito dalla Cassazione.
Sottolineiamo che questa vicenda giudiziaria, pur nascendo dagli ambienti sindacali – la segreteria provinciale del Nursind di Pescara – esorbita lo stesso ambito sindacale andando a coinvolgere la riorganizzazione professionale sulla trasmissione delle informazioni che avvengono attraverso le consegne.
Luca Benci
Giurista