lo Riportiamo il Post per intero:
“.Le Professioni Sanitarie che attuano Diagnosi e Cura sono Fuori Legge per esercizio abusivo della Professione Medica.
Le Procure Italiane attivate da SOI per impedire che, in emergenza, la diagnosi più importante venga effettuata da un Infermiere: il tutto all’insaputa del Paziente e per questo in contrasto con la nuova legge sul Consenso Informato.
L’approvazione degli articoli del Decreto Lorenzin finalizzati a blandire categorie professionali non sanitarie sarà perfettamente inutile.E questo irriterà chi gestisce la Sanità Italiana sostenendo le illecite e pericolose regole che non vengono nemmeno più applicate nel Terzo Mondo. Fortunatamente in Italia i Pazienti consapevoli ed inform ilati pretendono l’immediata presenza del Medico e si rifiutano di farsi curare da chi non ha la formazione, l’esperienza, la capacità e la competenza ed i requisiti di legge per poterlo fare. Oltre il danno anche la beffa. In tutto il mondo nessuna assicurazione risponde per i danni commessi nell’esercizio di attività che sono al di fuori dall’ambito strettamente professionale: in Italia, alla fine oggi dei danni commessi dagli infermieri risponde (solo) il medico. Altrimenti non si spiegherebbe come un infermiere in Italia oggi paghi solo 50 euro di assicurazione annua.
La Legge Italiana da sempre afferma: non è consentito sottrarsi al rispetto della legge adducendo la mancata conoscenza della stessa.
Il Presidente della SOI Matteo Piovella ha coinvolto il Ministero della Salute e la Magistratura italiana allo scopo di far prendere consapevolezza che impedire l’abuso di esercizio della Professione Medica è la chiave di volta su cui si fonda la tutela e la sicurezza dei Pazienti e l’efficienza del Sistema Sanitario Italiano.
L’assistenza sanitaria si può attivare solo nella stretta osservanza dei due principi posti a fondamento dell’esercizio (esclusivo) della Professione Medica: la diagnosi e la cura.
Grazie alla presa di responsabilità e di posizione di SOI ora lo vedono tutti. Gli equivoci degli ultimi 20 anni sono stati spazzati via.
Tutti i bla bla bla che si sentono a destra e manca circa il profilo di studio, le attività autorizzate e soprattutto l’autonomia professionale, in genere, messe tutte insieme appassionatamente per giustificare l’autocertificazione operativa delle Professioni Sanitarie, sono state sovrastate e rese assolutamente inutili dal principio inalienabile che solo il medico ha la responsabilità della diagnosi e della cura del paziente. E il mancato rispetto della legge comporta il reato di esercizio abusivo della professione.
Quindi tutti gli esercenti le Professioni Sanitarie siano consapevoli che non può bastare appellarsi alla parola magica “Equipollenza” per certificare di aver di aver effettuato un percorso che non è mai esistito. Anche se gli infermieri si sono ricordati di fare domanda di “equipollenza professionale”: cosa che il Ministro della Pubblica Istruzione ha recentemente affermato di non essersi ricordata, a suo tempo, personalmente di fare.
La Sanità cura la Gente ed è responsabile della vita della Gente: niente più e niente meno.
Quindi niente più Case della Salute a Roma gestite e condotte da Infermieri su decisione illegittima del Politico poco responsabile di turno. Chi fa diagnosi e cura? Lo Spirito Santo?
Quindi niente più cartellini verdi rossi gialli arcobaleno attribuiti con “diagnosi” effettuate da Personale inappropriato incompetente ed incapace.
Tutte opzioni che finiscono con condannare i pazienti che hanno la disavventura di doversi rivolgere ad un Pronto Soccorso ad una esperienza da terzo mondo: sulle scelte fondamentali fatte da personale inadeguato, ogni giorno migliaia di cittadini mettono a rischio la loro vita. Situazioni paradossali in cui risulta “normale” aspettare fino a 9 ore prima di veder comparire un Medico . un’esperienza che può colpire chiunque: in qualunque città.
Ed è ora che qualcuno spieghi ai cittadini il senso di costituire dei reparti ospedalieri a conduzione infiermeristica: in cui, per usare una vecchia definizione, il “Primario è un Infermiere”.
Solo una strategia politica miope e pericolosa, sensibile solo al risparmio per il risparmio può produrre soluzioni così assurde. Soluzioni raggiunte esclusivamente sulla mancanza di comunicazioni ai pazienti: provate a chiedere ad un paziente che si reca ad un Pronto Soccorso se ritiene corretto che il codice di riferimento della gravità della sua situazione clinica sia definito da un infermiere o, invece, da un medico; magari di grande esperienza, visto che si tratta della decisione più importante della sua vita. Come è noto, l’atttribuzione di un codice giallo invece che rosso può veramente ed effettivamente salvarti la vita.
E i recenti fatti di cronaca ne hanno dato impietosa testimonianza.
Ma ormai è evidente: questa politica incompetente ed irresponsabile si irrita quando sente parlare di correttezza, di legittimità, di sicurezza .
Semplice, chiaro ed evidente a tutti.
Ma ci sono ancora persone che non conoscono la legge o che, conoscendola, ritengono di poterla manipolare a loro piacimento.
Da ultimo occorre sottolineare l’esigenza per tutti ad armonizzarsi al rispetto dei principi su cui si fonda il consenso informato recentemente aggiornati con l’approvazione della legge sul fine vita.
Oggi occorre affermare con forza che il Cittadino italiano ha il diritto dovere di conoscere con chiarezza e trasparenza il titolo di studio le capacità professionali (e le conseguenti responsabilità) del professionista sanitario che lo sta ricevendo, valutando (“curando”) e di sapere – con chiarezza e trasparenza – se si tratta di un Medico o di un Infermiere; di un oculista o di un ortottista.
Più semplicemente: se ha di fronte un professionista in grado di salvargli la vita applicando la miglior cura.
Invece no. Non lo vogliono fare. La ragione è evidente: se ci fosse chiarezza e trasparenza tutti i pazienti (attenzione: tutti) chiederebbero di essere visitati da un medico soprattutto se da questo dipende il loro percorso ospedaliero.
E’ totalmente evidente.
Questa azione virtuosa promossa da SOI, sostiene il Presidente Matteo Piovella, è una ulteriore opportunità per fornire alla cittadinanza uno strumento formativo utile e mirato, affinché tutti possano assumere consapevolezza sui propri diritti ad avere informazioni chiare in materia di salute. E metterli perfettamente nella condizione di far valere i propri diritti e di poter intervenire quando soggetti ad abusi e discriminazioni. Cosi dice la Costituzione. Così si deve salvare il Servizio Sanitario Pubblico.
Tutto questo si riverbererà positivamente anche sulle attività di tutte le Professioni sanitarie oltre che sulla assistenza sanitaria erogata ai Cittadini.”
Noi di NurseNews rispondiamo così:
Le leggi parlano chiaro: le attività sono distinte e autonome.
È vero che non facciamo diagnosi clinica, non ci compete, ma giornalmente formuliamo diagnosi infermieristiche basandoci su segni e sintomi, (valutiamo lo stato di salute del paziente.). É vero che non stabiliamo percorsi terapeutici, non ci compete, ma pianifichiamo dettagliatamente i percorsi di cura assistenziali stabilendo con attenzione le PRIORITA’ di cui siamo responsabili, avvalendoci del personale di supporto per l’assistenza di base.
Offendere la professione infermieristica e generare un allarme infondato provoca un danno all’assistenza, nel momento stesso in cui fa scattare nei pazienti dubbi del tutto inconsistenti sulla sua qualità”.
Ogni anno infatti –una media di 21 milioni di pazienti che accedono in pronto soccorso sono selezionati e presi in carico dal triage infermieristico con competenza e appropriatezza,ed altrettanti Sono Curati e assistiti nei vari reparti e sul territorio.
A questo proposito Riportiamo l’artico di Giannantonio Barbieri Giurista il sole 24ore sanita n. 30-31/2010”
Spesso occupati e preoccupati dalla (inesistente) intrusione dell’infermiere negli spazi medici, si corre il ri-schio di non censurare le intromissioni del medico in un campo che non è medico ma è, appunto, infermieristico, dove l’infermiere non è l’esecutore di atti decisi da altri, ma è il responsabile, tra le altre e a titolo esemplificativo, dell’identificazione dei bisogni di assistenza infermieristi-ca e della ricerca degli strumenti, dei metodi, delle com-petenze e delle tecniche tese a fornire una risposta a tali bisogni. Se è indiscutibile che esistono atti medici esclusi-vi, o, forse più correttamente, atti sanitari praticabili in via esclusiva dal medico, deve riconoscersi come esistono atti sanitari praticabili in via esclusiva dagli infermieri, quali-ficabili atti infermieristici, circa i quali il medico non può intromettersi dal momento che sono di esclusiva compe-tenza infermieristica. Oggi la professione infermieristica possiede una sua spe-cifica identità professionale, un suo campo proprio di at-tività e di responsabilità e, quindi, di professionalità. Ne è prova quello che può essere definito lo statuto normativo dell’infermiere, che prende le mosse dal Dm 14 settem-bre 1994, n. 739, che definisce l’infermiere responsabile dell’assistenza infermieristica, indicando specificamente gli ambiti nei quali si manifesta la sua professionalità. E già una prima lettura del citato Dm pone il quesito sul come, e soprattutto su quali fondamenti professionali e giuridici, si possa attribuire al medico un ruolo di supervi-sore in un ambito che è solo ed esclusivamente infermieri-stico o, eventualmente, collaborativo laddove l’infermiere è chiamato a garantire la corretta applicazione delle pro-cedure diagnostico-terapeutiche. Quindi, il cambiamento normativo deve essere necessariamente letto a un livello ben più profondo, che vada oltre la lettura della semplice individuazione delle “mansioni” e giunga, al contrario, a cogliere l’essenza stessa dell’infermiere. Questo vuol dire comprendere come ci si trovi di fronte a un processo di maturazione profes-sionale e giuridica che ha investito la professione oramai da oltre 20 anni, ma le cui basi sono ben più risalenti. Il riferimento è anche alla legge 26 febbraio 1999, n. 42 che, nel sosti-tuire la denominazione “professio-ne sanitaria ausiliaria” di cui al Tu sulle leggi sanitarie e in ogni altra disposizione di legge, ha espressa-mente proceduto all’abrogazione del mansionario di cui al Dpr 225/1974 ma, soprattutto, ha stabilito che le profes-sioni sanitarie sono titolari di un campo proprio di attività.
Successivamente, la legge 8 agosto 2000, n. 251 manifesta in maniera esplicita il principio dell’auto-nomia professionale delle varie professioni sanitarie, tra cui ovviamente quella infermieristica, stabilendo come le attività professionali riconosciute agli infermieri vengano svolte con autonomia professionale mediante l’utilizzo di metodologie di pianificazione per obiettivi dell’as-sistenza. Inoltre, e ciò dimostra come sia proprio il legislatore a voler su-perare completamente il concetto di “dipendenza funzionale” dell’infer-miere rispetto al medico, il medesimo articolo stabilisce che debba essere sviluppata dallo Stato e dalle Regio-ni, ciascuno nell’ambito delle pro-prie funzioni, la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle profes-sioni infermieristiche, attribuendo all’interno delle aziende sanitarie la diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni proprio al personale infermieristico, mediante l’adozione di percorsi e di modelli di assistenza personalizzata. In altre parole si è assistito al passaggio, all’interno del-la professione infermieristica, da una condizione di ete-ronomia a una condizione di autonomia, ovvero da una condizione di dipendenza a una condizione di autonomia professionale. E questo comporta come necessariamente la responsabilità del processo assistenziale debba essere governata esclusivamente dall’infermiere. La conseguenza è che l’obbligo di protezione nei confronti del paziente, la cosiddetta posizione di garanzia, vada riconosciuta tanto in capo al medico quanto in capo all’infermiere, ciascuno in relazione all’osservanza delle proprie leges artis per la miglior tutela del bene salute del paziente. E il medico non sarà più titolare di una posizione di garanzia nei confron-ti dell’infermiere. Conseguentemente, l’autonomia pro-fessionale attribuita all’infermiere consente di escludere l’esistenza di un vincolo di subordinazione dell’infermiere stesso rispetto al medico (Pecennini F. La responsabilità sanitaria, Zanichelli, 2007). Dunque, non potendo fare riferimento alla giurisprudenza, che ancora non ha avuto modo e occasione di pronunciarsi appieno sugli argomenti in discussione, occorre fare riferimento alla scarna dottrina che, tuttavia, ha affermato come non sembrano più esistere spazi o aree di subordinazione dell’infermiere nei confron-ti del medico e come, addirittura, vi sia una netta separa-zione funzionale tra l’attività del medico e quella dell’in-fermiere, dominus assoluto e solitario della propria sfera di competenza (Ambrosetti F., Picinnelli M., Picinnelli R., La responsabilità nel lavoro medico d’équipe, Utet, 2003). Pertanto, ben può affermarsi come l’infermiere, e non il medico, sia l’unico professionista responsabile dell’attua-zione di quel complesso di atti assistenziali prodotti dalle competenze intellettuali, relazionali e tecnico-operative insite nel profilo professionale e derivanti dalla forma-zione, creando così un ambito di esclusiva pertinenza infermieristica, e circa il quale l’infermiere assumerà lui una posizione di garanzia nei confronti della persona malata, costituita da un’assistenza appropriata ed effica-ce, dall’utilizzo di strumenti operativi e dall’attuazione di metodologie per la personalizzazione dell’assistenza, con l’obiettivo di organizzare e gestire, appunto, le attività di assistenza infermieristica (e non medica, quindi). Ancora una volta, dunque, occorre doman-darsi, e forse è questo il vero noc-ciolo della questione, come possa il medico supervisionare il percorso di presa in carico dal punto di vista assistenziale della persona malata, andando così a incidere su percor-si, quali ad esempio la complessità assistenziale, che costituiscono l’es-senza della professione infermieri-stica. È pacifico, dunque, che se questo ora rappresentato è il nuovo sistema professionale e giuridico all’interno del quale si muove l’infermiere del terzo millennio, occorre distinguere tra interventi infermieristici autonomi e in-terventi infermieristici “su prescrizione medica”, come già accennato sopra, laddove su prescrizione medica non può significare su controllo o supervisione del medico ma piuttosto, in maniera ben più complessa e articolata, come l’infermiere, in collaborazione appunto col medico, garantisce e quindi assicura la corretta applicazione delle procedure diagnostico-terapeutiche, assumendosi lui la diretta responsabilità di tale correttezza. In conclusione, occorre ribadire come gli infermieri in-nanzitutto, ma poi i medici, i giuristi e i giudici, questi ultimi che saranno chiamati a giudicare i comportamenti dei professionisti, debbano avere ben chiaro che l’infer-mieristica è una scienza unica, forse troppo giovane per essere compiutamente compresa e accettata come tale, con un proprio campo d’azione individuato dalle teorie del nursing e dai modelli concettuali circa i quali diventa davvero difficile comprendere come il medico possa van-tare il ruolo di supervisore nell’ambito di una scienza che, appunto, non gli appartiene. La preoccupazione è vedere una parte della dottrina giuri-dica e della giurisprudenza, oltre che della classe medica, arroccata e ancora fortemente radicata a vecchi, desueti, superati concetti di ausiliarietà, e conseguente perseverare in maniera ostinata a identificare ancora l’infermiere come un ausiliario del medico, che presta assistenza al medico quando invece, oggi, l’infermiere è un professionista do-tato di un proprio specifico professionale, proteso verso il paziente e orientato a fornire assistenza al paziente stesso, nell’ambito di sistemi sanitari complessi che devono ne-cessariamente prendere atto di tale trasformazione e, con-seguentemente, modificare i loro assetti interni.
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