CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 gennaio 2018, n. 1173
Licenziamento disciplinare – Condotta del lavoratore durante lo stato di malattia – Non compromissiva o ritardante la ripresa dell’attività lavorativa – Violazione dei doveri contrattuali di correttezza e buona fede – Non sussiste – Attività espletata indice di scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura – Non rileva
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Avellino che, in accoglimento del ricorso proposto da C.I., ha accertato e dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato dalla D.T.S. s.p.a. in data 11 ottobre 2010, ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro condannando la società al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che non era stata raggiunta la prova che la condotta del lavoratore durante la convalescenza fosse tale da compromettere o ritardare la guarigione. In particolare ha osservato che: a) non vi era alcuna evidenza che il ricovero in ospedale fosse indispensabile per seguire i protocolli di cura; b) non vi era prova che nei primi quattro giorni di convalescenza non fosse stato osservato il riposo assoluto prescritto; c) che la consulenza disposta in primo grado aveva accertato che la moderata attività fisica svolta (brevi passeggiate e bagni di mare) non era incompatibile con le terapie di recupero della tonicità muscolare. Nel riscontrare una genericità nelle obiezioni mosse in appello alla consulenza medica disposta in primo grado la Corte territoriale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per disporne una rinnovazione ed ha ritenuto che non fosse risultato provato che lo L. avesse tenuto durante il periodo di convalescenza un comportamento che per le sue caratteristiche si ponesse in violazione dei doveri di buona fede e correttezza a cui il lavoratore è tenuto ad attenersi anche durante la malattia né che fosse ravvisabile una negligenza nel seguire i protocolli terapeutici stabiliti dal sanitario che lo aveva in cura.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la D.T.S. s.p.a. che articola un unico motivo al quale resiste C.I. con controricorso.
Ragioni della decisione
4. Con I’ unico motivo di ricorso la società D.T.S. si duole dell’omesso esame da parte della Corte di appello di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ..
4.1. Sostiene la ricorrente che il giudice di appello non avrebbe adeguatamente considerato una serie di circostanze, pure allegate, dalle quali emergeva: che recatosi al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Vallo della Lucania in occasione della distorsione al ginocchio, aveva rifiutato il ricovero in ospedale e gli accertamenti specialistici suggeritigli così determinando un consistente allungamento della prognosi iniziale di dieci giorni che si era raddoppiata; che non aveva osservato il protocollo terapeutico impartitogli o, comunque, non ne aveva dato prova; che all’assenza per malattia era seguita senza soluzione di continuità l’assenza per ferie; che essendo in grado di attendere alle attività ludiche – ricreative accertate (passeggiate, bagni di mare) queste dimostravano che lo stato di malattia era compatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa; che la sanzione irrogata era proporzionata alla condotta tenuta rientrando tra i doveri del lavoratore tenere un comportamento che non fosse pregiudizievole della guarigione.
5. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
5.1. La Corte territoriale, in esito ad un attento esame delle emergenze probatorie e sulla base di quanto positivamente accertato dal consulente medico nominato dal Tribunale, con valutazione del materiale probatorio che non si espone alla denunciata censura, ha ritenuto che con la sua condotta il lavoratore non aveva né compromesso né tantomeno ritardato la ripresa dell’attività lavorativa. Va rammentato che in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata – la cui gravosità non è comparabile a quella di una attività lavorativa piena – senza svolgere una ulteriore attività lavorativa, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell’interesse del datore di lavoro (cfr. Cass. 05/08/2014 n. 17625). Ed infatti l’espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa (cfr. Cass. 21/04/2009 n. 9474). E’ il datore di lavoro ad essere onerato della prova che in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il comportamento tenuto dal lavoratore durante il periodo di inabilità temporanea certificata contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 21/03/2011 n. 6375) senza che il lavoratore sia onerato a provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all’attività lavorativa (Cass. n. 6375 del 2011 cit.).
5.2. Orbene nel caso in esame la Corte di merito ha accertato che la moderata attività fisica svolta dalle L. non era incompatibile con il recupero degli esiti della distorsione al ginocchio. Nel pervenire a tale conclusione il giudice di secondo grado ha espressamente tenuto conto della circostanza che lo L. aveva rifiutato il ricovero ritenendo che la doglianza al riguardo avanzata era priva di una specifica allegazione circa l’incidenza di tale condotta sul recupero fisico non essendo stato chiarito se e come tale ricovero avrebbe reso più rapida la guarigione. Si aggiunga poi che la Corte territoriale, lungi dal pretermetterne l’esame, ha accertato, anche con l’ausilio tecnico del consulente, che la moderata attività fisica svolta non si poneva in contrasto con la guarigione. Neppure la Corte ha trascurato di esaminare se erano emersi comportamenti contrari ai doveri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro ed ha accertato che non era stata offerta alcuna prova che lo L. avesse disatteso le prescrizioni impartitegli per la guarigione.
Quanto all’allegata compatibilità dell’attività lavorativa con la malattia si osserva che si tratta di deduzione nuova che non risulta essere stata in precedenza sollevata . In definitiva, esclusa la rilevanza disciplinare della condotta tenuta dal lavoratore resta assorbito ogni profilo di censura che attiene alla proporzionalità della sanzione.
6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, poste a carico della società ricorrente e distratte in favore dell’Avvocato Innocenzo Calabrese che se ne è dichiarato anticipatario. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., 17/10/2014 n. 22035).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Con distrazione in favore dell’Avvocato Innocenzo Calabrese che se ne è dichiarato anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..
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