immagine18 febbraio – Colpisce sfavorevolmente tutta la parte dedicata all’orario di lavoro che si palesa ampiamente illegittima. Le carriere gestionali vengono ridisegnate, mentre per la prima volta, si tenta di istituire, meritoriamente, le carriere clinico-professionali. Ma, dopo anni di blocco contrattuale, il riordino delle carriere si presenta del tutto insoddisfacente, con troppe opacità e incongruenze per essere considerato un passo in avanti nella valorizzazione delle professioni.
La misteriosa bozza che circola sul contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto non ha curiosamente avuto smentite e conferme di paternità. Nel complicato dibattito sul contratto non possiamo altro che prenderla per ufficiale per potere riflettere su alcuni punti fondamentali. Colpisce sfavorevolmente tutta la parte dedicata all’orario di lavoro che si palesa ampiamente illegittima, pur nel sistema delle deroghe previste dalla legge comunitaria, come bene illustrato in queste pagine da Carlo Palermo. Vi è da domandarsi cosa stia spingendo le organizzazioni sindacali – o parti di esse – a derogare così pesantemente a diritti riconosciuti a tutti i lavoratori europei.
Concentreremo però la nostra attenzione sul sistema delle carriere. Le carriere gestionali vengono ridisegnate, mentre per la prima volta, si tenta di istituire, meritoriamente, le carriere clinico-professionali. Tutto il sistema abbandona definitivamente la classica impostazione di carriera da pubblico impiego caratterizzata dalla carriera verticale da perseguirsi con concorsi pubblici per titoli ed esami – va in soffitta anche la largamente fallimentare categoria Ds – a favore del sistema privatistico degli incarichi di funzione attribuibili con selezione interna, sottoposti a valutazione e revocabili.
Gli incarichi di funzione
A quanto si legge vi saranno due tipologie di carriere: una, più consolidata nel tempo, di carattere organizzativo e l’altra, che si presenta come la vera novità, di carattere professionale.
Gli incarichi di funzione si dividono in “incarichi di organizzazione” e in “incarichi professionali”.
Il principio di carattere generale relativo agli incarichi viene determinato dalla stessa normativa contrattuale che recita testualmente:
“gli incarichi richiedono anche lo svolgimento di funzioni con assunzione diretta di elevata responsabilità aggiuntive e/o maggiormente complesse rispetto alle attribuzioni proprie della categoria e del profilo di appartenenza”.
La bozza contrattuale antepone la responsabilità (aggiuntiva) alle attribuzioni. In realtà sono quest’ultime a essere aggiuntive con la responsabilità che aumenta di conseguenza. Sulle competenze “aggiuntive” ci torneremo con gli incarichi specialistici.
Gli incarichi di funzione – di organizzazione e professionali – vengono attribuiti in base a procedure selettive aziendali e sono conferiti con “atto scritto e motivato” che ne riporta i contenuti con la “descrizione delle linee di attività”.
L’incarico è “a termine” con una durata che va da tre a cinque anni. E’ revocabile, prima del termine per tre motivi:
a) soppressione del posto per modifica dell’atto aziendale;
b) valutazione negativa (evidentemente intermedia);
c) per mancanza sopraggiunta dei requisiti di attribuzione.
Le indennità rimangono ferme al dato storico degli incarichi organizzativi del 1999 e del 2001 e vanno da un minimo di 1549,27 euro annui (gli ex 3 milioni di lire che costituivano il minimo per la funzione di coordinamento) fino a un massimo di 9296,22 euro (gli ex 18 milioni di lire che costituivano il massimo percepibile per l’incarico di posizione organizzativa).
La valutazione è prevista annualmente – come valutazione intermedia – e al termine di durata – triennale o quinquennale – dell’incarico.
La valutazione negativa viene riportata nel fascicolo personale e costituirà un precedente per l’affidamento di altri incarichi. Prima della formalizzazione negativa deve essere previsto un “contraddittorio” con il lavoratore.
Non si comprende infine se una volta terminato l’incarico – di tre o cinque anni – questo possa essere rinnovato anche in seguito alla valutazione positiva. Il testo contrattuale parla della valutazione positiva come presupposto di “altri incarichi” non chiarendo se possa anche essere rinnovato lo stesso incarico.
L’incarico di organizzazione
Rispetto all’assetto attuale vengono ridefiniti gli ex incarichi di coordinamento e di posizione organizzativa creando una complessiva specifica normativa sugli “incarichi di organizzazione” all’interno del più generale istituto sugli “incarichi di funzione”.
Leggiamo testualmente dalla bozza del CCNL: “L’incarico di organizzazione comporta l’assunzione di decisioni necessarie per affrontare problemi complessi nel governo dei processi assistenziali, e formativi connessi all’esercizio della funzione sanitaria e sociosanitaria” e viene distinto in “meno complesso” relativo alla funzione di coordinamento e in “più complesso” relativo alla posizione organizzativa.
Cambiano i requisiti solo per l’incarico di posizione organizzativa. E’ infatti richiesto il requisito “della laurea specialistica o magistrale e cinque anni di esperienza professionale nel profilo di appartenenza e in categoria D”. Nulla cambia invece per il coordinamento in cui si richiede il relativo master previsto dalla normativa vigente e tengono conto di una serie di aspetti quali la dimensione organizzativa, il livello di autonomia richiesto e altri aspetti.
Gli incarichi organizzativi vengono graduati aziendalmente – e questa non è una novità – e sono “sovraordinati” rispetto agli incarichi di funzione “professionali”.
Infine per entrambi gli incarichi di funzione – di coordinamento e di posizione organizzativa – l’indennità “assorbe il compenso per il lavoro straordinario”.
I problemi che si riscontrano sono molteplici pur essendo il sistema di incarichi gestionali l’unico sistema consolidato di carriere.
Il riconoscimento economico è umiliante: le indennità sono le stesse ferme al 1999 per la posizione organizzativa e al 2001 per il coordinamento. Non solo: per le attività di coordinamento si aggiunge la beffa dell’assorbimento del lavoro straordinario per indennità che possono essere anche solo di 1500 euro lorde annue. Il sistema temporaneo degli incarichi crea ulteriori problemi. Non vi sono dubbi che gli incarichi di organizzazione debbano essere sottoposti a verifica e a sanzioni per la valutazione negativa, ma queste regole non possono essere applicate tout court per gli incarichi di coordinamento con indennità così basse. I criteri del lavoro per obiettivi e la relativa valutazione presuppongono altre indennità. In questi anni abbiamo, inoltre, assistito a numerosi accorpamenti che hanno ampliato le aree di attività dei coordinatori a cui, spesso, non sono conseguite rimodellazioni delle indennità. Inglobare il lavoro straordinario nell’attività di coordinamento nelle attuali condizioni di lavoro significa costringere allo straordinario gratuito e al conseguente svilimento delle attività poste in essere.
Per gli incarichi “più complessi” relativi alle posizioni organizzative la novità più rilevante è relativa al requisito della laurea magistrale. Anche questa innovazione viene richiesta a titolo gratuito senza alcun riconoscimento economico. Sarebbe anche utile una discussione sulla necessità di una laurea per una posizione organizzativa che si presenta come un unicum nel panorama contrattuale, ivi compreso quello della sanità che non prevede, per esempio, lo stesso criterio per gli amministrativi (dove si richiede solo il requisito dell’anzianità di servizio).
Mancano inoltre norme intertemporali e di transizione che regolamentino gli attuali incarichi. In altri termini: vanno revocate le attuali posizioni organizzative attribuite a coloro che non sono in possesso della laurea magistrale?
Quello che stupisce, inoltre, è l’individuazione di una norma che permetta la fine dello sfruttamento di fatto delle figure gestionali. Il numero di coordinatori “di fatto” e non “di diritto” (senza incarichi si intende) è decisamente numeroso e il contratto è la sede naturale per risolvere questo problema. Le diciture aziendali, talvolta storiche – “facente funzioni” – talvolta più recenti – “referenti” – indicano prassi censurabili di attribuzioni di mansioni superiori senza il riconoscimento retributivo nè di altro genere.
Non vi sono dubbi che sia impossibile sostenere che la nuova regolamentazione sia da considerarsi migliorativa rispetto alla vecchia impostazione contrattuale. Certo non si tratta di un investimento sulle figure gestionali.
Gli incarichi di funzione professionali
Gli incarichi professionali sono la vera novità del sistema di incarichi complessivo ridisegnato dalla bozza contrattuale. La necessità di porre in essere un riconoscimento di carriera clinica e assistenziale non è più rinviabile.
Già nel contratto del 1999 le parti si posero il problema inventando la “carriera orizzontale” – le c.d. fasce – che avrebbero dovuto, nelle intenzioni, essere una sorta di riconoscimento di carriera clinico-assistenziale. La prassi ha dimostrato che quel goffo tentativo è fallito.
Il contratto ora ci riprova. Vediamo nel dettaglio.
L’incarico professionale può essere di “professionista specialista” o di “professionista esperto”.
Leggiamo testualmente che “Nell’ambito delle specifiche aree di intervento delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione di ostetrica e in relazione alle istituende aree di formazione complementare post diploma, sono istituiti incarichi professionali per l’esercizio di compiti derivanti dalla specifica organizzazione delle funzioni delle predette aree prevista nell’organizzazione aziendale. Tali compiti sono aggiuntivi e/o maggiormente complessi e richiedono significative, elevate ed innovative competenze professionali rispetto a quelle del profilo posseduto.”
Requisito per il professionista specialista è il master di primo livello, mentre requisito per il conferimento dell’incarico di “professionista esperto” è costituito dall’aver acquisito, “competenze avanzate, tramite percorsi formativi complementari regionali ed attraverso l’esercizio di attività professionali, anche in virtù di protocolli concordati tra le regioni e le rappresentanze istituzionali delle professioni mediche, sanitarie e sociosanitarie interessate”.
La distinzione non è nuova ma non è mai stata chiarita fino in fondo. Sono ancora vive le polemiche per le competenze avanzate e specialistiche conseguenti all’approvazione del comma 566 della legge di stabilità del 2016. Abbandonata la via legislativa – che formalmente rimane in piedi – adesso si prova la via contrattuale. I livelli di riconoscimento sono quindi due:
a) le competenze specialistiche a cui non serve alcun atto successivo e di attuazione in quanto avendo individuato il requisito di accesso – il master specialistico – se ne intende individuato anche il campo di attività. Non vi sono dubbi che tale soluzione sia sostanzialmente in linea con il dettato legislativo e, in particolare, con la legge 42/99 che nella formazione post base individua uno degli elementi per l’ampliamento del “campo proprio di attività e responsabilità”. Si tratta in questo caso di un aumento implicito delle attività consentito dalla norma legislativa e subordinato alla formazione post base;
b) le competenze avanzate sono invece più complesse da individuare e sono il presupposto per l’incarico di professionista esperto. Qui la formazione post base è di carattere regionale e si accompagna “attraverso l’esercizio di attività professionali” – da intendersi, evidentemente – come aggiuntive. Il percorso potrebbe non essere sufficiente perché si richiama la necessità di addivenire “anche” a protocolli concordati tra le regioni e le rappresentanze istituzionali delle professioni mediche, sanitarie e sociosanitarie interessate”. I percorsi formativi dovranno dunque essere regionali mentre i protocolli si suppone che siano nazionali. Questa è la riproposizione però del fallimentare – nel senso più proprio del termine – percorso del comma 566.
Il fallimento è stato dovuto al tavolo di concertazione in quanto proprio le rappresentanze mediche si sono opposte all’istituzione dello stesso tavolo. L’unica differenza, in questo caso, è che il richiamo al tavolo concertativo contempla soltanto le rappresentanze “istituzionali” mediche (e quindi ordinistiche) e non anche quelle sindacali che furono le maggiori oppositrici. Pensare che gli ordini dei medici siano più accondiscendenti verso questo percorso che ha duramente colpito proprio l’istituzione ordinistica a suo tempo – le polemiche contro l’allora presidente Fnomceo Amedeo Bianco reo di avere in parlamento votato a favore del comma 566 non sono certo sopite – è illusorio. Una strada tutta in salita che ne ipoteca, sin dall’inizio, non soltanto l’insuccesso, bensì la mera implementazione.
Entrambe le posizioni – specialistiche e esperte/avanzate – presuppongo quell’allargamento implicito del profilo professionale riconosciuto dalla legge 42/99. Il problema sta però nell’individuare tali competenze. Nel primo caso, abbiamo visto, non si richiedono atti concertativi ulteriori come sono invece necessari nel secondo caso.
In questo caso gli incarichi a termine pongono un ulteriore problema. La valutazione negativo o il mancato rinnovo dell’incarico per i motivi che il contratto specifica fa venire meno anche la rispettiva funzione come per gli incarichi di organizzazione? In termini esemplificativi: un infermiere specialista di area critica o un fisioterapista con un master in posturologia, una volta perso l’incarico per i più svariati motivi, non devono più mettere in atto, nel proprio esercizio professionale, le attività aggiuntive al profilo oppure no?
Il pasticcio è evidente. La regolamentazione introdotta ha forti elementi di illogicità e complessità insuscettibili di essere risolti a livello di contrattazione aziendale e, meno che mai, nei tavoli concertativi previsti.
Gli incarichi professionali sono destinati, se così regolamentati, a un insuccesso annunciato anche per modalità di finanziamento e per istituzione.
Da Quotidoano sanita
Luca Benci
Giurista