“ Corte Ue dà ragione a vigile del fuoco volontario
“A casa ma reperibili? E’ orario di lavoro e va pagato”.
La sentenza dei giudici di Lussemburgo accoglie le richieste di un addetto al servizio antincendio della città di Nivelles, in Belgio, che ha chiesto un risarcimento per i servizi di guardia al proprio domicilio
La reperibilità si paga. Restare a casa o in un luogo ben preciso per essere pronti a scattare in caso di chiamata va considerato come orario di lavoro. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea, accogliendo le richieste di un vigile del fuoco volontario di Nivelles, in Belgio. Ma la sentenza va al di là del caso specifico e potrebbe costituire un precedente per molti lavoratori europei, italiani compresi, come le partite iva e i collaboratori.
Essere reperibili non è orario di riposo
I giudici di Lussemburgo, infatti, hanno chiarito che ai sensi delle leggi Ue “il fattore determinante per la qualificazione come orario di lavoro” è costituito dal fatto che “il lavoratore è costretto a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno”. Secondo la Corte Ue, nessuno Stato membro puo’ derogare a rispettare la distinzione tra “orario di lavoro” e “periodo di riposo”. E secondo la normativa comunutaria, le ore di reperibilità non sono riposo e pertanto vanno pagate.
Il caso Matzak
Il caso, come accennato, riguarda un volontario del corpo dei vigili del fuoco di una cittadina belga, tale Rudy Matzak, che oltre a prestare servizio occasionale come pompiere, è impiegato presso una società privata. Nel 2009, Matzak ha avviato un procedimento giudiziario contro il Comune di Nivelles per ottenere, tra l’altro, un risarcimento i per servizi di guardia al proprio domicilio.
Matzak, secondo l’accordo con il Comune, non doveva solo essere raggiungibile durante i servizi di guardia, ma era obbligato a rispondere alle convocazioni del datore di lavoro entro 8 minuti e a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro. Questi vincoli, scrivono i giudici Ue nella sentenza, gli impedivano di “dedicarsi ai propri interessi personali