È vero che non facciamo diagnosi clinica, non ci compete, ma giornalmente formuliamo diagnosi infermieristiche basandoci su segni e sintomi, (valutiamo lo stato di salute del paziente.). É vero che non stabiliamo percorsi terapeutici, non ci compete, ma pianifichiamo dettagliatamente i percorsi di cura assistenziali stabilendo con attenzione le PRIORITA’ di cui siamo responsabili, avvalendoci del personale di supporto per l’assistenza di base.
Riportiamo l’artico di Giannantonio Barbieri Giurista, il sole 24ore sanita n. 30-31/2010”
I medici Spesso sono occupati e preoccupati dalla inesistente intrusione dell’infermiere negli spazi medici, così si corre il ri-schio di non censurare le intromissioni del medico in un campo che non è medico ma è, appunto, infermieristico, dove l’infermiere non è l’esecutore di atti decisi da altri, ma è il responsabile, tra le altre e a titolo esemplificativo, dell’identificazione dei bisogni di assistenza infermieristi-ca e della ricerca degli strumenti, dei metodi, delle com-petenze e delle tecniche tese a fornire una risposta a tali bisogni. Se è indiscutibile che esistono atti medici esclusi-vi, o, forse più correttamente, atti sanitari praticabili in via esclusiva dal medico, deve riconoscersi come esistono atti sanitari praticabili in via esclusiva dagli infermieri, quali-ficabili atti infermieristici, circa i quali il medico non può intromettersi dal momento che sono di esclusiva compe-tenza infermieristica. Oggi la professione infermieristica possiede una sua spe-cifica identità professionale, un suo campo proprio di at-tività e di responsabilità e, quindi, di professionalità. Ne è prova quello che può essere definito lo statuto normativo dell’infermiere, che prende le mosse dal Dm 14 settem-bre 1994, n. 739, che definisce l’infermiere responsabile dell’assistenza infermieristica, indicando specificamente gli ambiti nei quali si manifesta la sua professionalità. E già una prima lettura del citato Dm pone il quesito sul come, e soprattutto su quali fondamenti professionali e giuridici, si possa attribuire al medico un ruolo di supervi-sore in un ambito che è solo ed esclusivamente infermieri-stico o, eventualmente, collaborativo laddove l’infermiere è chiamato a garantire la corretta applicazione delle pro-cedure diagnostico-terapeutiche. Quindi, il cambiamento normativo deve essere necessariamente letto a un livello ben più profondo, che vada oltre la lettura della semplice individuazione delle “mansioni” e giunga, al contrario, a cogliere l’essenza stessa dell’infermiere. Questo vuol dire comprendere come ci si trovi di fronte a un processo di maturazione profes-sionale e giuridica che ha investito la professione oramai da oltre 20 anni, ma le cui basi sono ben più risalenti. Il riferimento è anche alla legge 26 febbraio 1999, n. 42 che, nel sosti-tuire la denominazione “professio-ne sanitaria ausiliaria” di cui al Tu sulle leggi sanitarie e in ogni altra disposizione di legge, ha espressa-mente proceduto all’abrogazione del mansionario di cui al Dpr 225/1974 ma, soprattutto, ha stabilito che le profes-sioni sanitarie sono titolari di un campo proprio di attività.
Successivamente, la legge 8 agosto 2000, n. 251 manifesta in maniera esplicita il principio dell’auto-nomia professionale delle varie professioni sanitarie, tra cui ovviamente quella infermieristica, stabilendo come le attività professionali riconosciute agli infermieri vengano svolte con autonomia professionale mediante l’utilizzo di metodologie di pianificazione per obiettivi dell’as-sistenza. Inoltre, e ciò dimostra come sia proprio il legislatore a voler su-perare completamente il concetto di “dipendenza funzionale” dell’infer-miere rispetto al medico, il medesimo articolo stabilisce che debba essere sviluppata dallo Stato e dalle Regio-ni, ciascuno nell’ambito delle pro-prie funzioni, la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle profes-sioni infermieristiche, attribuendo all’interno delle aziende sanitarie la diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni proprio al personale infermieristico, mediante l’adozione di percorsi e di modelli di assistenza personalizzata. In altre parole si è assistito al passaggio, all’interno del-la professione infermieristica, da una condizione di ete-ronomia a una condizione di autonomia, ovvero da una condizione di dipendenza a una condizione di autonomia professionale. E questo comporta come necessariamente la responsabilità del processo assistenziale debba essere governata esclusivamente dall’infermiere. La conseguenza è che l’obbligo di protezione nei confronti del paziente, la cosiddetta posizione di garanzia, vada riconosciuta tanto in capo al medico quanto in capo all’infermiere, ciascuno in relazione all’osservanza delle proprie leges artis per la miglior tutela del bene salute del paziente. E il medico non sarà più titolare di una posizione di garanzia nei confron-ti dell’infermiere. Conseguentemente, l’autonomia pro-fessionale attribuita all’infermiere consente di escludere l’esistenza di un vincolo di subordinazione dell’infermiere stesso rispetto al medico (Pecennini F. La responsabilità sanitaria, Zanichelli, 2007). Dunque, non potendo fare riferimento alla giurisprudenza, che ancora non ha avuto modo e occasione di pronunciarsi appieno sugli argomenti in discussione, occorre fare riferimento alla scarna dottrina che, tuttavia, ha affermato come non sembrano più esistere spazi o aree di subordinazione dell’infermiere nei confron-ti del medico e come, addirittura, vi sia una netta separa-zione funzionale tra l’attività del medico e quella dell’in-fermiere, dominus assoluto e solitario della propria sfera di competenza (Ambrosetti F., Picinnelli M., Picinnelli R., La responsabilità nel lavoro medico d’équipe, Utet, 2003). Pertanto, ben può affermarsi come l’infermiere, e non il medico, sia l’unico professionista responsabile dell’attua-zione di quel complesso di atti assistenziali prodotti dalle competenze intellettuali, relazionali e tecnico-operative insite nel profilo professionale e derivanti dalla forma-zione, creando così un ambito di esclusiva pertinenza infermieristica, e circa il quale l’infermiere assumerà lui una posizione di garanzia nei confronti della persona malata, costituita da un’assistenza appropriata ed effica-ce, dall’utilizzo di strumenti operativi e dall’attuazione di metodologie per la personalizzazione dell’assistenza, con l’obiettivo di organizzare e gestire, appunto, le attività di assistenza infermieristica (e non medica, quindi). Ancora una volta, dunque, occorre doman-darsi, e forse è questo il vero noc-ciolo della questione, come possa il medico supervisionare il percorso di presa in carico dal punto di vista assistenziale della persona malata, andando così a incidere su percor-si, quali ad esempio la complessità assistenziale, che costituiscono l’es-senza della professione infermieri-stica. È pacifico, dunque, che se questo ora rappresentato è il nuovo sistema professionale e giuridico all’interno del quale si muove l’infermiere del terzo millennio, occorre distinguere tra interventi infermieristici autonomi e in-terventi infermieristici “su prescrizione medica”, come già accennato sopra, laddove su prescrizione medica non può significare su controllo o supervisione del medico ma piuttosto, in maniera ben più complessa e articolata, come l’infermiere, in collaborazione appunto col medico, garantisce e quindi assicura la corretta applicazione delle procedure diagnostico-terapeutiche, assumendosi lui la diretta responsabilità di tale correttezza. In conclusione, occorre ribadire come gli infermieri in-nanzitutto, ma poi i medici, i giuristi e i giudici, questi ultimi che saranno chiamati a giudicare i comportamenti dei professionisti, debbano avere ben chiaro che l’infer-mieristica è una scienza unica, forse troppo giovane per essere compiutamente compresa e accettata come tale, con un proprio campo d’azione individuato dalle teorie del nursing e dai modelli concettuali circa i quali diventa davvero difficile comprendere come il medico possa van-tare il ruolo di supervisore nell’ambito di una scienza che, appunto, non gli appartiene. La preoccupazione è vedere una parte della dottrina giuri-dica e della giurisprudenza, oltre che della classe medica, arroccata e ancora fortemente radicata a vecchi, desueti, superati concetti di ausiliarietà, e conseguente perseverare in maniera ostinata a identificare ancora l’infermiere come un ausiliario del medico, che presta assistenza al medico quando invece, oggi, l’infermiere è un professionista do-tato di un proprio specifico professionale, proteso verso il paziente e orientato a fornire assistenza al paziente stesso, nell’ambito di sistemi sanitari complessi che devono ne-cessariamente prendere atto di tale trasformazione e, con-seguentemente, modificare i loro assetti interni.
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