Carissimi e gentilissimi colleghi infermieri. Solo qualche quesito e qualche sconclusionata conclusione. Senza pretesa alcuna. Con molta preoccupazione. In lotta contro ogni forma di insistente disamoramento sempre alle porte. La proposta di Pisa, relativa ad un nuovo Codice Deontologico, ha aperto, e ritengo a ragione, un importante dibattito.
«Non ha avuto vita facile: osteggiata duramente fin dall’inizio dalla FNC per la sua “irritualità”, grazie però alla profondità dei suoi contenuti ha innescato un forte dibattito, anche interno alla FNC, mettendo in luce l’esistenza di una doppia anima nella Federazione, divisa tra una frangia più conservatrice e poco incline al cambiamento vero, e una più riformatrice e aperta alle sfide del futuro.»
Nessuno schieramento per nessuna anima non mi esime dal pormi almeno qualche quesito tra i tanti che, al di là dell’occasionalità del nuovo Codice, mi assillano nella pratica giornaliera.
1) – Il Codice Deontologico vuole essere una tautologia della già inequivocabile quanto basta legislazione?
2) – Nonostante una legislazione accettabile e condivisibile nelle sue linee generali e nonostante un Codice Deontologico che, se non è proprio un’opera d’arte è indicativo oltre che prescrittivo, l’ancora attuale riduzione dell’infermiere a subalternità al medico e non solo, è proprio dovuta ad una carenza di legislazione e di Codice Deontologico?
3) – Personalmente, fino a questo momento, pensando sulla professione infermieristica, non ho avuto bisogno di fare ricorso al concetto di “coevoluzione” mentre sto cercando di capire se mi può servire ed eventualmente come e perché. Ho trovato di grande aiuto fare ricorso al concetto composto di “mutuo appoggio in mutuo aiuto”. Sia l’uno che l’altro concetto sembra richiedano un accordo a monte, una decisionalità a monte; come minimo tra due parti. Richiedono un matrimonio e, per chi aborrisce ogni fede e ogni religione, richiedono un contratto; come minimo tra due contraenti. Nel caso degli infermieri si sta parlando di “coevoluzione” prima di tutto tra infermieri e medici.
Allora una quasi conclusione. È da più di trent’anni che faccio l’infermiere nei servizi della Salute Mentale. Pur nel rispetto della legislazione infermieristica, pur nel rispetto di ogni prescrizione deontologica, pur nel rispetto di ogni legislazione aziendale, pur nel rispetto di ogni legislazione legata alla Psichiatria riformata in Salute Mentale, pur nel rispetto e nel riconoscimento dell’altrui professione, sia da parte di medici che da parte di infermieri, ho trovato pochissimi, contati, professionisti che hanno dichiarato di volersi “coevolvere” o di volersi porre in una condizione di “mutuo appoggio in mutuo aiuto”. Ciò ha contribuito enormemente al mantenimento della riduzione dell’infermiere ad una subalternità al medico e non solo.
Sto facendo riferimento alla mia esperienza personale senza per questo comunque dimenticare quanto è stato detto ed è stato scritto e denunciato negli anni da tantissmi altri infermmieri della Salute Mentale e non solo. Devo addebitare tutto ciò ad una carenza di legislazione e di Codice Deontologico?
Vi dico subito che per me sarebbe facile e proprio una scorciatoia oltre che l’aver trovato una soluzione. Ma dico pure che una tale conclusione forse porterà alla redazione di una nuova Bibbia Deontologica ma non porterà certamente né ad una reale autonomia dell’Infermiere, né del Paziente, né della Comunità.
Qualche quesito ancora.
– In una condizione in cui un medico toglie un polmone, toglie un rene, toglie un pezzo di intestino ad un paziente perché quell’intervento fa guadagnare di più a lui e alla sua azienda, sia in prestigio che in denaro, pensate che ci sia stato un contratto “coevolutivo” tra medici e infermieri?
– Pensate che ci possa essere possibilità di “coevoluzione” in una tale condizione che indica una precisa progettualità?
– Per un paziente è importantissimo avere un letto ben fatto, con lenzuola senza pieghe, senza buchi, ben stirate, ben tese. E l’infermiere lo sa benissimo e lo condivide perfettamente. Alla prova orale ai concorsi per infermiere, al Nord, l’infermiere veniva bocciato e non superava l’esame quando non aveva saputo rispondere alla seguente domanda, qualche volta posta da una suora: come fa l’infermiere a capire e verificare se il lenzuolo è ben steso, ben teso, ben stirato sul materasso?
Una domanda per una verifica importantissima, e di qualità, che dichiarava di quanta attenzione si stesse dedicando da parte della Sanità alla persona sofferente fino a spingersi in quella che solo apparentemente poteva sembrare la pignoleria del lenzuolo teso e di escludere quell’infermiere, bocciandolo, che non sapeva rispondere, non approssimativamente ma precisamente, a quel quesito. Potrei giurare che dal 1985 ad oggi non ho mai trovato un letto di un paziente, un materasso o un lenzuolo che m’avessero consentito di mettere in pratica quella verifica a cui avevo imparato perfino a tenere tanto. Non parliamo delle condizione dei cuscini, dei materassi non degni nemmeno d’un cane randagio, di lenzuola bucate o di lenzuola che la gente deve portarsi da casa. Per non parlare dei pazienti coricati sui pavimenti e di tant’altro ancora.
Quella prova consisteva nella seguente pratica: l’infermiere deve (non facoltativo ma prescrittivo) lanciare una moneta sul lenzuolo steso. Se la moneta rimbalza, il lenzuolo è ben stirato e l’operazione di rifacimento si può completare; se la moneta muore, affonda, si blocca sulla tela, il lenzuolo è messo male, non è stirato bene sul materasso e si deve riposizionare.
Pensate che l’infermiere si possa e si debba “coevolvere” con qualcuno in una tale condizione che indica una precisa progettualità?
Pensate che tutto ciò sia da addebitare ad un qualche Codice andato a male?
Qualche dubbio mi sovviene. Durante tutta la mia attività infermieristica ho preso coscienza delle richieste, con diversa provenienza, rivolte all’infermiere di complicità e di collusione (Attenzione! Non complicità e collusione in positivo ma complicità e collusione della peggiore specie.) non con la relazionalità empatica e antiautoritaria alla base di ogni buona assistenza infermieristica ma con una relazionalità autoritaria e di Potere che nulla può e deve avere a che fare nemmeno con la peggiore delle assistenze infermieristiche.
C’è il pericolo che la “coevoluzione”, per come si sta affrontando il dibattito si trasformi da possibile potenzialità positiva in un diverso modo di chiedere complicità ad una solo diversa relazionalità di Potere?
Gaetano Bonanno