Si entra per un intervento chirurgico o per una batteria di controlli e si esce con una bella infezione.
Ci chiediamo come mai avvengono in altissime percentuali.. Si potrebbe ritenere una concausa relativa alla mancanza di 55.000 mila infermieri e altrettanto personale di supporto dedicato alle mansioni igienico domestiche alberghiere, che causerebbe una “promiscuità” legata alle attività svolte dalle varie figure che si trovano inevitabilmente ad eseguire mansioni improprie ed incompatibili con il proprio profilo professionale causando inevitabilmente contaminazioni biologiche dannosissime per la salute ed il bene di tutti coloro che si recano per ricevere cure nelle strutture ospedaliere…?
I nostri ospedali brulicano di batteri e virus che oramai fanno più vittime degli incidenti stradali. Le infezioni ospedaliere, stima l’Istituto superiore di sanità, mietono tra le 4500 e le 7000 vittime l’anno, contro le 3500 della strada. Ma sono oltre mezzo milione i pazienti che ogni anno si ricoverano per curare una cosa e si trovano a dover fronteggiare un’altra malattia presa proprio in ospedale. In pratica tra il 5 e l’8 per cento degli assistiti è vittima di un’infezione ospedaliera.
Che esistesse un problema, in realtà non solo italiano, lo sapevamo già, ma i dati del rapporto del Ministero della salute sulle schede di dimissioni ospedaliere mostra ora un vero boom delle infezioni contratte in corsia o negli ambulatori dei nostri nosocomi, che negli ultimi dici anni sono aumentate del 61,2 per cento per gli interventi chirurgici e del 79,6 per cento per quelli medici, soprattutto controlli endoscopici, come gastroscopie e colonscopie.
I casi delle infezioni mediche sono oramai 12,39 ogni 100 mila dimessi, mentre quelle chirurgiche sono da brivido: 233 per lo stesso numero di dimissioni.
Un fenomeno del quale si parla continuamente in convegni e corsi di formazione ma che continua inarrestabile a minare sempre più la salute di pazienti già fragili. Perché l’impennata delle infezioni prosegue inarrestabile nonostante il numero di ricoveri in Italia sia in calo, visto che molti interventi si fanno oramai negli ambulatori territoriali.
Quasi 500mila casi sono dovuti alle infezioni alle vie urinarie perché magari la pulizia dei cateteri lascia a desiderare, a ferite chirurgiche, polmoniti e sepsi. Ma a volte a veicolare i microbi sono i mal tenuti sistemi di areazione dei nostri sempre più obsoleti nosocomi, che hanno oramai un’età media di settant’anni. Fatto è che circa un’infezione su tre si sarebbe potuta evitare con un po’ di pulizia e di prevenzione. Che significa tra le 135 e le 210 mila infezioni sono frutto in qualche modo di un’incuria che può avere a volte conseguenze letali, visto che mediamente l’1 per cento di questi casi evitabili causa un decesso. Per farsi meglio un’idea duemila pazienti ogni anno muoiono per infezioni evitabilissime.
Ma come sempre quando si parla di sanità la situazione varia e di molto da una regione all’altra. Anche se, a sorpresa, in questo caso sembra stare peggio il solitamente più efficiente Nord. Il record di infezioni dopo un intervento chirurgico lo detiene la piccola Valle d’Aosta, con 500 casi ogni 100mila dimessi. Seguono la Liguria con 454 e l’Emilia Romagna con 416, mentre la Lombardia ne conta 300, Trento 295, il Veneto 273 e l’Umbria 267. In fascia media il Piemonte con 218 casi. Nel Lazio se ne contano 211 mentre in tutto il Sud solo la Calabria supera quota 200 (con 263 casi). La più virtuosa è l’Abruzzo con sole 70 infezioni. Resta da capire se si tratti di maggior bravura e attenzione al fenomeno oppure di un difetto di rilevazione dei casi.
Il prezzo è comunque salato per la salute di chi si ricovera ma anche per le malandate casse regionali. Secondo una ricerca condotta nel maggio scorso dal Ceis dell’Università Tor Vergata di Roma per ogni infezione ospedaliera si stima vadano in fumo tra i 9000 e i 10.500 euro.
Moltiplichiamo per il mezzo milione e passa di casi e lo spreco è quantificabile in almeno 5 miliardi di euro. Quanto basterebbe ad abrogare tutti in ticket, che valgono 3,5 miliardi e a finanziare le nuove costosissime cure che spesso arrivano in ritardo per evitare che i conti della sanità vadano in rosso.