le scrivo per commentare la lettera di Nicola Colamaria pubblicata su Quotidiano sanita “Se anche gli infermieri avessero un Dott.Pizza” e lo faccio senza soffermarmi nel merito della delibera regionale sul 118. La lettera del collega mi è piaciuta molto e non l’ho percepita per niente ingenua, ma acuta e coraggiosa e poco incline al senso comune.
Colamaria ha colto, evidenziandole, la volontà e la capacità di un Presidente di ordine medico di:
1. captare il bisogno, di una professione sanitaria, di non essere in contraddizione con i suoi doveri professionali; bisogno comune ai tanti infermieri;
2. interpretare e raccogliere il disagio che questa condizione determina nell’opera quotidiana di un medico; condizione propria anche agli infermieri; interpretazione attesa anche dagli infermieri;
3. discuterne all’interno del suo consiglio;
4. attendere il parere della Commissione Centrale esercenti le professioni sanitarie (CCEPS) che ha riconosciuto e sottolineato che “le determinazioni della ASL relative ai protocolli operativi di cui trattasi, pur trovando supporto nell’atto deliberativo regionale, si pongono in contrasto con il Codice Deontologico (…)”per cercare, infine, concretamente , con il mezzo della libertà, di ottenere più libertà da una oppressione subdola, giustificata in nome di una decisione presa quale atto collegiale, politico-amministrativo e che pertanto non richiede ingerenze, da parte dell’ordine, ritenute inopportune e neanche lecite.
Facendosi portavoce di una civile ribellione, nei confronti degli imperativi della gestione, Pizza ha dimostrato di possedere l’etica del ribelle “attribuendo molto più valore al modo di essere” medico, anche Presidente di ordine, che alla “pura sopravvivenza” e pretendendo lo stesso da un medico che, divenuto assessore, non può dimenticare il modo di essere di un medico; e incoraggiando anche tutti noi a sentire il desiderio di “essere liberi per volerlo diventare” (G.Giorello, L’etica del ribelle, ed. Laterza,2010).
Nel suo procedere Pizza non ha usato quindi “la ragion pigra”, non si è messo tranquillo, al sicuro, come se avesse terminato il suo compito di Presidente con l’assunzione di tale ruolo; al contrario, sentendosi mortificato, insieme alla sua professione, ha voluto aumentare le opportunità di autorealizzazione della stessa e dei suoi professionisti, i quali, egli ha dimostrato, non possono essere contaminati dall’alto.
Sicuramente a Pizza avrebbe fatto più comodo tacere e mettersi tranquillo, ma “non ce l’ha fatta” non ha saputo rinunciare al suo desiderio di essere sincero . La colpa di Pizza è stata proprio quella di non aver automaticamente obbedito alla gestione e averle invece civilmente resistito .
Lo si capisce bene leggendo le parole di Venturi che evidenziano l’esercizio a tratti prepotente ed oppressivo, di chi gestisce ed è noncurante non solo degli altrui doveri –diritti, tanto da non sentire il bisogno di chiederne parere, ma anche dei propri, essendo un medico iscritto a quell’ordine; lo si capisce bene anche leggendo il commento pro Venturi dell’Ordine degli infermieri di Bologna che, poco argomentato, dimostra un pensiero che conosce bene il limite del segno e acriticamente e comodamente vi sta dentro con tutti e due i piedi. Sembra altro dal bene per i cittadini.
Sui social spesso alcuni infermieri riversano la responsabilità del nostro stare nelle prassi agli infermieri stessi che non denunciano (demansionamento/deprofessionalizzazione), sollevando Ordini e Federazione; io, invece, ribadisco il pensiero che la valorizzazione del ruolo professionale e più in generale delle competenze acquisite ed acquisibili e la loro spendibilità sia responsabilità e dovere di coloro che ci rappresentano come indicato nelle disposizioni finali del codice deontologico (cd) degli infermieri; penso anche che l’art.51 del cd, uno per tutti gli altri, non possa essere un dovere se manca il diritto di essere garantiti nell’esercizio del dovere stesso. E come saranno garantiti gli infermieri se applicano l’art.51 nessuno ce lo ha saputo dire, neanche le linee di azione della FNOPI, tanto attese.
Secondo me il grande merito del presidente Pizza è proprio quello di aver fatto il suo dovere, di aver voluto bene ai suoi iscritti, ponendo la questione sulla regola deontologica, sulla necessità urgente di scegliere la regola deontologica più giusta per i malati e per gli altri operatori, e dimostrando quale rango ha o dovrebbe avere la regola deontologica in rapporto a quelle gestionali.
Dopo aver letto il comunicato dell’Ordine degli infermieri di Bologna e quello della FNOPI sull’argomento chiedo al mio ordine, quello di Firenze-Pistoia, che in programma ha tantissime iniziative e che dimostra tanta vitalità, di reinterpretare il fatto in autonomia per trovare nel comportamento del presidente Pizza oltre che delle divergenze anche delle parentele; vorrei che si riconoscesse per esempio che i problemi denunciati da Pizza sono autentici, e in quanto tali sono affrontabili, e lui lo ha dimostrato con i fatti. Chiedo invece al mio ordine che non si tollerino più violazioni alla deontologia e che si capisca che è un problema vero, sia per i medici che per gli infermieri, e che in quanto tale serve di fare fronte comune .
Mi si potrebbe rispondere che si sta facendo già molto per affermare la cultura che ostacola la de-professionalizzazione e che vi siano già forme di tutela e garanzie per coloro che denunciano abusi ed omissioni, ed io iscritta all’ordine posso crederci, ma non ne posso prendere atto, manca il fatto.
Vorrei, dunque, con questo dire che occorre più coraggio da parte dei nostri Presidenti di ordine, inteso come superamento della paura di essere annientati, trasparenza e l’utilizzo della libertà come mezzo, prima ancora che come valore, nell’affermare la realizzazione del diritto ad un lavoro, intellettuale, scelto, e ad un lavoro nel quale aumentare le proprie opportunità di conoscenza e di autorealizzazione.
Marcella Gostinelli
Infermiera
Fonte
Quotidiano Sanità