Gravi criticità nell’ospedale Sacco di Milano. Personale insufficiente in Pronto Soccorso, infermieri sotto organico nei reparti di chirurgia, cardiologia, pediatria.
Condizioni insostenibili nell’assistenza alle persone soprattutto al triage e poi nelle attese prima delle visite.
Non è la prima volta che all’Ospedale Sacco di Milano mi segnalano condizioni di grave disagio lavorativo.
“Devo lavorare, d’accordo, ma è giusto che rischi di finire in galera per responsabilità che non ho?”
Michele me lo dice chiaramente, che qui in discussione non c’è un appello per avere più soldi. Semmai per garantire qualità nel servizio. Senza di quella si rischia di morire, in un ospedale. Nessuno dei due, né Davide né Michele, entrambi sindacalisti della Fials, entrambi impegnati al fronte,uno radiologo e l’altro infermiere al Pronto Soccorso, fanno a cuor leggero quest’appello. La situazione però sta diventando insostenibile. Mi chiedono ed ottengono in un primo momento d’incontrare Pietro Olivieri Direttore di Presidio e la Dott.ssa Cristina Meloni dirigente infermieristico Sitra. Entrambi sono gentilissimi e ci accordano un’intervista che poi saranno costretti a procrastinare per mancanza delle adeguate autorizzazioni ma promettono di mantenere l’impegno assunto e di ricevermi quanto prima per rispondere all’appello che i lavoratori hanno inoltrato anche al Prefetto. Perché qui, nella periferia della grande metropoli, l’Ospedale Sacco mostra le sue eccellenze ma anche le sue ferite. A Pochi metri dall’ingresso del Ps per terra c’è un pigiama bianco per terra e due bottiglie di vino. Claudio e Michele sorridono guardandomi: “E questo accade in pieno giorno, ti lasciamo immaginare cosa accade durante la notte”
Sbandati
Mentre usciamo per dal nosocomio per fare l’intervista davanti l’ingresso, la Polizia di Stato allontana un ragazzo di chiari origini arabe, malmesso e mentalmente instabile. È senza scarpe e si tiene i pantaloni che gli sono di due misure almeno più grandi. Urla e pronuncia frasi ad alta voce, mentre attraversa in modo incerto la strada, a cavallo del passaggio delle macchine. Noi stessi siamo costretti a spostarci, per evitare di esercitare un’eccessiva attenzione. Poi comincia la ripresa. Fuori piove e c’è un clima uggioso. Decisamente poca cosa questo clima rispetto a quello che alberga in chi, per fare il proprio lavoro, deve sempre sperare di non finire con l’essere l’ultima ruota del carro, o l’uomo cui rimane il cerink in mano per ultimo. Perché poi quando muore qualcuno, e si parla di malasanità si cerca sempre un colpevole. E di solito il personale è il primo a cui si danno le colpe. Perché è sempre più facile guardare in basso che in alto. Questione di potere. Questione politica, prima di tutto