09/01/2019 – E’ necessario secondo la FNOPI che si dia il via a una formazione continua degli operatori sugli aspetti della comunicazione e della relazione di aiuto nei confronti degli assistiti. E’ importante che i professionisti sappiano comunicare con fermezza che gli atti di violenza non sono permessi o tollerati. Solo l’impegno comune però può migliorare l’approccio al problema
Un disegno di legge, quello contro la violenza sugli operatori sanitari, che rappresenta un segnale positivo e conferma l’attenzione a questo fenomeno che sta assumendo dimensioni pericolose per gli operatori sanitari e, di conseguenza, per gli stessi cittadini.
La Fnopi, nell’audizione alla Commissione Igiene e Sanità del Senato sul provvedimento, ha sottolineato di non avere intenzione di lasciare solo nessun collega.
L’infermiere – come ha ricordato Franco Vallicella, componente del Comitato centrale della Federazione, come ogni professionista della salute, non è un bersaglio, non è un capro espiatorio, non è un contenitore inerme dove riversare rabbia, frustrazione e inefficienze del sistema. L’infermiere è un professionista alleato del cittadino e tutto il Servizio sanitario deve impegnarsi perché questa alleanza possa esprimersi al meglio, per aumentare sicurezza e fiducia. Il tutto in sintonia e condivisione con le iniziative di altre Federazioni come quella degli Ordini dei medici, coinvolte in prima persona dal fenomeno.
Nel settore sanitario, sociosanitario e in modo particolare nei servizi di emergenza-urgenza e nelle strutture psichiatriche, le aggressioni fisiche hanno raggiunto rispettivamente il 48% e il 27% degli operatori; gli insulti sono risultati invece praticamente ubiquitari, avendo coinvolto rispettivamente l’82 e il 64% degli operatori, e percentuali più o meno simili si trovano per le minacce.
E dei professionisti della Sanità gli infermieri sono quasi il 50 per cento.
Accanto al disegno di legge, è necessario secondo la FNOPI che si dia il via a una formazione continua degli operatori sugli aspetti della comunicazione e della relazione di aiuto nei confronti delle persone assistite.
E’ importante che i professionisti sappiano comunicare con fermezza agli utenti, agli accompagnatori e al personale che gli atti di violenza non sono permessi o tollerati. Oggi si stanno affermando messaggi culturali che inducono la popolazione a coltivare una rabbia crescente verso gli operatori delle strutture. A questo concorrono le notizie spesso scandalistiche sui servizi sanitari, che creano a priori un’aspettativa negativa nei confronti dei servizi, che a sua volta fomenta la frustrazione e la rabbia e mina il rapporto di fiducia tra cittadini e operatori.
“Non è creando allarme sociale o incertezza nei cittadini – ha detto Vallicella – che si risolvono i problemi del Ssn e non si riduce la violenza rimettendo il medico o un’altra figura professionale al centro: al centro si deve rimettere il paziente.
Non è possibile scindere il problema rispetto a una professionalità, ma ad affrontarlo deve essere l’équipe e medici, infermieri e le stesse aziende devono costruire sinergie in questo senso perché non è il solo ministero della Salute o le sole Regioni a poter risolvere in problema: è un problema di contesto”.
Si deve anche stare attenti a far passare messaggi distorti come ad esempio quello sull’emergenza e le relative competenze che mettono ansia e generano paure nei cittadini, inasprendo il loro rapporto con gli operatori.
La prevenzione degli episodi di violenza a danno degli operatori sanitari richiede che l’organizzazione identifichi i fattori di rischio per la sicurezza del personale e ponga in essere le strategie organizzative, strutturali e tecnologiche più opportune, diffonda una politica di tolleranza zero verso atti di violenza nei servizi sanitari, incoraggi il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi e faciliti il coordinamento con le Forze dell’ordine o altri soggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie atte a eliminare o ad attenuare la violenza nei servizi sanitari.
“Solo l’impegno comune di tutti però (direzioni aziendali, dirigenza infermieristica e medica, coordinatori, professionisti e loro rappresentanti, organizzazioni sindacali, rappresentanti dei cittadini, organi di informazione) può migliorare – ha proseguito – l’approccio al problema e assicurare un ambiente di lavoro sicuro. Tanto più che gli atti di violenza possono ripercuotersi negativamente anche sulla qualità dell’assistenza offerta ai cittadini”.
Bisogna aumentare non solo la formazione degli operatori quindi, ma anche l’informazione, perché siano denunciate da tutti e in modo chiaro le azioni di ricatto e le persecuzioni nell’ambiente di lavoro rispetto alla posizione e ai compiti svolti. Un mobbing spesso sommerso che colpisce spesso in prevalenza proprio il sesso femminile e che alla fine indebolisce anche il rapporto tra professionista e cittadino. Non si può più “lasciar fare” e in questo vanno sensibilizzati i datori di lavoro e i responsabili dei servizi: la violenza va rifiutata ed evitata e per questo si devono prevedere sanzioni anche per chi non è in grado di garantire la sicurezza dei suoi dipendenti.
IL TESTO DELL’AUDIZIONE
Fonte Fnopi