Il cosiddetto “regionalismo differenziato” preoccupa sia i pazienti sia gli operatori della sanità. È quanto è emerso mercoledì 13 febbraio a Roma in una riunione dei rappresentanti delle principali associazioni di tutela con quelli delle Federazioni degli ordini di medici e infermieri.
In particolare, le perplessità dei cittadini, condivise dai professionisti, si concentrano sul fatto che le intese sulle autonomie regionali costituirebbero una riforma imposta dall’alto, senza confrontarsi con i fruitori e con gli erogatori dei servizi.
«È fondamentale che tutti i cittadini siano informati sui potenziali effetti di una autonomia differenziata» avverte Francesca Moccia, vicesegretario generale di Cittadinanzattiva. «Da anni – ricorda – attraverso i nostri Rapporti denunciamo l’aumento delle differenze territoriali nell’accesso e qualità delle cure. Una autonomia differenziata senza garanzie non farebbe altro che acuire queste disparità». Proprio per questo Cittadinanzattiva ha proposto una modifica dell’articolo 117 della Costituzione che, introducendo il concetto di tutela della salute dell’individuo, rappresenterebbe «uno strumento efficace per riequilibrare le differenze e riconoscere che il diritto alla salute deve esser garantito ugualmente su tutto il territorio nazionale».
«L’obiettivo di chi lavora in sanità» osserva il presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, è di «abbattere il più possibile l’incidenza e gli effetti delle malattie. Se un sistema riesce, impiegando poche risorse, a dare ottimi risultati di salute è un sistema buono, che va salvaguardato e valorizzato, non smantellato. Siamo seriamente preoccupati che, in un sistema con autonomie troppo spinte, solo poche Regioni riescano a mantenere un servizio sanitario pubblico. Le altre, quelle che non ce la faranno, dovranno vicariare con le assicurazioni, con sistemi privati. Ma questo – prevede Anelli – aumenterà le disuguaglianze tra cittadini, tra chi potrà permettersi l’assistenza migliore e chi dovrà rinunciare. Il rischio, in altre parole, è quello di tornare, in alcune Regioni, a prima del 1978. A noi questo scenario non piace».
Per Tonino Aceti, portavoce della Federazione degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), «occorre mettere in primo piano gli obiettivi di salute, favorire concretamente la partecipazione dei cittadini e mettere i professionisti nelle migliori condizioni di perseguire tali obiettivi: fino a oggi nessuna di queste componenti essenziali dell’assistenza sanitaria è stata coinvolta nel processo di regionalismo». Secondo Aceti, allora, prima di procedere oltre sarebbe bene che il Governo «elaborasse un’analisi rischi/benefici delle proposte di autonomia differenziata presentate dalle Regioni per misurare l’impatto di queste riforme sulla finanza pubblica, sulla tenuta di tutti i servizi sanitari regionali, sulla mobilità interregionale, sul ruolo di garante dei Livelli essenziali di assistenza del livello centrale, sui diritti dei pazienti e sull’equità dell’assistenza».
Per chiedere di avviare un confronto condiviso, Fnom, Fnopi, Cittadinanzattiva insieme al suo Coordinamento nazionale delle associazioni malati cronici e tutte le associazioni di pazienti e cittadini che vorranno aderire all’iniziativa, scriveranno la prossima settimana una lettera aperta al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.