Sembra uno scherzo ed invece è tutto vero.
Il responsabile della direzione sanitaria, dott.ssa Annalisa Muscas, del presidio ospedaliero San Martino di Oristano, ha disposto che gli infermieri e i medici del reparto debbano occuparsi della composizione della salma.
La procedura prevede i seguenti compiti:
non legare la salma al letto o sulla barella;
medicare le ferite essudative;
sostituire la biancheria sporca con quella pulita;
lasciare scoperto il viso;
chiudere le palpebre;
indossare il pannolone se ci sono perdite di feci o urine (naturalmente il pannolone deve essere indossato dalla salma non dall’infermiere);
eliminare ogni presidio medico-chirurgico dalla salma, tranne quelli elettrici (pacemaker, ecc.);
accertarsi che la salma sia composta in modo tale da non ostacolare eventuali manifestazioni di vita (caso tipico di salma viva).
Avete letto bene: chiudere le palpebre. E la bocca?
La composizione della salma è svolta, di fatto, esclusivamente dagli infermieri: ce lo vedete il medico che sostituisce la biancheria sporca o che mette il pannolone? È fantascienza!
L’introduzione della figura medica è un’evidente stratagemma psicologico per evitare insurrezioni di competenza professionale, in modo tale che gli infermieri, sapendo che anche i medici devono comporre la salma insieme a loro, siano portati a dispensarli benevolmente per una ragione di reverenzialità. Infatti è proprio quello che succede.
La dott.ssa Muscas probabilmente non si è informata bene sulla questione. Il D.M. 14 settembre 1994 n. 739, vigente, stabilisce che: “l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario (ora laurea) abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”.
Il co. 2 del medesimo decreto definisce l’assistenza infermieristica negli ambiti “preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa che è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria. L’infermiere: a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico; d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali; f) per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto; g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale. L’infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca”.
Ad litteram leges, nel decreto succitato non è prevista alcuna cura igienica della salma proprio perché la finalità della professione infermieristica si dipana tra i malati, cioè tra persone vive che lamentano una lesione alla salute. Del resto, come potrebbe l’infermiere prevenire e curare una persona deceduta?
Anche la giurisprudenza, spiegando la natura del danno riflesso/tanatologico o da perdita parentale, distingue i danni jure hereditatis dai danni jure proprio, sulla scorta del lasso di tempo intercorso tra la cosciente rappresentazione dell’imminenza della morte e la cessazione effettiva della vita.
È in questo preciso frangente che l’infermiere interviene per salvare la vita delle persone cioè nel momento in cui essa è ancora recuperabile e non per pulirle dopo che sono morte: la persona deceduta non può vantare diritti alla salute (lo Stato stabilisce dei doveri sulla salma e dei diritti sulla pietà e sul trattamento dei defunti agli eredi vivi, la cui violazione è punita anche penalmente) e quindi la salma non può pretendere alcuna prestazione infermieristica intesa come attività di prevenzione e cura della salute.
La salma non è più persona fisica e non può più esercitare pretese giuridiche e diritti soggettivi perfetti.
Peraltro, l’unico riferimento del Codice Deontologico dell’Infermiere all’evento morte è richiamato dall’art. 39 che non stabilisce di pulire la salma, bensì: “L’infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare nella evoluzione terminale della malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto”.
Completato il quadro giuridico dell’infermiere e per aggiornare la dott.ssa Muscas che si è evidentemente persa gli ultimi 18 anni di riforme sanitarie, la legislazione non ha lasciato incurante quanto è necessario operare a favore della salma ed ha quindi previsto una figura all’uopo destinata a tal fine.
Dapprima il D.P.R. 28 novembre 1990 n. 384 ha istituito a figura dell’Operatore Tecnico addetto all’Assistenza prevedendo, specificamente: “l’igiene della persona” e “il trasporto della salma”. Il D.P.R. non distingue lo status della persona che quindi può essere viva o morta, mentre nel succitato D.M. n. 739 ne precisa lo status giuridico, specificando: “assistenza ai malati e ai disabili”, cioè a persone vive a meno che non si dimostri l’esistenza di un morto malato o di un morto disabile.
Per il resto il D.M. non soggettivizza l’assistenza alla persona, ma fissa le tipologie prestazionali, quali: “prevenzione, cure palliative, assistenza, educazione sanitaria”, tutte attività difficilmente erogabili ad una salma.
Di nuovo, nell’allegato A dell’Accordo Conferenza Stato Regioni 22 febbraio 2001 introduce la figura ausiliaria dell’Operatore Socio Sanitario attribuendogli mansioni igienico-domestico-alberghiere e quindi di assistenza diretta alla persona. Nel mansionario succitato è specificamente assegnato all’OSS: “la composizione della salma e il suo trasferimento”. L’azienda di Oristano non è neppure corretta in quanto sfrutta la situazione di profonda sopraffazione del dolore parentale, per costringere anche l’infermiere che vorrebbe legittimamente eludere il provvedimento dirigenziale, ad adeguarsi a questa ridicola procedura necrofora per evitare conflitti e animosità che in tali situazioni delicate possono facilmente degradare in violenze fisiche e verbali.
E l’OPI? Nel caso precedentemente affrontato dall’A.A.D.I. (V. news: Pulire la salma compete agli infermieri), abbiamo coinvolto l’OPI di Varese che però non ci ha mai risposto.
In conclusione, il D.M. n. 739/94 assegna all’infermiere l’utilizzo del personale subalterno per ogni attività manuale che non richiede specifiche competenze abilitative e anziché scaricare esclusivamente sull’infermiere ogni carenza, lacuna, disorganizzazione e imboscamenti sindacali che depauperano il personale ausiliario verso gli uffici per lavorare sulla carta e sui computer anziché sui pazienti, privilegiandoli a dismettere la divisa che invece l’infermiere deve quotidianamente indossare, attendiamo con ansiosa aspettazione un minimo cenno da parte della FNOPI, sperando che la Presidente almeno questa volta, scenda dal palco delle bandiere e degli inni nazionali e venga tra di noi a vedere come veniamo trattati tutti i giorni.
Associazione Avvocatura Degli infermieri.
Adi