Condannato in primo grado a sei anni di carcere, interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena, una provvisionale da 10 mila euro per ciascuna delle tre ragazze che si erano costituite parte civile e danno da valutare in separata sede, il ginecologo era stato poi assolto in Corte d’Appello “perché il fatto non costituisce reato”. Su ricorso della Procura della Repubblica però la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello.
Assoluzione (della Corte di Appello, ndr.) annullata dalla Corte di Cassazione (sentenza 18864/2019 della terza sezione penale) per un ginecologo accusato di violenza sessuale nei confronti di tre pazienti per atti compiuti senza consenso informato che hanno portato alla stimolazione sessuale delle donne.
Condannato dal Tribunale a sei anni di carcere, interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena, una provvisionale da 10 mila euro per ciascuna delle tre ragazze che si erano costituite parte civile e danno da valutare in separata sede, il ginecologo era stato poi assolto in Corte d’Appello “perché il fatto non costituisce reato”, ma su ulteriore ricorso della Procura della Repubblica il caso è finito in cassazione dove i giudici hanno annullato la sentenza di assoluzione “con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello”.
Il fatto
Nel 2013 negli uffici della Questura si era presentata una ragazza di nazionalità albanese che aveva riferito di essere stata oggetto di attenzioni “particolari” da parte del ginecologo durante una visita. Una delle giovani che inizialmente non aveva denunciato i fatti “per vergogna” ha spiegato che dopo l’ecografia, il ginecologo aveva cominciato a farle domande sulle sue abitudini sessuali e poi l’aveva toccata deliberatamente nelle parti intime: “Mi dica quando raggiunge il piacere”, avrebbe detto lui. Poi era emerso che analoghi comportamenti sarebbero stati tenuti almeno con altre due giovani, anch’esse straniere, una di 19 e una di 29 anni.
Il ginecologo però ha sempre respinto gli addebiti: “Siamo nel campo delle sensazioni: hanno pensato di aver avuto una visita ‘strana’. Mi sono sempre comportato in maniera ineccepibile, cercando di dare consigli e curare problematiche”.
Da qui nel 2016 l’assoluzione in Corte d’Appello, annullata ora, nel 2019, dalla Cassazione.
La sentenza
Secondo la Cassazione non basta entrare nello studio di un ginecologo per accettare implicitamente una visita genitale: il consenso della paziente deve sempre essere esplicito, anche se le manovre sono clinicamente corrette.
Per la Cassazione, ogni volta che il ginecologo visita, deve chiedere il consenso “prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sfera di autodeterminazione della libertà sessuale”. Si tratta di un “obbligo giuridico” e ignorarlo è un reato penale, e nulla importa se il medico afferma di non aver “provato piacere”.
Questo perché, secondo la sentenza (e di questo dovrà tenere conto il giudice del rinvio in base alla pronuncia della Cassazione), “ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, non è necessario che la condotta dell’agente sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del suo piacere sessuale”, “il medico, nell’esercizio di attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito un consenso esplicito ed informato dallo stesso, o se sussistano i presupposti dello stato di necessità, e, inoltre, deve comunque immediatamente fermarsi in caso di dissenso del paziente”.
“L’errore del medico – secondo la sentenza – in ordine all’esistenza di un obbligo giuridico di acquisire il consenso del paziente prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sfera di autodeterminazione della libertà sessuale di quest’ultimo, a differenza di quello sulla sussistenza di un valido consenso, costituisce errore su legge penale, a norma dell’articolo 5 Cp, che non esclude il dolo, ed esclude la colpevolezza solo in caso di ignoranza inevitabile”.
La sentenza impugnata secondo la Cassazione ha ritenuto l’esistenza dii un ragionevole dubbio “in ordine alla sussistenza del dolo, ritenendo che quest’ultimo debba intendersi come ‘coscienza e volontà della propria condotta e del pericolo di attentare alla libertà sessuale per l’illegittimità dell’atto’, e concludendo che ‘per la Corte è possibile che il ginecologo abbia agito con la sola consapevolezza e volontà di curare le pazienti, ritenendo che il loro consenso alla particolare manovra fosse implicito o, addirittura non necessario perché l’atto era dovuto”.
Ma per oi giudici “è evidente, innanzitutto, l’erroneità della decisione nella parte in cui attribuisce rilevanza all’errore dell’imputato sulla non necessità del consenso delle pazienti ‘alla particolare manovra’ quale causa di esclusione del dolo”.
Questo errore secondo la Cassazione può rilevare solo in caso di ignoranza inevitabile della disciplina giuridicamente vincolante “in ordine all’obbligo di acquisire il consenso del paziente prima di procedere ad attività diagnostica o terapeutica incidente sulla sfera di autodeterminazione della libertà sessuale di quest’ultimo”.
La motivazione della Corte d’appello, inoltre, è viziata secondo i giudici della Cassazione, perché contraddittoria o comunque gravemente lacunosa, quando afferma che il ‘consenso alla particolare manovra fosse impliicito’.
“Innanzitutto – si legge – la sentenza impugnata non spiega perché deve ritenersi sussistere il consenso implicito se poi afferma, ad esempio, che” nel caso di una delle pazienti, questa “è stata colta di sorpresa”, o che, nel caso di un’altra la visita è stata non richiesta, e il “movimento all’interno della vagina” ha dato luogo a una situazione che “ha determinato il grave imbarazzo riferito dalla giovane, è stata talmente improvvisa da non rendere possibile un’immediata reazione”.
“Allo stesso modo – prosegue la sentenza – risulta assertiva, e anche non risolutiva, l’affermazione secondo cui, nel caso di una delle pazienti il ginecologo, che alla prima reazione della donna aveva detto ‘poi ti spiego’, e aveva proseguito, per fermarsi solo dopo la nuova reazione, potrebbe aver equivocato sulle ragioni della reazione, ascrivendole al dolore e non al dissenso: da un lato, non si spiega perché la reazione in questione poteva essere percepita come conseguenza di un dolore; dall’altro, e in ogni caso, non si spiega perché potesse essere ravvisabile un consenso implicito”.
“In secondo luogo – afferma ancora la sentenza della Cassazione – la pronuncia impugnata risulta addirittura cadere in diretta contraddizione con l’ipotesi del consenso implicito, quando riferisce, per ben due volte, sia pure per affermare la sussistenza oggettiva del reato, che in tutte e tre le vicende, il ‘contatto con la zona erogena (fu) eseguito in maniera repentina, senza la dovuta preparazione e il preventivo consenso, anche solo implicito’, anche ‘tenuto conto del particolare contesto avulso dalla richiesta una consulenza sessuale’”.
In terzo luogo, infine, per la Cassazione non è chiaro, in questo contesto motivazionale, il rilievo attribuito al mancato ‘incitamento’ o ‘eccitamento a raggiungere l’orgasmo’, “posto che, come si è detto in precedenza, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 609 bis cod. pen., non è necessario che la condotta dell’agente sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del suo piacere sessuale”.
Fonte Quotidiano sanita