La Corte di Cassazione si è occupata spesso di triage errato e responsabilità medica, fornendo delle precisazioni molto importanti nel merito
Sono numerosi i casi di responsabilità medica che derivano da un triage errato e che spesso coinvolgono infermieri.
Vediamo in cosa consiste la procedura e le precisazioni fornite dalla Cassazione al riguardo.
Cos’è il triage
Il triage riguarda la gestione dei pazienti che arrivano in pronto soccorso. In caso di triage errato, ciò può comportare responsabilità anche gravi in capo all’infermiere addetto. Per questo motivo, lo stesso deve essere disciplinato in maniera adeguata.
Nelle linee guida sul triage intra ospedaliero emanate dal Ministero della salute di intesa con i presidenti delle Regioni e pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 7 dicembre 2001, il triage viene definito come “lo strumento organizzativo in grado di selezionare e classificare gli utenti che si rivolgono al Pronto Soccorso in base al grado di urgenza ed alle loro condizioni”.
In sostanza, si tratta di una prima visita, sommaria, in cui al paziente viene assegnato un codice, corrispondente alla gravità del suo stato.
In genere si fa ricorso a diversi colori, anche se non si tratta di una regola inderogabile: dal 1° gennaio 2019, ad esempio, nel Lazio saranno in vigore i numeri in luogo delle colorazioni.
Il triage deve essere garantito in maniera continuativa presso tutte le strutture sanitarie che hanno più di 25mila accessi l’anno.
Essendo una procedura molto importante, al triage va assegnato un infermiere dotato di specifiche competenze, promosse attraverso un programma formativo specifico.
I requisiti minimi che deve possedere l’infermiere triagista sono:
diploma di laurea in scienze infermieristiche o titolo equipollente,
esperienza lavorativa in pronto soccorso di minimo sei mesi,
specifica formazione clinica, relazionale e sulla metodologia del triage.
Se, poi, la struttura conta più di 25mila accessi l’anno, l’infermiere addetto al triage deve dedicarsi in maniera esclusiva a tale funzione; nelle strutture più piccole, invece, il triage può essere comunque previsto ma il soggetto incaricato di gestirlo può svolgere anche altre mansioni.
Ma quali sono i rischi per il sanitario in caso di triage errato?
Spesso è accaduto che un’inadeguata classificazione dei pazienti abbia poi comportato responsabilità in capo al sanitario, con conseguenze anche gravissime.
Le sentenze
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 18100/2017, ha stabilito che l’infermiere che viola sia le linee guida del triage che le regole di comune diligenza e perizia che sono richieste a chi opera in pronto soccorso e non assegna correttamente il codice di priorità, risponde del reato di omicidio colposo per il successivo decesso del paziente.
Ciò in quanto diventa conseguente all’omessa tempestiva esecuzione di un esame diagnostico.
Dello stesso reato (sentenza numero 40036/2016 della Cassazione) risponde anche il medico del 118 che, contattato telefonicamente dalla madre di un ragazzo in preda a una crisi epilettica grave, abbia violato i protocolli di settore e non abbia proceduto al triage telefonico per sincerarsi dell’urgenza dell’intervento.
In particolare, l’omicidio colposo si configura se i mezzi di soccorso sono stati inviati in ritardo e, a causa di ciò, il paziente è deceduto.
Ancora, un’altra pronuncia degli Ermellini (Cass. n. 39838/2016) ha sancito che la procedura di triage ospedaliero è di competenza infermieristica.
Pertanto, in caso di triage errato non risponde il medico di pronto soccorso. Nell’ambito dell’obbligo di garanzia gravante su quest’ultimo rientrano, invece, l’esecuzione di alcuni accertamenti clinici.
Così come la decisione sulle cure da prestare al paziente e l’individuazione delle prestazioni specialistiche che si rendano necessarie.
Redazione NurseNews. Eu
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