Chi sono gli ‘‘outlier’‘, quelli che sopravvivono al cancro
Gli appassionati di fumetti conoscono bene quei supereroi che combattono il Male grazie a certe loro capacità soprannaturali, dettate qualche volta, anche da mutazioni genetiche. Come Spider Man che sconfigge gli avversari perché sa arrivare ovunque, arrampicandosi sui muri con mani e piedi, proprio come un ragno. O come Capitan America che difende l’umanità da infiniti pericoli, forte del suo inseparabile scudo. Oppure l’invincibile Hulk che ai nemici grida «vi spacco», quando entra in azione. Ma anche i medici, quelli che si occupano di cancro per la precisione, hanno talvolta a che fare con un’altra specie di invincibili: quei malati che, dati per spacciati secondo i canoni attuali della medicina, buttano all’aria tutti i pronostici e sopravvivono, anche pieni di metastasi, con o senza cure. Inaspettatamente. E per anni, quando, invece, gli oncologi avevano predetto loro soltanto qualche mese di vita.
La parola
Li chiamano outlier: persone che, in teoria, non dovrebbero nemmeno esistere. Scriveva già qualche anno fa Edie Littlefield Sundby in un blog sul New York Times: «Avevo un cancro alla cistifellea al quarto stadio (il peggiore). Ho subito 65 trattamenti e ho ingerito e metabolizzato almeno mezzo chilo di chemioterapici. Al primo tumore se n’è aggiunto un altro al fegato. I medici mi avevano detto di riunire la mia famiglia per annunciare che avevo meno di tre mesi di vita. Ma sono ancora viva». E questo lo diceva quattro anni dopo la diagnosi. Ecco: lei è una outlier. Partiamo dal termine. Che, come precisa Wikipedia, indica persone “diverse”, che escono dalla norma e se ne fanno un baffo delle statistiche. Ce ne sono in tutti i campi: sono i recordman negli sport, gli scienziati Premi Nobel, i “sopravvissuti” a condizioni ambientali estreme. E certi malati di tumore, appunto: sono pochi, ma esistono.
I casi
Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione per lo Sviluppo di Nuovi farmaci all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano e professore di Oncologia Medica all’Università di Milano, ne conosce almeno cinque e li segue da molto tempo. «C’è la nobildonna di Ventimiglia di oltre ottant’anni», racconta Curigliano, «che si era presentata da noi, all’Ieo con un cancro al colon e metastasi cerebrali e al fegato. Le metastasi cerebrali le sono state asportate all’Istituto Besta, sempre a Milano; noi l’abbiamo operata al colon. Il tutto è avvenuto una quindicina di anni fa e da allora non ha fatto più niente: nessuna altra terapia. E sta bene». Chi sceglie il destino degli oulier non fa distinzione di classe sociale. E nemmeno di età. O di sesso. «C’è il caso di un signore siciliano di Ragusa, di più modeste condizioni economiche, che si è ammalato di microcitoma polmonare, una delle forme più aggressive di tumore al polmone», continua Curigliano. «Anche lui aveva metastasi al surrene, al polmone e ai linfonodi. La prognosi non era certo delle migliori. È ancora vivo e ogni anno mi spedisce una cassetta di vini siciliani». Per riconoscenza. Ma qui non c’entra tanto la bravura del medico, quanto un “fattore X” ancora sconosciuto e tutto da studiare. «Miracolati che camminano», li definisce Curigliano che aggiunge: «Questi pazienti sono pochi, davvero pochi, ma esistono. Sui mille e cinquecento malati che vedo ogni anno all’Ieo, almeno uno lo intercetto». Ecco. La questione è proprio questa: chiamare a raccolta queste persone e studiarle. Capire perché escono dalla norma. E, grazie a quello che si potrà scoprire su di loro, offrire, in futuro, nuove speranze di sopravvivenza anche ha chi non ha questa loro fortuna “innata”. «Ci potrebbero essere ragioni genetiche», ipotizza Curigliano, «oppure giustificazioni legate allo stile di vita o addirittura a questioni psicologiche in grado di spiegare queste straordinarie sopravvivenze».
Le spiegazioni
Ma è sulla genetica che bisognerebbe concentrare l’attenzione, secondo l’esperto dell’Ieo. Occorrerebbe, innanzitutto, analizzare il genoma degli outlier e poi quello dei loro tumori. Che c’entri lo zampino dei geni lo hanno, appunto, ipotizzato anche i creatori dei famosi supereroi dei fumetti. Perché a volte la fantascienza anticipa le scoperte della scienza. Quindi analisi del Dna. Che, però, non sono una novità: già esiste un Cancer Genoma Atlas, promosso dal National Cancer Institute americano, che raccoglie dati sul patrimonio genetico di circa undicimila tipi di cancro. «Si tratta, però, di tumori primitivi, non metastatizzati come quelli che interessano gli outlier. Per questi ultimi bisogna ricominciare da capo» puntualizza Curigliano che ha intenzione di dare vita, in Italia, a un Registro in grado di censire tutti questi casi. I fattori ambientali o psicologici non sembrerebbero, invece, avere un peso così importante. Racconta George Fisher, il medico di Edie Littlefield Sundby, la paziente che ha raccontato la sua storia al New York Times: «Ho visto persone positive nei confronti della vita soccombere alla malattia e persone con atteggiamenti negativi verso tutto sopravvivere». Il mistero degli outlier, dunque, è tutto da risolvere. E attenzione, avverte Curigliano: gli outlier non sono da confondere con i cosiddetti “ exceptional responder” alle terapie. Gli “ exceptional responder” sono malati che reagiscono benissimo a certe terapie, inefficaci, invece, nella maggior parte degli altri casi: anche loro sopravvivono, magari per lungo tempo. E si è visto che presentano mutazioni genetiche, che hanno a che fare con la risposta immunitaria contro i tumori, in grado di spiegare il perché della straordinaria risposta alle cure. «Ma gli outlier sono tutta un’altra cosa», conclude Curigliano.
Fonte
Corriere. It