di Barbara Mangiacavalli
Presidente Federazione Nazionale Ordini delle Professioni infermieristiche (FNOPI)
Il territorio è il maggior ambiente di sviluppo dell’assistenza. Non solo per gli infermieri che ormai da tempo puntano ai servizi di prossimità, anzi, di più, a quelli addirittura domiciliari, ma anche delle stesse Regioni.
La conferma maggiore l’abbiamo avuta alla tavola rotonda durante l’XI Conferenza nazionale sulle politiche della professione infermieristica che si è svolta da poco a Firenze, dove sono state proprio le Regioni che possono considerarsi benchmark per l’organizzazione dell’assistenza e l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza – Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia, Liguria e Piemonte – a confermare che lo sviluppo dell’assistenza è sul territorio e proprio con l’infermiere di famiglia.
Le affermazioni dei direttori degli assessorati alla sanità di queste Regioni hanno confermato pienamente ciò che la Federazione dice e porta avanti ormai da anni:
l’infermiere di famiglia e di comunità è una grande sfida e rappresenta un passo necessario nonostante i problemi e i vincoli di spesa, per dare ai cittadini quel livello di servizio che ormai può crescere solo con la crescita delle professioni sanitarie;
la collaborazione tra professionisti – e la collocazione che FNOPI dà all’infermiere di famiglia è in team con il medico di medicina generale – è un’innovazione che ha avuto in alcuni territori come effetto una riduzione della mortalità per una serie di patologie croniche, dimostrando che la strada è quella giusta e che la soluzione è in nuove competenze e nuove aree da dedicare alla professione infermieristica, con un modello non più ospedalocentrico, ma indirizzato ai servizi territoriali secondo il Chronic Care Model, per il miglioramento della condizione dei malati cronici grazie a un approccio ‘proattivo’ tra personale sanitario e medicina di iniziativa;
la presa in carico del paziente fragile e la continuità assistenziale sono obiettivi che possono essere realizzati solo con un’organizzazione multidisciplinare e multiprofessionale, senza corporativismi e il mondo infermieristico ha dimostrato di avere la maggiore capacità di aprirsi all’idea di prendersi cura della persona all’interno di un processo multidisciplinare; chi lo ha realizzato ha avuto risultati eccellenti che descrivono da soli importanza e ruolo della multidisciplinarità e dell’infermiere di famiglia.
Ma c’è chi si è anche spinto oltre. Come il Piemonte ad esempio che ha sottolineato che qualcuno strumentalizza l’assistenza per creare divario tra professionisti invece che coesione e multiprofessionalità e lo fa in particolare in settori come l’emergenza, sottolineando che il modello attuale e consolidato quasi uguale in tutte le Regioni presenti all’incontro, ha dato e dà risultati tangibili e i migliori possibili dal punto di vista degli effetti positivi sui cittadini perché è un buon modello e funziona e per questo deve restare così com’è. Anzi, in Piemonte si è sviluppato anche il primary nursing negli ospedali che si fonda sull’attribuzione, dall’ingresso alla dimissione, di uno o più pazienti a un infermiere: una presa in carico analoga tra ospedale e territorio.
O anche la Liguria che il suo 29% di anziani ha affermato senza alcuna esitazione di aver bisogno di utilizzare il Chronic Care model e l’infermiere di famiglia è una delle direzioni verso cui andare per realizzare e rendere davvero efficace il nuovo modello.
Il messaggio quindi è chiaro: i percorsi vanno disegnati insieme. Bisogna costruire processi, modelli, percorsi e progettazioni e chi si occupa di formazione deve dare un continuum a tutti i professionisti, perché management (più o meno complesso) e clinica (anche con le specializzazioni infermieristiche), non siano disgiunti e perché il percorso sia aderente al panorama epidemiologico e di salute in cui oggi e nei prossimi anni ci troviamo e ci troveremo.
Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave. Nel 2030, potrebbero arrivare a 4 milioni e mezzo gli ultra 65enni che vivranno da soli, e di questi, 1 milione e 200mila avrà più di 85 anni.
Il potenziamento dell’assistenza domiciliare e della residenzialità fondata sulla rete territoriale di presidi sociosanitari e socioassistenziali, oggi ancora privilegio per pochi con forti disomogeneità a livello regionale, non è più procrastinabile anche in funzione di equilibri sociali destinati a scomparire, con la progressiva riduzione di persone giovani all’interno dei nuclei familiari.
Se oggi ci sono 35 anziani ogni 100 persone in età lavorativa, nel 2050 ce ne saranno quasi il doppio: 63.
L’obiettivo è mantenere, e migliorare nel tempo, l’equilibrio e lo stato di salute della famiglia, nella comunità, aiutandola a evitare o gestire le minacce alla salute. Oggetto dell’assistenza dell’Infermiere di famiglia è l’intera comunità, di cui la famiglia rappresenta l’unità di base. In tal senso l’infermiere di famiglia svolge il suo ruolo nel contesto comunitario di cui fanno parte la rete dei servizi sanitari e sociosanitari, le scuole, le associazioni e i vari punti di aggregazione.
Quindi un infermiere che lavori in équipe col medico, un infermiere “di famiglia” accanto e a fianco del medico di famiglia, vere e proprie “micro-équipe” sul territorio che siano davvero a fianco del paziente, senza soluzioni pericolose e che dia a ciascuno il suo ruolo nel rispetto delle singole professionalità.
L’infermiere di famiglia può gestire i processi infermieristici in ambito familiare e di comunità di riferimento e opera in collaborazione con il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta, il medico di comunità e l’équipe multiprofessionale per aiutare individuo e famiglie a trovare le soluzioni ai loro bisogni di salute e a gestire le malattie croniche e le disabilità.
Si tratta di un professionista che svolge il proprio ruolo nella comunità in maniera reattiva e/o proattiva, in rete con tutti i servizi sociosanitari già offerti e le Regioni lo hanno compreso.
Ora spetta alla politica la mossa successiva, quella che consentirà di allargare su tutto il territorio, strutturandola, questa innovazione che rappresenta anche uno dei possibili ambiti di specializzazione degli infermieri a cui la professione deve puntare e sta puntando.
In più, la nuova figura rientra nella garanzia, valorizzazione e sviluppo delle competenze professionali, tenendo conto dei livelli della formazione acquisita, in coerenza con quanto previsto nei Contratti collettivi nazionali di settore.
E la Federazione sta portando avanti il progetto. Da un lato promuovendo e stimolando disegni di legge ad hoc, dall’altro facendo in modo che l’infermiere di famiglia e di comunità diventi una figura attiva del nuovo Patto per la salute.
FNOPI