Gli studi pubblicati negli anni 80-90 dimostravano che l’ambiente inanimato in ospedale non rappresentava un pericolo per la trasmissione delle infezioni.
Nel più “classico” dei testi italiani sulle “infezioni ospedaliere” [1] così si descriveva il fenomeno:
Il rischio infettivo che deriva al paziente e al personale dalle superfici ambientali è limitato: generalmente è l’uomo a contaminare l’ambiente e non viceversa. É opinione ormai consolidata, perciò che sia sufficiente e opportuno trattare le superfici solo con interventi di detersione opportunamente programmati e correttamente attuati. Fatta eccezione alcune situazioni per la quale sono espressamente indicati interventi di disinfezione.
Diverse autorevoli pubblicazioni supportavano questa ipotesi:
Una delle più conosciute è quella di Maki et al [2] che in occasione del trasferimento di un vecchio ospedale in una nuova struttura, costruita secondo criteri che limitavano la trasmissione delle infezioni, rilevava che la frequenza delle infezioni era la stessa dopo 2 mesi dall’apertura del nuovo ospedale, e dopo 1 anno era aumentata.
Daschner [3] dimostrava che, 10 anni dopo il trasferimento di una Terapia intensiva in una nuova struttura, l’incidenza delle infezioni non si era modificata.
Weinstein [4] stimava che la fonte di trasmissione delle infezioni correlate all’assistenza in una Terapia intensiva, legata alla contaminazione microbi ambientale, facesse parte di un gruppo residuale di altre fonti sopratutto esogene (es. igiene delle mani) che stimava essere di circa il 20%.
Negli ultimi 10 anni sono state raggiunte sostanziali evidenze scientifiche che dimostrano che la contaminazione delle superfici intorno all’unità di degenza svolge un ruolo importante nella trasmissioni di microrganismi quali: Staphylococcus aureus (MRSA), Enterococchi resistente alla vancomicina (VRE), Clostridium difficile, Acinetobacter e Noravirus [5,6].
Si modifica la consapevolezza che l’ambiente intorno al paziente non favoriva la sopravvivenza dei microrganismi [7] attraverso una revisione di articoli pubblicati fino al dicembre 2005 riportano i range di sopravvivenza dei principali microrganismi che costituiscono la causa delle infezioni nosocomiali (tabella 1).
Tipo di batteri Sopravvivenza dei batteri
Acinetobacter spp. 3 giorni – 5 mesi
Clostridium difficile 5 mesi
Escherichia coli 1,5 ore – 16 mesi
Enterococcus spp. compresi VRE e VSE 5 giorni – 4 mesi
Klebsiella spp. 2 ore > 30 mesi
Listeria spp. 1 giorno – mesi
Mycobacterium tubercolosis 1 giorno – 4 mesi
Pseudomonas aeruginosa 6 ore – 16 mesi / su pavimenti asciutti 5 settimane
Salmonella spp. 1 giorno
Serratia marcescens 3 giorni – 2 mesi / su pavimenti asciutti 5 settimane
Shigella spp. 2 giorni – 5 mesi
Staphylococcus aureus compreso MRSA 7 giorni – 7 mesi
Spreptococcus pneumoniae 1-20 giorni
Streptococcus pyogenes 3 giorni – 6,5 mesi
Sopravvivenza dei microrganismi nelle superfici inanimate (adattato da Kramer et al)
Carling PC e Bartley in un articolo del 2010 rivedono una serie di pubblicazioni che dimostrato quanto le superfici intorno al paziente fossero sanificate in maniera insufficiente rispetto alle indicazione delle procedure e protocolli aziendali e ulteriori ricerche che dimostravano l’aumentato rischio di trasmissione dei microrganismi con multiresitenza antibiotica in pazienti che soggiornano in letti precedentemente occupati da pazienti con multi resistenza [8]. In particolare per 8 studi si dimostrava che il rischio di contrarre lo stesso patogeno (MRSA, VRE, Clostridium difficile e Acinetobacter Baumannii) aumentava del 73% nei pazienti che occupavano un’unità di degenza precedentemente occupata da una paziente colonizzato/infetto per lo stesso microrganismo. Per altri 8 studi si dimostrava che dall’osservazione diretta o con gel fluorescente solo il 40% delle superfici intorno al paziente venivano sanificate secondo le procedure concordate. Sempre in questo contesto 11 studi dimostravano che la sanificazione ambientale poteva essere migliorata in media fino all’82% con una riduzione del 68% del rischio di contaminazione da queste microrganismi su gli oggetti ad alto rischio. Infine 5 studi dimostravano che il miglioramento della sanificazione di routine era associato ad una diminuzione del 40% della trasmissione di VRE, MRSA e A. Baumannii.
Sempre in rifermento alla qualità delle pulizie Weber e Rutala [9] riportano che diversi studi hanno dimostrato che meno del 50% delle superfici dell’unità di degenza del paziente sono adeguatamente pulite e disinfettate quando è utilizzato un disinfettante chimico. Allo stesso modo è dimostrata anche un’inadeguata pulizia delle apparecchiature elettromedicali dello staff infermieristico. In questo articolo si ribadisce che solo una maggior formazione del personale, l’utilizzo di checklist di controllo e metodi di misure dalle pulizie (es. utilizzo del gel fluorescente) avendo un feedback immediato per il personale dei servizi ambientali ha migliorato la qualità delle pulizie e ha portato ad una riduzione delle infezioni associate all’assistenza sanitaria.
Sempre Carling [10] riporta in maniera sintetica una tabella le recenti evidenze scientifiche che avvalorano l’importanza della contaminazione ambientale dei microrganismi nella trasmissione delle infezioni (tabella 2).
I patogeni nosocomiali sopravvivono bene su superfici asciutte
Le superfici ambientali sono spesso contaminate da agenti patogeni nosocomiali, singoli oggetti (es. telefoni senza una chiara definizione di chi compete la pulizia) devono essere inclusi nella valutazione di un’adeguata pulizia
La contaminazione dei pazienti colonizzati può essere simile a quella dei pazienti infetti
La camera precedentemente occupata da una paziente con multi-resistenza antibiotica aumenta il rischio di trasmissione al paziente che successivamente occupa lo stesso letto
Molte superfici non vengono pulite secondo quando indicato dai protocolli
Una pulizia più accurata riduce la contaminazione ambientale
La sanificazione seguita dalla disinfezione riduce l’acquisizione di microrganismi patogeni
Superfici ambientali contaminano frequentemente le mani del personale sanitario e i ceppi dei patogeni ambientali sono stati collegati a epidemie
Tabella 2 – Recenti evidenze che avvalorano l’importanza della contaminazione microbica ambientale nella trasmissione delle infezioni
Il CDC di Atlanta, nel 2010, pone il problema di effettuare un monitoraggio della qualità delle pulizie per migliorare la qualità dell’ambiente individuando 2 possibili livelli di controllo, e affronta una riflessione critica sui sistemi di monitoraggio oggettivo [11], lo stesso tipo di riflessione che troviamo nel precedente e citato articolo di Carling [8].
Possiamo affermare che è ormai consolidata da importanti evidenze scientifiche la consapevolezza che l’ambiente intorno al paziente è contaminato da microrganismi e che questi, soprattutto in rifermento ai principali microrganismi nosocomiali, possono essere trasmessi attraverso questa via da contatto indiretto.
A questo si associano condizioni organizzative e di pratica clinica che favoriscono la trasmissione attraverso questa forma indiretta perche determinano:
aumento dello spazio inanimato intorno al paziente, favorito da un maggior utilizzo dei dispositivi elettromedicali e medicali;
aumento degli interventi “invasivi” in pazienti più suscettibili alle infezioni quali: immunodepressione indotta dalla somministrazione di farmaci e/o da trattamenti radioterapici, età avanzata, prematurità e aumento delle multi-resistenze antibiotiche.
La trasmissione indiretta da contatto viene ulteriormente favorita da ultriori fenomeni organizzativi quali il numero insufficiente di operatori (understaffing) e/o l’attività in ambienti sovraffollati (overcrowding), che limitano l’adesione all’igiene delle mani, incrementando la contaminazione indiretta dell’ambiente.
Lo stesso Kramer nell’articolo citato [7] descrive graficamente come l’adesione all’igiene delle mani al di sotto del 50% incrementi la trasmissione indirettadelle infezioni.
Anche Otter [12] riporta graficamente il ruolo svolto dalle mani nella trasmissione indiretta delle infezioni.
Condizione organizzativa non secondaria è infine quella di esternalizzazione il servizio di sanificazione, soprattutto se questo viene realizzato con criteri e strumenti che non garantiscono l’efficienza del risultato.
Riassumendo quando fin qui descritto:
l’aumento dello spazio inanimato intorno al paziente
le procedure invasive su soggetti suscettibili alle infezioni
la scarsa adesione alla buona pratica dell’igiene delle mani
l’insufficiente adesione del personale delle pulizie agli standard definiti dai protocolli
devono ulteriormente farci riflettere su 2 aspetti:
quali le sono le superfici critiche che necessitano di una sanificazione capace di interrompere la trasmissione indiretta?
come sanificare queste superfici in maniera efficace?
come controllare il processo e l’esito degli interventi di sanificazione?
Una duplice e interessante chiave di lettura ce la offrono le linee guida della Regione canadese dell’Ontario [13].
La prima chiave di lettura è quella di identificare le superfici definite high-touch surface ovvero quelle superfici che vengono frequentemente “toccate” dalle mani degli operatori e dei pazienti e che rappresentano “le superfici” più frequentemente contaminate da microrganismi.
La linea guida sottolinea come queste superfici possano ospitare microrganismi potenzialmente patogeni ed evidenzia come in letteratura sono stati riportati esempi di contaminazione dai microrganismi (tabella 3).
Telaio del letto (1 articolo)
Biancheria del letto (1 articolo)
Padella/lava-padelle (1 articolo)
Sponda letto
Comodino
Cuffia misurazione della pressione (2 articoli)
Campanello (2 articoli)
Sedie (2 articoli)
Guanti puliti che hanno toccato solo le superfici della stanza (1 articolo)
Keyboard computer (3 articoli)
Divano (1 articolo) Maniglia porta (6 articoli)
Termometro elettrico (2 articoli)
Apri-rubinetto (1 articolo)
Pavimento intorno al letto (1 articolo)
Macchine emodialisi (1 articolo)
Attrezzatura idroterapia (1 articolo)
Attrezzatura infusione (2 articoli)
Interruttore luce (2 articoli)
Tavolo paziente (1 articolo)
Bagno paziente (1 articolo)
Sollevatore (1 articolo)
Penna (1 articolo)
Laccio emostatico Cuscino/materasso (3 articoli)
Lavandino (1 articolo)
Stetoscopio (1 articolo)
Attrezzature per rianimazione (1 articolo)
Tavoli da lavoro operatori (1 articolo)
Telefono/cellulare (4 articoli)
Materassini antidecubito (3 articoli)
Toilette/comode (3 articoli)
Tourniquet (1 articolo)
Ventilatori (1 articolo)
Tabella 3 – Esempi di studi che hanno dimostrato come oggetti e superfici ambientali possono ospitare microrganismi come MRSA, VRE, A. Baumannii, RSV, influenza virus e altro e numero di articoli correlati
Per meglio comprendere quali siano le high-touch surface vengono riportate visivamente delle immagini, evidenziando con dei puntini rossi le zone contaminate.
puntini a
puntini b accorgi
La seconda chiave di lettura è un criterio poco valorizzato nelle scelte che portano all’acquisto di arredi, presidi e dispositivi medici ovvero: criticità e vantaggi rispetto alle modalità di sanificazione, disinfezione e sterilizzazione al fine di evitare che quell’acquisto diventi successivamente un serbatoio di microrganismi potenzialmente patogeni. I canadesi, nelle loro linee guida, sottolineano un chiaro criterio:ciò che non può essere pulito non deve essere acquistato!
Come migliorare la qualità delle pulizie per ridurre la possibile trasmissione indiretta?
É evidente che il tema della riduzione della trasmissione da contatto indiretto sia complesso e, in parte, ancora da approfondire.
Vale la pena riflettere sul alcune soluzioni che permettano sicuramente di migliore la qualità della sanificazione nelle strutture sanitarie, e quindi determinare una riduzione della trasmissione da contatto indiretta.
I processi di sanificazione degli ambienti hanno procedure e protocolli definiti per area di rischio (basso, medio e alto rischio) ma tutto questo non garantisce, come abbiamo visto, uno standard di qualità perché sussiste “una scarsa” applicazione del processo da parte degli operatori delle pulizie.
Per questo la nostra attenzione deve focalizzarsi sulla formazione e sui controlli di processo e di risultato, che devono essere identificati a più livelli, e dove devono essere chiaramente definite le responsabilità, in particolare da parte del personale che riceve il servizio di pulizie e della Direzione, che ha la responsabilità della qualità igienica delle strutture dove vengono erogate le prestazioni.
In Italia, per questo tipo di controllo, vengono applicate le norme di riferimento per i sistemi di pulizie:
UNI EN 13549: 2003 “Servizi di pulizia – Requisiti di base e raccomandazioni per i sistemi di misurazione della qualità”
e un sistema per il controllo a “campione“ degli ambienti:
UNI ISO 2859-1: 2007 Procedimenti di campionamento nell’ispezione per attributi – Parte 1: Schemi di campionamento indicizzati secondo il limite di qualità accettabile (AQL) nelle ispezioni lotto per lotto
UNI ISO 2859-2: 1993 Procedimenti di campionamento nel collaudo per attributi. Piani di campionamento indicizzati secondo la qualità limite (QL) per il collaudo di un lotto isolato.
Le prime norme fanno riferimento a un generico servizio di pulizie, senza indicare in maniera specifica l’ambiente ospedaliero, e questo è da sempre e da autorevoli professionisti ritenuto un limite.
L’Associazione nazionale Medici di Direzione sanitaria (ANMDO) ha lavorato per costruire uno standard di sanificazione e un sistema di certificazione volontaria che ha dettagliato nelle Linee guida per l’accreditamento volontario dei fornitori di servizi di pulizia e sanificazione ospedaliera. Queste indicazioni possono rappresentare un importante passo in avanti per un sistema che migliori l’adesione ai protocolli di sanificazione. L’ANMDO ha poi lavorato sulle modalità di controllo oggettivo delle pulizie con l’utilizzo dell’ATP e definito un range di conformità e non conformità .
Sicuramente, oltre a garantire che gli operatori delle pulizie aderiscano al protocollo, è necessario che abbiano a disposizione strumenti che migliorano le pulizie ed evitino e le cross-contamination. Ogni metodica di pulizie utilizza un sistema che è comprensivo di più strumenti (es. carrello, detergente, disinfettante, pannetti, scope ecc.). Tali sistemi sono riutilizzabili (es. i pannetti che vengono sanificati dopo l’utilizzo) e i disinfettanti sono concentrati e devono essere diluiti. É necessario fare un’analisi dei momenti critici di ricondizionamento del sistema per evitare le cross-contamination e prevedere un controllo di processo e di risultato (es. risultato microbiologico del pannetto sanificato).
In questi anni sicuramente si è molto indagato sulla capacità di asportazione meccanica dello sporco e dei microrganismi. L’utilizzo della microfibra nei processi di sanificazione ha rivoluzionato la qualità delle pulizie ed è bene soffermarsi sulle su caratteristiche principali.
La microfibra sta dando risposte ai bisogni di pulizie delle superfici high-touch, ma anche agli aspetti ambientali e di riduzione dei rischi per i lavoratori, perché il suo utilizzo riduce il consumo di sostanze chimiche.
A differenza dei panni tradizionali, che agiscono come veicolo di trasporto dei detergenti chimici, la microfibra, e oggi i panni in ultra-microfibra, esercitano un’azione meccanica sulle molecole dello sporco, imprigionandole tra le fibre con l’aiuto dell’acqua.
La microfibra è un derivato sintetico ottenuto dal frazionamento di poliestere (PES), poliammide (PA) e polipropilene (PP) che danno vita a una fibra che è 1.000 volte più sottile di un capello. Le caratteristiche principali sono la capillarità, l’elettrostaticità e il mancato rilascio di particelle.
La capillarità è l’interazione tra le molecole di un liquido e un solido sulla loro superficie di separazione (le forze in gioco sono coesione, adesione e tensione superficiale). In parole semplici l’acqua, per effetto della capillarità, risale su di un capillare (tubicino cavo), tanto più se questo è sottile, portando con sé lo sporco. L’elettrostaticità si ottiene dallo strofinamento del tessuto sintetico su una superficie non conduttrice, carica elettricamente le fibre facilitando la cattura della polvere. La microfibra possiede la particolarità di non rilasciare particelle durante il suo utilizzo e per questo motivo risulta molto efficace anche nella disinfezione delle superfici di locali, quali gli ospedali, in cui l’aerocontaminazione deve essere combattuta. Evoluzione della microfibra è l’ultra-microfibra.
fig 3 accorgi
La letteratura scientifica conferma questa capacità rispetto agli interventi di sanificazione ambientale in rapporto ai principali sistemi riutilizzabili e monouso.
Rutala e Gergen et al [14] hanno studiato l’efficacia di stracci in microfibra per ridurre i livelli microbici sui pavimenti, confrontando l’efficacia di stracci in microfibra con quella dei tradizionali mop a strisce di cotone in 3 condizioni di prova:
Mop a strisce di cotone e secchio con strizzatore
Mop a strisce di microfibra e secchio con strizzatore
Sistema microfibra
Ventiquattro camere sono state misurate per ogni condizione di test utilizzando piastre RODAC contenenti D/E di neutralizzazione agar sono stati usati per valutare pre e post pulizia e livelli microbici. Il sistema di microfibra ha dimostrato rimozione microbica superiore rispetto ai Mop a strisce di cotone quando utilizzato con un detergente (95% vs 68% rispettivamente).L’impiego di un disinfettante non migliora l’eliminazione microbica dimostrata dal sistema microfibra (95% vs 95% rispettivamente). Tuttavia, l’uso di disinfettanti migliora in modo significativo la rimozione microbica quando è stato utilizzato uno straccio di cotone (95% vs 68% rispettivamente). Il sistema di microfibra ha dimostrato rimozione microbica superiore rispetto ai Mop a strisce di cotone quando utilizzato con un detergente.L’uso di un disinfettante non ha migliorato l’eliminazione microbica dimostrata dal sistema microfibra.La scelta del sistema a microfibra comporta la necessità di avere dei pannetti che devono essere ricondizionati dopo il loro utilizzo, ovvero sanificati . Lo studio di Diab-Elschahawi M [15] ha valutato la capacità di decontaminazione di 4 diversi tipi di panni per la pulizia (panno in microfibra, panno di cotone, panno spugna e carta usa e getta) comunemente utilizzati in ospedale nella loro capacità di ridurre cariche microbiche da una superficie utilizzata sia a secco che a umido dopo il ricondizionamento. Tutti i panni, eccetto gli asciugamani di carta monouso, sono stati comparati dopo 10 e 20 volte di ritrattamento, rispettivamente a 90°C per 5 minuti in lavatrice. Sono stati utilizzati organismi di prova gli Staphylococcus aureus (ATCC 6538) e Escherichia coli (ATCC 8739) aggiunti al terreno di prova (6% albumina sierica bovina e 0,6% eritrociti di pecora) ottenendo una concentrazione controllata di 5 x 10 UFC/ml nella sospensione di prova finale su piastrelle standardizzate di misura 5 x 5 cm utilizzate come superficie di prova. I risultati hanno dimostrato che i panni in microfibra migliorano i risultati quando vengono utilizzati dopo il ricondizionamento. Tuttavia, dopo il ritrattamento multiplo, i panni di cotone hanno mostrato la migliore efficacia complessiva. In conclusione, si suggerisce che la scelta dei programmi di utilità per la pulizia dovrebbe essere basata sulla loro efficacia di decontaminazione dopo diversi ricondizionamenti e si raccomanda l’istituzione di rigorosi e ben definiti i protocolli di ricondizionamento.In un ulteriore studio [16] si è cercato di confrontare 10 diversi panni in microfibra per eliminare la contaminazione microbica da 3 superfici che si trovano comunemente in ambito ospedaliero (acciaio inox, mobili in laminato e piastrelle di ceramica), in condizioni controllate di laboratorio. I test sono stati condotti utilizzando organismi noti per causare infezioni nosocomiali, vale a dire Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA), Clostridium difficile (in forma di spore) ed Escherichia coli. Per tutti i tessuti esaminati non vi sono state significative prove statistiche che suggeriscono una differenza di prestazioni tra loro. Tuttavia, il rendimento complessivo dei 9 panni riutilizzabili non differiva in pratica, con differenze di riduzioni log₁₀ di <1. Le prestazioni del panno in microfibra monouso erano notevolmente peggiori.Le prestazioni di tutti i panni diminuivano con l’uso ripetuto su una successione di superfici contaminate, miglioravano dopo 75 lavaggi e si riducevano dopo 150 lavaggi anche se, nella maggior parte dei casi, le prestazioni dopo 150 lavaggi erano migliori che in un primo lavaggio. Per tutti i panni il prezzo non era un’indicazione della performance. Sulla base di questi risultati di laboratorio si conclude che l’uso dei panni in microfibra indagati è un modo efficace per ridurre i livelli di MRSA, Escherichia coli e C. difficile (in forma di spore) su una serie di superfici presenti nell’ambiente clinico, e potrebbe quindi essere di beneficio per questi ambienti. Questo aspetto non deve essere mai sottovalutato quando si utilizzando sistemi di sanificazione in microfibra, attualmente l’utilizzo del panno monouso è meno efficace per la sanificazione delle superfici rispetto ai panni riutilizzabili, ma il sistema di ricondizionamento deve essere certificato e controllato, per quanto riguarda il processo e il risultato. Alcune aziende in Italia hanno applicato ai pannetti riutilizzabili il sistema di controllo utilizzato nelle lavanderie industriali, che fa rifermento alla seguenti norme tecniche:
Norma UNI EN 14065:2004 “Tessili trattati in lavanderia – Sistema di controllo della biocontaminazione
Linee Guida RABC per l’applicazione dei requisiti previsti dalla norma UNI EN 14065:2004.
Altro elemento importante da non sottovalutare è il conteggio dei cicli del pannetto in microfibra, visto che il produttore certifica uno standard di prestazione fino ad un numero di cicli definito.
L’azione meccanica della microfibra deve essere associata in alcuni ambienti e superfici alla disinfezione
Nella scelta di un disinfettante le regole dipendono essenzialmente da questi 3 fattori:
la natura del substrato da trattare
la classificazione del 1968 di Spaulding per individuare il livello di disinfezione
il livello di disinfezione e di attività dei disinfettanti
Tutti questi aspetti valutano la molecola disinfettante e la superficie da trattare, mentre in realtà la maggior parte delle molecole di disinfettante si trovano all’interno di un “prodotto disinfettante”, ovvero un insieme di più prodotti chimici (es. associazione di 2 disinfettanti, associazione di 1 disinfettante e detergente, associazione di 1 disinfettante e anticorrosivo) per questo motivo la valutazione nella scelta di un disinfettante deve tener conto di questi aspetti. Tali aspetti non sono, apparentemente, di facile valutazione in quanto il prodotto disinfettante è il risultato della ricerca dell’azienda produttrice. Le norme tecniche europee hanno permesso di definire uno standard di valutazione dei prodotti disinfettanti, indipendentemente dalla modalità di composizione dalla composizione del prodotto. La norma generale di riferimento è la UNI EN ISO 14885 Antisettici e disinfettanti chimici – Applicazione delle Norme europee relative ad antisettici e disinfettanti chimici, che nella sua introduzione indica:
La presente Norma europea specifica i metodi di laboratorio da utilizzare per provare l’attività dei prodotti (disinfettanti chimici, antisettici, comprese le sostanze attive) allo scopo di dimostrare le loro dichiarazioni di efficacia relative alle proprietà specifiche adattate all’applicazione prevista. Non è destinata a rappresentare le linee direttrici per una politica di disinfezione, cioè per la scelta e la valutazione dei prodotti pertinenti a situazioni particolari.
Ha lo scopo:
di permettere ai fabbricanti dei prodotti di selezionare le norme da utilizzare per ottenere dei dati delle loro dichiarazioni per un prodotto specifico
di permettere agli utilizzatori del prodotto di valutare l’informazione fornita dal fabbricante in funzione dell’impiego previsto per il prodotto
di aiutare gli organismi competenti a valutare le dichiarazioni del fabbricante o della persona responsabile dell’immissione nel mercato del prodotto
in relazione all’applicabilità dei prodotti destinati a essere impiegati nei settori della Medicina umana, Veterinaria e nei settori alimentare, industriale, domestico e professionale.
Le prove che vengono effettuate sono le seguenti:
Prove di fase 1: sono prove in sospensione quantitativa che permettono di stabilire che un prodotto ha un’attività battericida, fungicida o sporicida, qualsiasi siano le condizioni specifiche d’impiego previste.
Prove di fase 2 sono di 2 tipi:
prove di fase 2, tappa 1 sono prove in sospensione quantitative, che permettono di stabilire che un prodotto ha un’attività battericida, fungicida, micobattericida, sporicida o virucida che simula delle condizioni pratiche corrispondenti all’utilizzo previsto
prove di fase 2, tappa 2 sono altre prove di laboratorio quantitative, che simulano le condizioni pratiche, ad esempio delle prove su superfici degli strumenti, delle prove di lavaggio delle mani e di frizione delle mani, allo scopo di stabilire che un prodotto ha un’attività battericida, fungicida, micobattericida, sporicida o virucida
prove di fase 3: sono prove sul campo in condizioni pratiche. Non si dispone attualmente di una metodologia validata per questo tipo di prove. Nell’attesa dell’elaborazione di norme, è l’autorità regolamentare che ha la responsabilità di determinare l’accettabilità dei dati ottenuti a fronte delle prove sul campo, in sostegno delle dichiarazioni relative a un prodotto.Tali prove vengono effettuate utilizzando microrganismi definiti che variano in base all’utilizzo e i tempi di riduzione logaritmica dei microrganismi:
settore medico
settore veterinario
settore alimentare, industriale, domestico e professionale
sostanze attive
La norma UNI EN ISO 14885 Antisettici e disinfettanti chimici è una norma generale per la cui applicazione è necessario fare riferimento alle norme tecniche specifiche quali:
Norme di base:
EN 1040, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività battericida di base degli antisettici e disinfettanti chimici – Metodi di prova e prescrizioni (fase 1)
EN 1275, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività fungicida di base di antisettici e disinfettanti chimici – Metodi di prova e prescrizioni (fase 1)
EN 14476, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa di virucidia in sospensione per antisettici e disinfettanti chimici utilizzati nella medicina umana – Metodi di prova e prescrizioni
EN 14347, antisettici e disinfettanti chimici – Attività sporicida di base – metodi di prova e prescrizioni.
Norme di applicazione specifica in campo sanitario:
EN 13624, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività fungicida di disinfettanti chimici impiegati per gli strumenti in medicina – Metodi di prova ed esigenze (fase 2, tappa 1)
EN 13727, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività battericida di disinfettanti chimici per gli strumenti utilizzati in medicina – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 1)
EN 14348, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività micobattericida di disinfettanti chimici utilizzati nella medicina umana, incluso i disinfettanti per strumenti – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 1)
EN 14476, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa di virucidia in sospensione per antisettici e disinfettanti chimici utilizzati nella medicina umana – metodi di prova e prescrizioni
EN 1499, antisettici e disinfettanti chimici – Lavaggio igienico delle mani – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 2)
EN 1500, antisettici e disinfettanti chimici – Trattamento igienico delle mani per frizione – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 2)
EN 12054, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività battericida dei prodotti per il trattamento igienico per frizione per il lavaggio igienico e chirurgico delle mani – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 1)
EN 12791, antisettici e disinfettanti chimici – Disinfettanti chirurgici per le mani – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 2)
EN 14561, disinfettanti e antisettici chimici – Prova quantitativa del porta-germi per la valutazione dell’attività battericida su strumenti utilizzati nella medicina umana – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 2)
EN 14562, disinfettanti e antisettici chimici – Prova quantitativa del porta-germi per la valutazione dell’attività fungicida su strumenti utilizzati nella medicina umana – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 2)
EN 14563, disinfettanti e antisettici chimici – Prova quantitativa del porta-germi per la valutazione dell’attività micobattericida o tubercolicida di disinfettanti chimici utilizzati per strumenti nella medicina umana – metodi di prova e prescrizioni.
Norme applicate per il settore alimentare, industriale, domestico e professionale:
EN 1276, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività battericida di antisettici e disinfettanti chimici utilizzati nei settori agro-alimentare, dell’industria, domiciliare e delle collettività – metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 1)
EN 1650, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività fungicida di antisettici e disinfettanti chimici impiegati nel settore agro-alimentare, dell’industria, domestico e delle collettività (fase 2, tappa 1)
EN 1656, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività battericida di antisettici e disinfettanti chimici impiegati nel settore veterinario – Metodi di prova e prescrizioni (fase 2, tappa 1)
EN 13610, disinfettanti chimici – Prova quantitativa in sospensione per la valutazione dell’attività virucida contro i batteriofagi dei disinfettanti chimici utilizzati nei settori agroalimentare e dell’industria
EN 13697, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa su superficie non porosa per la valutazione dell’attività battericida e/o fungicida di disinfettanti chimici utilizzati nei settori, agro-alimentare, industriale, domestico e delle collettività – Metodi di prova senza azione meccanica e prescrizioni (fase 2, tappa 2)
EN 13704, antisettici e disinfettanti chimici – Prova quantitativa su superficie non porosa per la valutazione dell’attività battericida e/o fungicida di disinfettanti chimici utilizzati nel settore agro-alimentare, industriale, domestico e delle collettività – Metodo di prova senza azione meccanica e prescrizioni (fase 2, tappa 2).
Un ulteriore aspetto critico riguarda la capacità di ridurre la contaminazione di alcune superfici, ad esempio gli elettromedicali, per la difficoltà di accedere a tutte le loro superfici e i rischi correlati all’utilizzo di pannetti inumiditi.
Per questi aspetti vale la pena riflettere sui sistemi di sanificazione no-touch, ovvero su quei sistemi che effettuano la disinfezione in maniera automatica, senza l’intervento di nessun operatore, soprattutto nelle pulizie terminali alla dimissione del paziente. I sistemi utilizzati sono:
1. vapore d’acqua
2. perossido di idrogeno vapore/aerosol
3. sistema a emissione di raggi UV.
Attualmente la letteratura ha dimostrato limiti e vantaggi di questi sistemi rispetto all’obiettivo della riduzione della contaminazione delle superfici, sempre comunque dopo trattamento con pulizia touch, ovvero mediante l’utilizzo di un operatore e un sistema di sanificazione. Il limite principale di questo sistema è legato al tempo necessario perché sia efficace, che è di almeno 60 minuti dopo il termine delle pulizie touch. Nelle nostre organizzazioni sanitarie, dove è esiste un rapido turnover di posti letto, appare difficile applicare questa metodica.
Un elemento critico nella riduzione della contaminazione delle superfici è definire gli elementi (es. elettromedicali, tastiere di computer, telefoni, saturimetri ecc.) per i quali non è prevista la sanificazione da parte del servizio di sanificazione. Per tutti questi è necessario definire protocolli specifici che identifichino le modalità di ricondizionamento e i responsabili del processo, per evitare che diventino serbatoio di microrganismi.
L’ultima considerazione riguarda la qualità del materiale da sanificare; le linee guida canadesi affermano che ciò che non si può pulire non va acquistato. Questo è un aspetto da non sottovalutare: occorre prevedere, nel processo di acquisto dei prodotti, un sistema di valutazione delle modalità di ricondizionamento in base alle politiche aziendali e alle modalità di pulizie e sanificazione.
Gli inglesi da tempo si sono posti questo problema, soprattutto per i principali arredi presenti in ospedale.
Nell’agosto 2008, nell’ambito del programmi di innovazione, il Department of Health e la NHS Purchasing and Supply Agency hanno avviato il progetto Design bugs out (http://www.designcouncil.org.uk/resources/case-study/design-bugs-out).Lo scopo era portare progettisti e costruttori insieme a specialisti clinici, pazienti e personale a contrastare il rischio infettivo, rendendo gli arredi e le attrezzature ospedaliere più facili e veloci da pulire. Il Design Council ha intrapreso un ricerca dei contesti clinici per individuare le aree che potevano trarre beneficio da una nuova progettazione. Sono state identificate 51 opportunità di design, valutate da un gruppo di esperti di riferimento. Nel settembre 2009 sono stati realizzati 11 pezzi di arredo e di attrezzature (Design Bugs Out – Product Evaluation ReportThe Healthcare Associated Infection Technology Innovation Programme The Healthcare Associated Infection Technology Innovation Programme).
La definizione di sistema di monitoraggio appare oggi più che mai necessaria, anche al fine di rendere evidente la qualità delle pulizie e determinare un processo di miglioramento continuo. Attualmente la letteratura internazionale ha analizzato 5 sistemi di monitoraggio quali:
1. osservazione diretta
2. colture delle superfici con tamponi
3. colture delle superfici con piastre da contatto
4. sistema ATP
5. sistema con gel fluorescente.
Quasi tutti gli studi analizzano i sistemi con l’obiettivo di rendere evidente agli operatori delle pulizie l’esito del loro interventi dopo la fine delle procedure di sanificazione, ritenendo questo un metodo efficace per migliore la qualità delle pulizie.
Osservazione diretta – Il monitoraggio del processo di sanificazione permette di valutare le performance individuali del personale rispetto all’adesione agli standard definiti dai protocolli. Tale valutazione avviene utilizzando una checklist di controllo, secondo quando indicato delle norme UNI ISO 2859. La valutazione delle pulizie, se non è correlata ad un controllo microbiologico, può essere una misura fuorviante delle pulizie [17,18]. Questo approccio è stato utilizzato per valutare e migliorare l’igiene ambientale in un caso di trasmissione di VRE in un ospedale [19]. Nello studio, personale addestrato ha osservato la sanificazione quotidiana di 8 oggetti ad alto rischio di contaminazione, per la durata di 2 mesi. Il monitoraggio successivo, dopo interventi educativi, a un feedback immediato ha migliorato la qualità della sanificazione ambientale (dal 48% all’87%) e diminuito la trasmissione dei VRE. Tale pratica di monitoraggio, anche se efficace, richiede un impiego di tempo e personale che ne limita l’utilizzo.
Colture di superfici – Permettono di fare colture microbiologiche qualitative e quantitative. Vengono utilizzati tamponi (con o senza arricchimento) e piastre da contatto.
Colture di superfici con tamponi – Come per l’osservazione diretta, questa pratica è stata utilizzata nei casi di focolai epidemici ed è stata associata a una diminuzione della contaminazione ambientale a seguito della modifica del processo di sanificazione.
Nessun report ha specificato se risultati di colturali seriali sono state utilizzate per fornire un feedback per il personale. Benché l’utilizzo dei tamponi sia una pratica facile da utilizzare, i costi di lavorazione, comprensivi dell’isolamento del microrganismo, il ritardo nella restituzione dell’informazione, la necessità di determinare la qualità della contaminazione prima dell’intervento di pulizia e la possibilità di monitorare un numero limitato di superfici, rappresentano questioni che ne possono limitare l’utilizzo. In letteratura viene riportato uno studio [20] nel quale l’utilizzo dei tamponi colturali è stato utilizzato a fini educativi, per migliorare la sanificazione delle tastiere, risultate contaminate da VRE. Il monitoraggio è stato integrato con l’utilizzo del sistema ATP.
Colture di superfici con piastre da contatto – Queste piastre con agar, di solito utilizzate per le colture di materiale biologico, sono state adattate per il monitoraggio ambientale delle superfici sanitarie. Alcuni studi hanno valutato la qualità delle pulizie quantificando la conta delle unità formanti colonie per cm2, dopo il contatto delle piastre sulle superfici stesse [21]. Mentre alcuni studi hanno misurato aggregati di unità formanti colonie prima e dopo la sanificazione, nessuno ha valutato l’adesione delle pulizie ai protocolli, per valutare se le cariche elevate fossero determinate dalla scarsa pulizia o dalla trascuratezza delle pulizie stesse. Sono utilizzate negli ambienti a ventilazione e contaminazione controllata (es. sale operatorie) dove esiste un chiaro standard di rifermento definito dalle linee guida Espesl.
Marcatori fluorescenti – É un sistema di monitoraggio che utilizza un gel trasparente invisibile, che viene posto sulle superfici da sanificare e che resiste agli interventi meccanici di asportazione durante le pulizie. Dopo la sanificazione una luce a ultravioletti evidenzia, se presenti, i residui di gel, rendendo subito esplicita la qualità delle pulizie. Questo sistema ha un grande impatto educativo, poiché questi marcatori fluorescenti sono tutti progettati per indicare la rimozione fisica di una sostanza applicata, le superfici che vengono efficacemente disinfettate ma meno efficacemente pulite possono essere più probabilmente contrassegnate per non aver rispettato uno standard qualitativo, utilizzando un marcatore di una delle tecniche di coltura. In uno studio su 36 ospedali [22] le pulizie sono migliorate dal 48% al 77%. Lo stesso sistema è stato utilizzato da Goodman [23] per valutare la qualità delle pulizie in 10 unità di Terapia intensiva di un unico ospedale. A seguito del feedback con il personale delle pulizie, la qualità delle pulizie è passata da un’adesione ai protocolli del 44% al 71%. Altri studi sono giunti alle stesse conclusioni, ovvero che l’utilizzo di questo sistema migliora l’adesione del personale ai protocolli, ma non può indicarci la qualità della contaminazione microbica. Il sistema pertanto deve essere usato congiuntamente con colture ambientali, per rilevare se al miglioramento della qualità delle pulizie corrisponde una riduzione della carica microbica sulle superfici.
Sistema ATP – Il suo funzionamento è basato su un meccanismo di misurazione che consente di rilevare in tempi brevi (circa 30 secondi) la presenza del nucleotide ATP, molecola energetica presente in ogni cellula. il sistema di analisi sfrutta la capacità di chemiluminescenza del reagente il luciferin-luciferasi che, a contatto con un substrato di ATP, è in grado di emettere luce. Tale reazione viene rilevata da uno strumento che ci indica il risultato quantificato ed espresso in unità di luce relative (RLU). Questo sistema nasce circa 30 anni fa per il controllo delle superfici per la preparazione degli alimenti. Il limite di questo sistema è che non distingue la presenza di batteri vitali da detriti organici e/o batteri morti, e spesso risultati elevati di RLU sono correlati a questi ultimi. Griffing ha rilevato che circa il 66% [24] del risultato dell’ATP era determinato da residui di detriti. Lo stesso Griffing, in uno studio successivo [25], ha evidenziato ancora il limite di questo metodo mettendo a confronto i risultati del sistema ATP con il sistema di conta delle unità formati colonie. Lo standard di riferimento per il sistema ATP erano risultati inferiori ai 500 RLU mentre per il sistema della conta della unità formanti colonie era inferiore 2,5 UFC/cm2. Dei 3.707 prelievi con sistema ATP, l’89% non ha rispettato il livello definito come conforme, ovvero inferiore a 500 RLU. In contrasto, solo il 27% delle stesse superfici non superava lo standard definito del sistema della conta della unità formanti colonie inferiore al 2,5 UFC/cm2. Nel 2007 il Sistema sanitario inglese ha condotto uno studio indipendente [26] per valutare l’utilizzo del sistema ATP nella valutazione della qualità delle pulizie. lo studio è giunto alle stesse conclusioni degli studi precedenti, ovvero il limite del sistema, ma che esso può essere utilizzato come metodo per l’educazione del personale che si occupa di pulizie. Altri studi hanno evidenziato come un’elevata concentrazione di ipoclorito di sodio può determinare una riduzione del segnale della luminescenza dell’ATP. Se viene utilizzato un disinfettante a base di ipoclorito è importante che la superficie sia asciutta prima di utilizzare il sistema ATP [27]. Nonostante queste limitazioni, il sistema ATP è stato usato per documentare ampiamente il significativo miglioramento nella pulizia quotidiana, così come per fornire la misura quantitativa per indicare il livello di pulizia di superfici high-touch. Nel già citato articolo di Carling [8] si mettono a confronto i 5 metodi
Metodologia
Applicabilità
Identificazione dei patogeno
Accuratezza
Utilità ai fini educativi
Utilizzo nel monitoraggio programmato
Osservazione diretta
Bassa
No
Variabile
Si
Semplice
Tamponi
Elevata
Si
Elevata
No
No
Piastre da contatto
Moderata
Possibile
Moderata
No
Possibile
Indicatori fluorescenti
Elevata
No
Elevata
Si
Si
ATP con bioluminescenza
elevata
no
variabile
si
Possibile
Tabella 4 – Sintesi delle principali metodiche di controllo delle pulizie
In un recente articolo del settembre 2016 [28] sempre Philip Carling disegna gli elementi della pratica igienica orizzontale nelle strutture sanitarie, il continuum delle pratiche igieniche, i suoi elementi e i suoi interventi.
fig 4 accorgi
fig 5 accorgi
fig 6 accorgi
fig 7 accorgi
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