Il Tribunale di Taranto ha accolto la pretesa risarcitoria dei familiari di una donna morta per una infezione contratta in ospedale nel 2015, condannando l’Ente a pagare un risarcimento di 800mila euro
Ottocentomila euro. E’ la cifra che l’Asl di Taranto dovrà versare ai familiari di una 63enne morta per una infezione contratta in ospedale nel settembre del 2015. La donna, a seguito di una caduta da una scala all’interno della propria abitazione, aveva riportato un trauma facciale cervicale. Ricoverata nell’ospedale del capoluogo di provincia ionico era stata sottoposta ad un primo intervento chirurgico di decompressione cervicale e, successivamente, a due ulteriori interventi di derivazione ventricolare esterna a destra e poi a sinistra. Dopo alcuni giorni, tuttavia, era deceduta a seguito di un’infezione meningo-encefalica da Klebsiella Pneumoniae.
Gli eredi, rappresentati avevano quindi agito in giudizio per per far valere la responsabilità dell’Azienda sanitaria, che invece chiedeva il rigetto della domanda di risarcimento danni.
Il Tribunale di Taranto, con la sentenza n.2241/2019, ha affermato che, una volta accertata la natura nosocomiale dell’infezione per la presenza del batterio Klebsiella nell’ambito ospedaliero, la responsabilità è da imputarsi all’ente, se non risulta provato da quest’ultimo l’osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza necessarie per scongiurare l’esito infausto.
In particolare ha rilevato che “la responsabilità della struttura sanitaria per i danni subiti dal paziente ha natura contrattuale, in quanto l’accettazione in ospedale ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale comporta la conclusione di un contratto, soggetto alle regole ordinarie sull’inadempimento sancite dall’art. 1218 c.c.”.
“In virtù di tale contratto la struttura è tenuta a fornire al paziente una prestazione complessa definita genericamente di assistenza sanitaria, che include, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi di protezione ed accessori (….) Conseguentemente, nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l’attore ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; è a carico della struttura sanitaria, invece, dimostrare che l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, sia dipeso da causa a sé non imputabile”.
Nel caso in esame, l’Asl non aveva dimostrato “l‘osservanza dei protocolli universalmente riconosciuti come efficaci per la prevenzione delle infezioni in ambiente ospedaliero, dalla quale soltanto può discendere la non riconducibilità della complicanza infettiva a condotte positivamente riferibili alla struttura sanitaria”.
Da qui l’accoglimento della pretesa risarcitoria dei parenti. Per il legale che ha assistito la famiglia della vittima si tratta di una pronuncia importante, in quanto apre la strada al risarcimento dei danni subiti dai pazienti colpiti da infezioni ospedaliere.
Fonte
Responsabilitàcivile