Giustamente, siamo tutti indignati, quando si vogliono abbassare gli standard della formazione medica. Dopo che trent’anni fa, il Servizio sanitario nazionale si è dotato, come requisito d’accesso per la professione medica della specializzazione postlaurea, è impensabile tornare indietro, anche con le varie soluzioni emergenziali decise dalle regioni. Ma attenzione a battaglie di retroguardia, che mascheraro un medico demansionato, immobile e cristallizzato nel novecento e che non ha capito il proprio ruolo
Ha fatto molto discutere la delibera veneta relativa ai dei percorsi di formazione complementare regionale per l’acquisizione di competenze avanzate in applicazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto sanità.
Il tutto parte dei nuovi incarichi di funzione, per il personale del ruolo sanitario, di professionista specialista e di professionista esperto. Per il professionista specialista è richiesto, dalle norme contrattuali, il possesso del master specialistico di primo livello, mentre per professionista esperto è previsto il possesso di “competenze avanzate” acquisibili per mezzo di percorsi formativi complementari regionali e attraverso l’esercizio di attività professionali riconosciute dalle Regioni.
La delibera veneta punta a colmare le lacune che il contratto le chiede, domandandosi tra l’altro l’esatta differenza, non banale, tra competenze specialistiche e competenze esperte e provando a dare una soluzione anche originale. La regione del Veneto, quindi, tenta di dare strumenti operativi al Contratto collettivo nazionale lavoro del comparto sanità, introducendo degli standard a livello di contenuto, competenze e durata complessiva del corso.
In realtà la delibera veneta non pone una riflessione su una parte del dettato contrattuale, laddove si specifica che “tali compiti sono aggiuntivi e/o maggiormente complessi e richiedono significative, elevate ed innovative competenze professionali rispetto a quelle del profilo posseduto”. Non era non certo compito di un contratto di lavoro prevedere “significative, elevate ed innovative competenze professionali rispetto a quelle del profilo posseduto”, ma l’occasione era probabilmente propizia per porci una riflessione.
I corsi di nuova implementazione sono tre:
1. percorso di formazione complementare regionale per lo sviluppo delle competenze avanzate dell’infermiere nella continuità delle cure,
2. percorso di formazione complementare regionale per lo sviluppo delle competenze avanzate dell’infermiere nella gestione degli accessi vascolari;
3. percorso di formazione complementare regionale per lo sviluppo delle competenze avanzate dell’infermiere nell’assistenza anestesiologica.
I destinatari sono professionisti che già lavorano nei contesti territoriali, negli accessi vascolari e nell’assistenza anestesiologica. Per il primo non sono previste competenze invasive, ma sono costruzioni tese ad affrontare la complessità dell’integrazione e della comunicazione dello specifico setting assistenziale.
I destinatari del secondo percorso sono dipendenti che già svolgono attività di posizionamento di accessi venosi a inserimento periferico PICC e di cateteri Midline.
Similmente per il terzo percorso, l’infermiere esperto nell’assistenza anestesiologica, che, tra l’altro, “deve coadiuvare l’anestesista durante interventi complessi o con assistiti particolarmente critici”.
La delibera veneta ha riconosciuto, inoltre, l’equivalenza del percorso compiuto dai professionisti già in contesti che richiedono l’impiego di competenze avanzate, purché conseguiti nei cinque anni antecedenti la sottoscrizione del contratto di lavoro. Si ritrovano percorsi dedicati ai tutor didattici aziendali, alla gestione delle problematiche in area riabilitativa, alla gestione del rischio clinico, alla ricerca organizzativo-assistenziale e agli amministratori di sistema Ris/Pacs.
Peraltro, una certa parte, sono diventati veri propri master riconosciuti d’accordo dall’Osservatorio delle classi di laurea delle professioni sanitarie.
La delibera veneta non contiene, quindi, nulla di rivoluzionario. Se proprio dobbiamo fare una critica, è quella essere cauta, fermo restando il tentativo di dare una veste formale agli incarichi di funzione previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto.
La posizione della FNOMCEO
Leggiamo testualmente dalla nota della Federazione dei medici:“Non possiamo non rilevare che, ai fini dell’incremento di tali competenze, non sia stato ritenuto necessario acquisire il contributo e il parere dei rappresentanti della professione medica per l’individuazione degli ambiti che richiedono l’espansione e/o l’estensione delle competenze proprie dei profili professionali.Non può non ritenersi che il contributo dei rappresentanti della professione medica debba considerarsi preliminare nel definire le attività il cui esercizio sia riservato agli iscritti ai singoli albi professionali”.
L’atteggiamento è antico e analizzato, da tempo, dalla letteratura sociologica (Eliot Freidson, La dominanza medica, 2002; Willem Tousijn, Il sistema delle occupazioni sanitarie, 2000). La posizione della Federazione degli ordini pone l’orologio nel novecento rivendicando la supremazia delle competenze. E’ ancora, secondo l’analisi di Freidson, il tentativo di esercitare la dominanza medica sulle altre occupazioni sanitarie.
Non si capisce bene se la Federazione abbia letto la delibera veneta, o cosa ne abbia tratto in termini di competenze avanzate e specialistiche.
La Fnomceo interviene a gamba tesa nel dibattito contrattuale, perché tale si tratta. Laddove specifica che “la definizione del profilo di competenza del professionista specialista e del professionista esperto richiede necessariamente la consultazione dei rappresentanti della professione medica al fine di delineare una distinzione tra competenza avanzata e competenza specialistica” invade un ambito precluso dalla stessa legge 3/2018 sulle competenze ordinistiche.
E lo fa, ribadendo, una considerazione preliminare, nel definire le attività.
Il malpancismo dei medici DOC
Stentiamo a credere che la posizione della Federazione possa essere influenzata, da quelle posizioni, che in queste colonne, viene definita da medici DOC.
Lo specialista, affermano, “era una specie di Dio”, si dimostrano ignoranti di sanità e organizzazione sanitaria – “nemmeno sapevano che esistessero tutte queste professioni sanitarie” -, nostalgici di ambulanze, di competenze non più mediche e di fonendoscopi branditi come vessilli.
Si tratta, infatti, di una pura battaglia di retroguardia, che maschera un medico demansionato, immobile e cristallizzato nel novecento e che non ha capito il proprio ruolo.
Giustamente, siamo tutti indignati, quando si vogliono abbassare gli standard della formazione medica. Dopo che trent’anni fa, il Servizio sanitario nazionale si è dotato, come requisito d’accesso per la professione medica della specializzazione postlaurea, è impensabile tornare indietro, anche con le varie soluzioni emergenziali decise dalle regioni.
Il valore aggiunto di una specializzazione, il valore d’uso in termini di impegno, e financo, il costo per i cittadini impone, nei medici, una consapevolezza del proprio ruolo.
In attesa della sentenza della Corte costituzionale sul caso Venturi, in cui la deontologia medica è stata usata come una clava e ha dovuto cedere ai normali principi costituzionali, è difficile credere che il rapporto tra la professione medica e le professioni sanitarie sia ancorato alle ambulanze o agli accessi venosi.
Pensare che la deontologia medica potesse sopravanzare i normali principi costituzionali e si ponesse ai vertici delle norme del diritto è stato un grave errore, proprio da ignoranti del diritto.
La Corte costituzionale ha ritenuto che l’Ordine, nel sanzionare il medico/assessore, “di fatto ha sindacato le scelte politico-amministrative della Giunta in materia di organizzazione dei servizi sanitari, su cui non ha alcuna competenza”.
Come non ha competenza su materie sindacali precluse dalla legge 3/2018.
L’atteggiamento autoreferenziale della FNOMCEO, quindi, non paga.
Conclusioni
Stupisce quindi che la FNOMCEO, quando si pone in posizione di retroguardia rispetto tutti i documenti internazionali, non si pone il problema della crescita delle professioni sanitarie con il corretto rapporto di equipe con la professione medica.
Personalmente non ho mai sentito, nel dibattito in corso, un problema di competizione tra i medici specialisti – a titolo esemplificativo come cardiochirurghi, neurochirurghi, nefrologi, ecc. – nel rapporto di equipe tra professione medica e professioni sanitarie.
Facciamo in modo che il dibattito ordinistico sia almeno al livello del dibattito tra professionisti.
Tutti ne guadagnerebbero.
Luca Benci
Giurista
Componente del Consiglio superiore di sanità
Fonte Quotidiano sanita