La mancanza di un’adeguata formazione rende irrilevante il fatto che l’infortunio sul lavoro si sia verificato in conseguenza di un’operazione non espressamente ordinata dal datore, ma ugualmente posta in essere dal dipendente
La vicenda
La controversia, promossa con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Perugia, concerneva l’accertamento del diritto di un lavoratore al risarcimento del danno differenziale – al netto di quanto corrispostogli dall’INAIL – derivato dall’infortunio sul lavoro occorsogli nel novembre del 2009, mentre svolgeva attività alle dipendenze di un sugherificio.
Il giudice di primo grado aveva accertato che l’infortunio lavorativo si era verificato esclusivamente a causa dell’inadempienza grave e plurima del datore di lavoro ai suoi obblighi giacché il dipendente aveva operato senza adeguata informazione e formazione e in assenza dei prescritti dispositivi di protezione; per tali motivi, aveva condannato la società datrice di lavoro a corrispondere a quest’ultimo la somma complessiva di € 135.878,85 titolo di risarcimento.
A sostegno della propria decisione il Tribunale di Perugia aveva affermato che l’assolvimento di tutte le obbligazioni di sicurezza da parte del datore di lavoro è funzionale anche a prevenire ed evitare i danni che possano derivare da condotte incaute del lavoratore, come quella di effettuare la pulizia degli scarti di un macchinario senza preventivo spegnimento.
La giurisprudenza di legittimità in tema di infortunio sul lavoro
La giurisprudenza di legittimità, al riguardo, ha più volte precisato che “In tema di infortuni sul lavoro e di cd. rischio elettivo – premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela – la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l’eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto” (Cass., sez. lavoro, 798/2017); e ancora, “In materia di tutela dell’integrità fisica del lavoratore, il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la con-dotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. Ne consegue che, qualora non ricorrano detti caratteri della condotta del lavoratore, l’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio che sia conseguenza dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell’obbligo di sicurezza integra l’unico fattore causale dell’evento, non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza” (Cass., sez. lavoro, 2127/2013).
Si è anche detto che “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente” (Cass., sez. lavoro, 19494/2009).
Il processo d’appello
Contro la decisone del Tribunale di Perugia la società datrice di lavoro aveva proposto ricorso in appello, contestando l’errata interpretazione delle risultanze istruttorie, che avevano smentito la versione dei fatti proposta dal ricorrente. A detta dell’appellante il comportamento imprudente del lavoratore integrava una violazione dell’art. 20 del D.Lgs n. 81/2008, secondo cui il lavoratore ha l’obbligo di prendersi cura non solo della propria salute e sicurezza, ma anche di quella delle altre persone nel luogo di lavoro.
Dunque, l’infortunio non poteva che imputarsi esclusivamente a quest’ultimo, che aveva tenuto un comportamento abnorme, dedicandosi a un’attività – la pulizia della macchina – estranea alle mansioni assegnategli. Il Tribunale, inoltre, non aveva adeguatamente valutato l’esistenza del nesso di causalità tra la condotta datoriale e il danno subito dal lavoratore, né la sussistenza del concorso di colpa del danneggiato.
Ebbene, tali argomenti non hanno convinto i giudici della Corte d’Appello di Perugia (Sezione Lavoro, sentenza n. 10/2020) i quali hanno rigettato il gravame per le ragioni che seguono.
Come osservato dal giudice di primo grado, la mancanza di un’adeguata formazione aveva reso irrilevante il fatto che i titolari dell’azienda non avessero ordinato esplicitamente al dipendente di eseguire l’operazione di pulizia degli scarti mentre il macchinario era in funzione, giacché proprio l’inadempimento (della datrice di lavoro) agli obblighi di formazione e informazione aveva reso il prestatore ignaro dei rischi che correva.
Insussistente è stata, pure, considerata la denunciata violazione dell’art. 20 del D.Lgs n. 81/2008: “evidente – ha affermato la corte d’appello – che il prestatore di lavoro può prendersi cura della propria e dell’altrui incolumità, soltanto se è pienamente a conoscenza di tutti i rischi che la lavorazione cui è addetto comporta. La piena conoscenza, tuttavia, presuppone l’assolvimento, da parte del datore di lavoro, degli obblighi di formazione, nella specie non dimostrato”.
Ed infine non è stata neppure condivisa l’argomentazione secondo cui la responsabilità dell’infortunio sarebbe stata ascrivibile al comportamento abnorme del lavoratore. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il prestatore può essere ritenuto unico responsabile dell’infortunio patito, soltanto qualora abbia tenuto “un contegno abnorme”, ossia, “inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere” (Cass., Sez. Lav., 13 gennaio 2017, n. 798).
La decisione
Ciò non si era verificato nel caso di specie, poiché l’operazione che il lavoratore stava eseguendo nel momento in cui subì l’infortunio rientrava tra i suoi compiti (pur non avendo egli ricevuto idonea formazione al riguardo); di conseguenza, il suo comportamento non poteva essere qualificato come abnorme, ossia esorbitante dalla lavorazione cui egli era addetto.
Al contrario, proprio la mancanza di formazione sulla procedura da osservare per evitare danni fisici lo aveva indotto a compiere un atto imprudente, ossia, a inserire l’arto superiore destro all’interno del macchinario, mentre questo era in funzione.
Da quanto detto, era dunque emersa la non configurabilità del concorso di colpa del danneggiato; per queste ragioni l’appello è stato respinto con conseguente conferma della pronuncia di prime cure.
Fonte
Responsabilecivile. It