Quali sono i DPI adeguati a proteggere in maniera efficace l’Operatore Sanitario? Basta la mascherina chirurgica, o invece è necessario il Facciale Filtrante di Protezione, almeno di classe 2 (FFP2)? Un approfondimento del SGS Sanità Veneto.
Riceviamo e pubblichiamo volentieri l’interessante approfondimento inviatoci dal Gruppo di Lavoro Sistema di Gestione della Sicurezza in Sanità istituito a cura di INAIL/Regione Veneto – SGS Sanità Veneto, riguardante la protezione delle vie respiratorie.
In particolare l’articolo fornisce ulteriore esplicazione delle nuove indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità riguardo alla protezione degli Operatori Sanitari nei confronti dell’infezione COVID-19 ( Attività sanitarie: le indicazioni per proteggersi dal virus SARS-CoV-2)
COVID-19: PER LA PROTEZIONE DEGLI OPERATORI SANITARI, FFP2 o MASCHERINE CHIRURGICHE?
Nell’emergenza sanitaria che l’Italia sta attraversando per la pandemia da COVID-19, uno dei problemi più seri alla ribalta è la protezione degli Operatori Sanitari (OS). Essendo stata fin da principio segnalata la carenza di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), da molte parti si sono susseguiti gli appelli per fornire agli OS “DPI adeguati”. Ma quali sono i DPI adeguati a proteggere in maniera efficace l’OS? La discussione maggiore riguarda la protezione delle vie respiratorie: basta la mascherina chirurgica, o invece è necessario il Facciale Filtrante di Protezione, almeno di classe 2 (FFP2)?
Contagiosità ed epidemiologia
Numerosi coronavirus, scoperti per la prima volta nel pollame domestico negli anni ’30, causano malattie respiratorie, gastrointestinali, epatiche e neurologiche negli animali. Sette coronavirus sono noti per causare malattie negli esseri umani.
Mentre i virus HKU1, NL63, OC43 e 229E, conosciuti da decenni, causano solo malattie lievi, i tre virus emersi negli anni recenti, SARS-CoV, MERS-CoV, e SARS-CoV-2, possono causare malattie molto gravi e con indici di letalità elevati, denominate rispettivamente SARS, MERS, e COVID-19.
In particolare SARS-CoV ha causato gravi outbreaks in paesi asiatici nel periodo 2002-2003, e MERS-CoV ha provocato ripetuti outbreaks in paesi arabi e asiatici a partire dal 2012.
Per entrambi questi virus, una percentuale molto elevata di contagi si è verificata all’interno di ospedali e altre istituzioni sanitarie (58% dei casi per SARS, 70% dei casi per MERS1), ed il numero di operatori sanitari contagiati è stato rilevante. La discussione scientifica che si è sviluppata in seguito a queste evenienze ha riguardato anche l’efficacia delle misure protettive da adottare per gli OS, ed in particolare la scelta dei presidi di protezione delle vie aeree2-4.
Rispetto ai virus SARS-CoV e MERS-CoV, il nuovo SARS-CoV-2 mostra sia analogie che diversità.
In particolare qui rileva sottolineare che il tasso netto di riproduzione R0 di SARS-CoV-2 varia, secondo le attuali stime, da 2 a 3,5 nelle fasi iniziali, ed è perciò più alto rispetto agli altri due virus, indicando maggiori contagiosità ed efficacia di trasmissione.
Un altro punto peculiare è l’importanza dei soggetti asintomatici nella trasmissione del contagio, che nel caso di SARS-CoV-2 si sta rivelando ben maggiore rispetto a SARS-CoV e MERS-CoV. Entrambi questi aspetti hanno una forte rilevanza nella valutazione dell’impatto e delle misure di controllo dell’epidemia1,5.
Anche nel caso di SARS-CoV-2 la trasmissione nosocomiale si sta rivelando un problema grave. Il Direttore Generale della World Health Organization (WHO) Tedros Ghebreyesus ha dichiarato che è stato accertato che circa il 41% dei casi di COVID-19 confermati a Wuhan è il risultato di una trasmissione correlata all’ospedale.
Secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) al 29 marzo 2020, in Italia dall’inizio dell’epidemia sono 8.358 gli OS che hanno contratto un’infezione da SARS-CoV-2, pari all’8,5% del totale delle persone ufficialmente contagiate, con un andamento temporale che non mostra riduzione rispetto ai primi giorni dell’epidemia6; solo fra i medici ci sono stati 63 decessi7. Si tratta di dati peggiori di quelli registrati in Cina, che si è fermata a 3300 sanitari contagiati (3.8% del totale) e 23 decessi, secondo quanto rilevato nel più ampio studio di coorte cinese finora pubblicato8.
Di fronte a questa situazione, da più parti, tra i rappresentanti del mondo medico e delle professioni sanitarie ma non solo, si sono levati allarmi, e richieste di assicurare agli OS una protezione adeguata, da ultimo con la lettera inviata il 25 marzo al British Medical Journal dal Presidente Nazionale FNOMCeO Filippo Anelli a nome di tutti gli ordini dei medici italiani9.
Iniziali indicazioni di protezione degli Operatori Sanitari
Per la protezione dal contagio da COVID-19 degli OS, in Italia l’Istituto Superiore di sanità (ISS) ha emesso un documento di “Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-CoV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da COVID-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-CoV-2”10.
Tale documento, nella versione vigente fino al 28 marzo, riprendeva integralmente le indicazioni della WHO aggiornate al 27 febbraio 202011, e per la protezione delle vie respiratorie degli OS indicava l’utilizzo delle mascherine chirurgiche durante le normali attività assistenziali su pazienti con COVID-19, riservando i FFP di classe 2 o 3 (FFP2 o FFP3) alla sola esecuzione di procedure invasive sull’apparato respiratorio. In determinate situazioni indicava che non erano necessarie protezioni di sorta, se l’OS poteva rimanere alla distanza di almeno 1 metro dal paziente.
Molte Regioni hanno riportato alla lettera queste indicazioni nei propri atti di indirizzo alle aziende sanitarie del loro territorio.
Alcune associazioni scientifiche hanno però rilevato la necessità di far discendere la scelta delle protezioni più adeguate per gli OS, dalla valutazione del rischio lavorativo specifico, demandando sia la valutazione del rischio che la scelta dei dispositivi idonei ai singoli professionisti individuati dal Decreto Legislativo n. 81 del 09 aprile 2008 e s.m.i. e precisamente al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e al Medico Competente.
La versione più recente delle Indicazioni ad interim dell’ISS, ossia la revisione rilasciata il 28 marzo 2020, entra maggiormente nel merito delle scelte, e suggerisce un ricorso più ampio ai FFP2 rispetto a quanto inizialmente consigliato10.
Altre associazioni sindacali e professionali hanno segnalato fin da subito la necessità di designare in maniera generalizzata i FFP2 per la protezione dell’apparato respiratorio di tutti gli esposti, cioè di tutti gli OS a contatto, per qualunque attività assistenziale, con pazienti COVID-19 confermati, probabili o sospetti.
Nella discussione finora avvenuta sono stati richiamati i riferimenti a fonti autorevoli (WHO, CDC, ECDC), come anche le differenze fra le leggi che in Italia regolano la produzione e l’uso dei DPI e dei Dispositivi Medici (DM), e si è sottolineato che, mentre i FFP2 sono classificati DPI, le mascherine chirurgiche sono sempre state classificate come DM fino all’entrata in vigore dell’art. 16 del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18.
Di seguito riportiamo le principali evidenze scientifiche relative agli aspetti più rilevanti del problema, limitandoci peraltro a citare, della letteratura veramente vasta su questo tema, i lavori più recenti e liberamente consultabili in versione completa.
Mascherina chirurgica e FFP2: prestazioni a confronto.
La discussione scientifica riguarda prima di tutto il confronto fra la capacità di proteggere le vie respiratorie dalla penetrazione del virus offerta dai FFP2, rispetto alla mascherina chirurgica.
Per prima cosa si deve riflettere sul fatto che le prove di laboratorio, le prove pratiche di impiego e gli standard che devono essere superati per il collaudo dalle mascherine chirurgiche (UNI EN 14683:2019) sono molto diversi da quelli imposti nel caso dei FFP (UNI EN 149:2009): questo a riprova del fatto che le prestazioni attese nei due casi sono molto diverse, essendo diversi, fin dall’origine, gli scopi per i quali i due tipi di manufatti sono progettati e fabbricati. La mascherina chirurgica è finalizzata ad evitare la diffusione di secrezioni contenenti batteri da parte dell’essere umano che la indossa, ed è progettata e testata rispetto alla capacità di ottenere questo risultato; il FFP è finalizzato a proteggere le vie respiratorie della persona che lo indossa dall’ingresso di particelle pericolose, ed è progettato e testato per verificare che risponda a questo scopo. ( [1])
Peraltro sono state fatte numerose prove sperimentali durante le quali i due tipi di manufatti sono stati sottoposti a test identici, e da tutte è stato ampiamente confermato che sia la capacità filtrante, sia la tenuta alla penetrazione lungo i bordi, sono di gran lunga maggiori nel caso dei dispositivi FFP2, rispetto alla mascherina chirurgica12.
Malgrado le evidenze, il dibattito relativo alla possibilità di utilizzare la mascherina chirurgica per la protezione degli OS dalle infezioni respiratorie prosegue tuttora.
Fra i motivi non secondari della discussione in corso da tempo, vi è l’importante differenziale fra il costo che deriverebbe dall’uso generalizzato delle mascherine chirurgiche, il cui prezzo è di qualche centesimo, e invece il costo che deriverebbe dall’uso generalizzato dei FFP2, il cui prezzo ammonta a qualche euro. Qualora fosse possibile stabilire un’efficacia protettiva sovrapponibile, i costi associati alla protezione degli operatori sanitari risulterebbero notevolmente contenuti dall’adozione della mascherina chirurgica.
Non deve peraltro essere sottovalutato che, nella valutazione complessiva del rapporto costi-benefici, un fattore di grande peso è rappresentato dalla gravità della patologia da prevenire: è chiaro che il risultato di questa ponderazione deve essere diverso nel caso di malattie respiratorie lievi, oppure gravi13,14.
Droplets, aerosol, via aerea
Il dibattito che si svolge sul piano scientifico è centrato soprattutto sull’importanza, nella trasmissione nosocomiale delle varie infezioni respiratorie, delle diverse vie di trasmissione: attraverso droplets (goccioline provenienti dall’albero respiratorio del paziente, con diametro > 10 micron), attraverso aerosol o per via aerea (questi due termini, ai fini della presente discussione, vanno considerati equivalenti15, e riguardano la trasmissione attraverso particelle provenienti dall’albero respiratorio del paziente, con diametro < 10 micron), e infine contatto diretto tra le persone, oppure della persona con superfici e fomiti contaminati dalla deposizione delle particelle infette.
Si ritiene comunemente che i droplets, per le loro maggiori dimensioni, si depositino rapidamente sulle superfici circostanti, e possano pertanto trasmettere l’infezione solo entro il raggio di 1-2 metri impattando direttamente sulle mucose di bocca, naso, occhi del soggetto ricevente. Se un’infezione respiratoria si trasmette in ambito nosocomiale esclusivamente attraverso droplets, le misure di protezione quali la distanza di 1-2 m dal paziente, oppure, nell’impossibilità di mantenere questo spazio, l’uso da parte degli OS di mascherina chirurgica e visiera – che arrestano meccanicamente i droplets – dovrebbero risultare sufficientemente protettive.
Invece la trasmissione attraverso aerosol o per via aerea si verifica quando le particelle infettanti di piccole dimensioni rimangono sospese a lungo in aria e, trasportate dai moti convettivi, possono raggiungere distanze anche considerevoli dal punto di emissione; inoltre, date le dimensioni, possono penetrare in profondità nel polmone ed infettarne direttamente le cellule. Se per un’infezione si considera possibile la trasmissione attraverso aerosol o per via aerea, sono necessarie misure protettive molto più stringenti: stanze di isolamento a pressione negativa per il paziente, e per gli OS protezione delle vie respiratorie con FFP2. Questi ultimi infatti sono costruiti e poi testati per filtrare particelle di soluzione acqua-cloruro di sodio al 2% e particelle di olio di paraffina, con distribuzione granulometrica compresa tra 0,02 micron e 2 micron del diametro aerodinamico equivalente e diametro medio di 0.6 micron, al flusso di 95 L/min, filtrandone almeno il 94%, con perdita attraverso i bordi non superiore all’11%. Attraverso il percorso necessario per la loro immissione in commercio viene comprovata la loro capacità di arrestare particelle che non possono essere altrettanto efficacemente filtrate dalla mascherina chirurgica12.
Di fatto le attuali raccomandazioni della WHO per la protezione degli OS da COVID-1911 si fondano sul presupposto che nelle attività assistenziali routinarie la trasmissione dell’infezione avvenga attraverso droplets, e che la trasmissione attraverso aerosol infetti sia rilevante solo quando gli aerosol sono prodotti durante specifiche procedure: di qui la raccomandazione di proteggere le vie respiratorie dell’OS con FFP2 solo quando esegue quelle procedure. L’individuazione delle procedure è stata fatta soprattutto a seguito di estrapolazioni da studi epidemiologici riguardanti outbreaks di tubercolosi e di SARS.
Numerosi studi però da tempo mostrano una realtà più complessa.
Innanzitutto la distinzione dicotomica fra “droplets” e “aerosol” basata su un arbitrario cut-off del diametro è fittizia. Diversi studi sperimentali hanno ormai dimostrato che una fonte di aerosol, sia artificiale (apparato sperimentale) che naturale (persona che respira, parla, tossisce, sternutisce), produce una nuvola di particelle il cui diametro, ed il cui comportamento fisico, si distribuiscono secondo un continuum che dipende da vari parametri e circostanze relativi sia alla fonte di emissione che all’ambiente15-17.
Inoltre, anche il concetto secondo cui i droplets ricadono immediatamente per gravità entro 1 metro dalla fonte è una semplificazione eccessiva, in quanto le analisi sperimentali hanno sempre mostrato che possono raggiungere distanze maggiori, fino ad alcuni metri, e rimanere in aria anche per minuti17.
Ne discende che anche una distinzione dicotomica fra patologie trasmissibili per droplets, e patologie trasmissibili per aerosol o via aerea, non è adeguata.
Infatti, coerentemente con quanto rilevato per il comportamento di droplets e aerosol, le evidenze scientifiche mostrano che molti virus respiratori si trasmettono attraverso tutte e tre le vie sopra richiamate, con un’importanza relativa di ciascuna di esse che varia a seconda delle circostanze specifiche16,18.
Anche nel caso di SARS e di MERS gli studi pubblicati hanno documentato che almeno una parte delle trasmissioni sono avvenute per aerosol o via aerea, in proporzione variabile in relazione alle situazioni contingenti15,16.
Per quanto riguarda COVID-19, un recentissimo studio cinese ha rilevato particelle virali di SARS-CoV-2 sulla superficie del sistema di ventilazione della stanza di degenza di un paziente18, e questo riscontro supporta la possibilità di trasmissione dell’infezione anche a distanza mediante aerosol generati dal paziente. Inoltre, sono stati pubblicati ripetuti case-reports che segnalano trasmissioni avvenute per via aerea, perfino nel caso di pazienti pre-sintomatici19.
In conclusione, si deve sottolineare quanto segue.
Per COVID-19 le osservazioni epidemiologiche finora disponibili supportano il fatto che, nelle situazioni extra-ospedaliere, cioè quando il contagio riguarda la popolazione generale, la modalità di trasmissione più rilevante è effettivamente quella tramite droplets, ovvero attraverso goccioline emesse dal soggetto contagioso, sintomatico o asintomatico, che raggiungono gli occhi, il naso, la bocca, di persone molto vicine, inoculandovi i virus.
Tuttavia la situazione intra-ospedaliera è molto diversa. In un reparto COVID-19 ci sono numerosi pazienti, quindi molti punti di emissione di goccioline infette. Inoltre vi sono diverse e robuste correnti aerodinamiche, generate dagli apparati di ventilazione ambientale, dall’apertura e chiusura di porte, dall’andirivieni degli OS, dai loro movimenti attorno ai pazienti, dagli spostamenti di letti e apparecchiature: queste circostanze aumentano in maniera significativa i tempi in cui le particelle emesse dal paziente restano in sospensione, e quindi possono andare incontro ad evaporazione e conseguente riduzione del diametro, e venire trasportate a distanza considerevole dalla sorgente. Per queste ragioni è giustificato sostenere che in ambito nosocomiale la trasmissione per aerosol o via aerea è molto più rilevante che in altri contesti15.
Quali aerosol?
Vi è infine la questione se aerosol rilevanti quali veicoli di contagio per gli OS, siano prodotti esclusivamente durante determinate procedure invasive sull’apparato respiratorio (intubazione ed estubazione, ventilazione assistita, endoscopia, aerosol-terapia, eccetera), o se invece siano generati anche durante le attività naturali del paziente: tossire, sternutire, parlare, respirare.
Negli anni recenti si sono accumulate molte evidenze sperimentali, riguardanti per lo più i virus influenzali, che aerosol infetti, e quindi rilevanti per la trasmissione della malattia, sono generati dal paziente anche quando respira spontaneamente e non è sottoposto a procedure invasive; spesso anzi la carica infettante rilevata in prossimità dei pazienti durante queste normali attività è stata superiore a quella trovata nel corso di procedure20-22.
Quindi, in base ai principi fisici e biologici riportati, non vi è motivo di ritenere che solo gli aerosol generati durante procedure invasive sull’apparato respiratorio siano rilevanti ai fini del contagio.
La protezione delle vie respiratorie degli OS
A fronte di queste evidenze, mentre la WHO continua a raccomandare, per la protezione degli OS da infezioni da coronavirus, di seguire le precauzioni per droplets11, i CDC, nel caso della MERS e ora di COVID-19, indicano l’adozione delle precauzioni per aerosol-via aerea23. Anche le autorità sanitarie cinesi hanno stabilito che la protezione per gli OS a diretto contatto con ammalati di COVID-19 negli ospedali deve essere l’N95 (l’equivalente dei nostri FFP2) e non la mascherina chirurgica24.
Secondo la prassi consolidata, la scelta di assegnare ad un paziente con una determinata patologia respiratoria una specifica categoria di precauzioni basate sulla via di trasmissione, in determinati contesti assistenziali e scenari epidemiologici, dipende dai seguenti fattori: la via/le vie di trasmissione ritenute prevalenti; la prevalenza della malattia nella comunità (se è una infezione ad elevata circolazione); la probabilità di aumentata trasmissione nosocomiale attraverso quella via durante i contatti e le procedure assistenziali; la gravità della malattia.
È ben chiaro che le precauzioni basate sulla via di trasmissione di solito sono scelte dapprima su base empirica, ed in seguito vengono riviste alla luce delle evidenze sopraggiunte.
La malattia COVID-19, data la documentata possibilità di trasmissione per aerosol o via aerea, il tropismo specifico del virus per il polmone visto il legame fra i suoi spikes glicoproteici ed i recettori dell’ACE2 delle cellule alveolari, l’elevata contagiosità ed efficacia di trasmissione, la rilevante diffusione sul territorio italiano, la soverchiante importanza della trasmissione intraospedaliera confermata anche in Italia, la gravità della patologia, necessita di un livello elevato di cautela: sia per la sicurezza degli OS, e con essi della capacità di tenuta del sistema sanitario, sia per mantenere sotto stretto controllo il rischio che l’ospedale possa diventare focolaio di trasferimento e mantenimento dell’infezione nella comunità esterna.
Alla luce di tutte queste considerazioni, e visto l’alto prezzo già pagato dagli OS in questo primo mese dall’inizio dell’epidemia, riteniamo assolutamente doveroso indicare come strettamente necessaria la protezione delle vie respiratorie con FFP2 in tutte le circostanze assistenziali in cui un OS si trova in presenza di un caso confermato, probabile o sospetto di COVID-19 (terapia intensiva, reparto di degenza, triage, ambulanza, casa di riposo, assistenza domiciliare, eccetera).
Siamo perfettamente consapevoli delle difficoltà di approvvigionamento che in questo momento riguardano tutto il pianeta, non solo l’Italia.
Ma queste difficoltà non modificano le evidenze scientifiche, né il dovere di fornire agli OS una protezione sostanzialmente efficace. Nemmeno fanno venire meno, a nostro avviso, il dovere dei professionisti di informare in maniera chiara e rigorosa le scelte di chi ha la responsabilità di decidere.
Sulle modalità di risposta a questa necessità, che non può essere in alcun modo ignorata, la letteratura scientifica, ed autorevoli istituzioni tecnico-scientifiche, hanno già iniziato a produrre suggerimenti23,25, che potrebbero utilmente essere seguiti anche nel nostro paese.
Autore
Caterina Zanetti
UOC Medicina del Lavoro
Azienda Ospedale-Università Padova
Gruppo Regionale SGS Sanità INAIL/Regione Veneto
Revisori:
Vittoria Cervi
Gruppo Regionale SGS Sanità INAIL/Regione Veneto
Patrizia De Matteis
Gruppo Regionale SGS Sanità INAIL/Regione Veneto
Silvia Fiorio
Medico Competente AULSS 9 Scaligera
Gruppo Regionale SGS Sanità INAIL/Regione Veneto
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([1]) A questo proposito raccomandiamo di porre la massima attenzione critica nel valutare il significato dei test eseguiti, fra gli altri, da ARPA Lazio, per mettere a confronto la capacità filtrante di tessuti diversi, con cui sono fabbricate mascherine chirurgiche diverse. Questi test non consentono in alcun modo di confrontare le prestazione del manufatto finale, con gli standard di filtrazione richiesti per i Dispositivi di protezione delle vie respiratorie (EN 149:2009), e del resto questo non è lo scopo che si propongono tali test. https://www.puntosicuro.it/archivio-news-brevi/test-di-arpa-lazio-sull-efficienza-delle-mascherine-iNews1-1694.php
Redazione NurseNews.eu
Fonte
Puntosicuro