Per evitare ogni tipo di incertezza legata ai risultati dei test, “sarebbe utile effettuare un tampone di richiamo”. La proposta è del Prof. Andreoni, direttore scientifico della Società di malattie infettive. Intanto, per la prima volta dal 13 marzo, è stato registrato il numero più basso di nuovi positivi
Seppur minimo, ma un margine d’errore può esserci anche sui test effettuati per verificare se il Coronavirus se n’è andato completamente o se ne è rimasta ancora qualche traccia.
“C’è incertezza”
Oltre alla mancanza di reagenti, bisogna far attenzione all’errore nell’eseguire i tamponi: dopo due risultati negativi consecutivi, la prima donna contagiata a Roma sembrava guarita ma, dopo un nuovo test, è tornata positiva. Come si legge sul Messaggero, il Prof. Rezza, direttore dell’Istituto Superiore della Sanità, predica calma ma “c’è incertezza, ed è bene ammetterlo, i casi di ritorno dell’infezione sono eccezionali – afferma – non sappiamo se chi resta a lungo positivo è ancora contagioso e quanto”.
“Tampone di richiamo”
Per evitare di incappare in un’errore, “sarebbe utile effettuare un tampone di richiamo” ha affermato Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e virologo del Policlinico Tor Vergata di Roma. “Questo virus ha una lunga presenza all’interno dell’orofaringe e nel nostro ospedale abbiamo notato che il tampone è molto operatore-dipendente”, spiega.
Eliminare l’errore umano
In pratica, il Prof. Andreoni alza il livello d’attenzione di chi esegue i test perché “ci sono operatori che hanno in gran parte risposte positive dai pazienti, altri che ne hanno in batteria di negativi, l’esecuzione richiede un certo expertise – afferma – se fatto male, il tampone può dare esito negativo”. Serve quindi maggiore precisione perché, l’errore nell’eseguire un test, può far pensare ad un paziente negativo, quindi guarito ma “si rischia di dichiarare guarito chi non lo è”.
Ecco i test sierologici
In soccorso ai tamponi e per ridurre i tempi di attesa di un risultato, ecco in soccorso i test sierologici che stanno per essere usati da diverse regioni italiane: l’esito si avrà dopo un’ora invece di 24 e, soprattutto, si potrà capire se l’organismo ha sviluppato gli anticorpi contro il virus (che significherebbe che il paziente è stato positivo). Lo screening, in una prima fase sperimentale, riguarderà circa 200mila persone ma, anche in questo caso, l’Iss predica calma. “L’affidabilità è ben lungi dal 100%, serve cautela”, ha dichiarato il Prof. Rezza.
“Comincia la discesa”
Intanto, buone notizie arrivano dal fronte del Covid-19 in Italia: il “plateau”, ovvero il famoso picco di cui tanto si parla, non solo sarebbe stato raggiunto ma sembrerebbe essere addirittura alle spalle, come ha annunciato Rezza nella conferenza stampa di ieri della Protezione civile con i numeri aggiorati. “Sembra esserci una discesa”, ha affermato alla stampa mentre il ministro della Salute Roberto Speranza, poche ore fa, ha fatto sapere che l’indice di contagio “è leggermente sotto l’1, un risultato straordinario se pensiamo che fino a qualche settimana fa eravamo a 3 o 4, ovvero un soggetto positivo ne infettava fino a 3-4”.
Ecco il primo spiraglio, la prima luce in fondo al tunnel: 47 giorni dopo il “paziente uno” di Codogno e 17.127 decessi a causa del Covid, la curva dell’Italia vira, finalmente, verso il basso: per il quarto giorno consecutivo sono diminuiti i ricoverati in terapia intensiva ed i guariti in un solo giorno sono stati 1.555. Uno degli indici più importanti riguarda il trend di aumento dei contagiati, “il numero più basso dal 13 marzo” sceso al 2,29% con un totale di “soli” 3.039 nuovi casi.
Non bisogna assolutamente abbassare la guardia perché l’emergenza non è ancora finita e “per ogni caso che viene riportato dal sistema di sorveglianza ci sono magari 10 persone infette”, spiega Rezza. La strada verso maggio è ancora lunga quando, secondo alcune stime diffuse ieri, il numero dei nuovi casi giornalieri potrebbe scendere al di sotto dei 100.
Redazione
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Il giornale