Nella realtà non si riesce a isolare i positivi.
La drammatica situazione degli ospedali romani raccontata dal segretario di CGIL Sanità Lazio e Michela Flores di Usb Sanità: «Le ambulanze sono utilizzate come camere di isolamento, in attesa di trovare un posto letto ai pazienti»
«Al Policlinico Umberto I di Roma esistono percorsi separati solo sulla “carta”, in realtà c’è un accesso unico al Pronto Soccorso. All’ospedale Santo Spirito e al San Filippo c’è ancora un accesso unico per tutti i pazienti». Francesco Palmeggiani, Segretario regionale CGIL Sanità Lazio, ci fa una polaroid sull’emergenza Covid-19. La normativa impone, dal 13 ottobre, percorsi separati nei Pronto Soccorso, per evitare che pazienti con sintomi riconducibili al coronavirus condividano spazi con altre tipologie di pazienti.
A confermarci la situazione critica all’ingresso delle strutture ospedaliere c’è anche Michela Flores di Usb Sanità: «Al Pertini, la sala Covid al Pronto Soccorso sabato scoppiava, c’erano 25 pazienti».
PERCORSI SEPARATI IN PRONTO SOCCORSO, LE DIFFICOLTÀ DELLE STRUTTURE ROMANE
Ci sono anche strutture, che con notevole sforzo di competenze e risorse, stanno cercando di perimetrare i percorsi: «Al San Giovanni esistono percorsi differenziati – continua Francesco Palmeggiani – ma ci sono gravi problemi strutturali, come stanze di isolamento non idonee». E tutto questo rischia di azzerare gli sforzi di contenimento.
Alcuni ospedali sono riusciti a differenziare i percorsi, secondo la CGIL: «All’ospedale Sandro Pertini della ASL Roma 2 sono stati attivati sabato i percorsi differenziati; all’ospedale Sant’Andrea esistono percorsi ed ingressi differenziati; e anche al Policlinico Agostino Gemelli».
Altre strutture hanno a disposizione solamente “ingressi unici”, quindi ad alto rischio per i pazienti, seppure poi smistino i percorsi: «Al San Camillo l’accesso al Pronto Soccorso è unico, le persone transitano e si accalcano davanti l’ingresso. Ma a tutti i pazienti viene fatto un tampone rapido (antigenico) al pre-triage e in base all’esito i pazienti seguono percorsi differenziati».
AMBULANZE COME CAMERE DI ISOLAMENTO
In questo limbo sanitario vengono arruolate anche le ambulanze del 118 come camere d’isolamento mobili. «Funziona così: le ambulanze restano bloccate con i pazienti in attesa del tampone. Se risultano positivi restano in ambulanza, che viene usata come stanza di contenimento, finché non trovano i posti dove ricoverarli perché intanto gli ospedali Covid Free non possono prendere il paziente» spiega Michela Flores.
In questo video, è possibile vedere 12 ambulanze ferme al Policlinico Gemelli. «Così crolla tutto», ci dice un’operatrice del 118. Numeri alla mano, secondo l’ARES 118 nel Lazio le postazioni territoriali presso le quali sono ubicati i mezzi di soccorso dell’Azienda sono 178, con una dotazione complessiva regionale di 224 mezzi di soccorso: 183 ambulanze con personale infermieristico, 4 ambulanze con personale medico, 37 automediche. A Roma ci sono 67 ambulanze. Ma se alcune di queste sono utilizzate come stanze di contenimento e bloccate per ore, il rischio di compromettere altri codici rossi è alto.
«Invece gli ospedali Covid si trovano ancora impreparati avendo smontato tutte le strutture e i percorsi usati in precedenza, durante la prima ondata», aggiunge Flores. In buona sostanza, l’organizzazione fluida delle strutture sanitarie sta iniziando a sottrarre risorse da altri reparti per ampliare i reparti Covid-19. E con molto affanno e in taluni casi con molti rischi di contribuire al contagio, corrono verso soluzioni tampone.
Ecco perché è fondamentale che in questi giorni delicatissimi i pazienti compensino le carenze organizzative e di risorse degli ospedali. Chi ha sintomi che possono essere riconducibili al Covid-19 devono chiamare il proprio medico curante che a sua volta avviserà il 118, se riterrà opportuno, per farli intervenire in sicurezza. Invece, qualora si andasse di corsa al Pronto Soccorso, è necessario che chi ci accompagna il paziente avvisi il primo operatore dei possibili sintomi Covid-19, per garantire un intervento separato e in sicurezza.
Gli interventi d’urgenza creano ancora molti rischi, i protocolli non sempre si applicano. Michela Flores ci racconta che «al C.T.O. di Roma dovevano operare un ragazzo, che ha avuto contatti con molti operatori all’interno della struttura, prima di scoprire che era positivo. Non essendoci i dispositivi in quantità per Covid nell’ospedale, le sale operatorie hanno difficoltà ad operare con l’urgenza necessaria le fratture “gravi” come il femore. Alla fine il ragazzo è stato operato ma non sono stati fatti i tamponi a chi ha eseguito l’intervento».
La stragrande maggioranza degli ospedali sta avvertendo l’onda d’urto: «All’ospedale San Camillo le rianimazioni smontate a giugno erano in ripristino da ieri. Il personale del reparto pneumologia diventerà il personale per il Covid».
SITUAZIONE SIMILE ANCHE IN ALTRE REGIONI
La situazione è disomogenea sia nel Lazio che in Lombardia come pure in Campania. Il segretario della CGIL sottolinea che «i percorsi separati, sulla carta, esistono, ma attualmente i Pronto Soccorso sono pieni di pazienti e riuscire a rispettare l’isolamento o il semplice distanziamento è impresa quasi impossibile. Questo è l’esito di venti anni di tagli lineari alla sanità e della riduzione dei posti letto. Quasi tutte le strutture stanno individuando reparti che diventeranno a giorni reparti Covid. Sembra incredibile che l’annunciata seconda ondata ci possa aver colto così impreparati».
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